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Un progetto per l’Appia Antica affidato alla società autostrade?

appia-antica

Pubblichiamo e sottoscriviamo l’appello promosso dall’Associazione Bianchi Bandinelli e altri gruppi, contro l’accordo tra Autostrade per l’Italia e Mibact per un progetto che riguarda  l’Appia Antica, per avviare quella che il quotidiano  Il Tempo (1) definisce un””operazione di mecenatismo” che “rafforzerebbe l’identità del gruppo e della sua vocazione alla gestione di corridoi stradali vitali per l’economia del Paese...”

Ma l’Appia Antica non è una strada, è un ponte tra il passato e il presente, uno dei paesaggi più suggestivi del mondo, un pezzo importante del patrimonio collettivo della nostra città che dovrebbe essere protetto e valorizzato dalle Soprintendenze, non affidato alla società autostrade… E la si può mettere come si vuole, battezzare il progetto “Grand Tour“, appellarsi all’ “epoca di tagli feroci che in nome del rigore colpiscono tutti i capitoli di spesa del bilancio pubblico” , assicurare “un pacchetto di investimenti sulla mobilità compatibile con i valori dell’ambiente“,  ventilare  “mezzi elettrici e bike sharing in grande scala” , che ormai sono il mantra di ogni nuovo progetto,  assicurare la “promozione per valorizzare pienamente i gioielli artistici e naturalistici dell’area“. Ma la sostanza resta questa: si continuano a sottrarre competenze e vigilanze agli enti preposti,  che – con tutti i limiti – sono uffici pubblici, che devono rendere conto ai cittadini delle proprie  scelte e attività – per promuovere accordi diretti con privati, che passano sulla testa di tutti. E ci si potrebbe chiedere: a che titolo Autostrade per l’Italia dovrebbe proporre un suo progetto a  enti (soprintendenze, dipartimenti comunali  e quant’altro) che da anni hanno progetti – costati  tempo, soldi e fatica-  rimasti nel cassetto perchè mancavano i fondi per realizzarli? Se il gruppo Autostrade vuol mettere il suo marchio sui biglietti  e sui sellini delle bici, faccia come l’imprenditore giapponese, Yuzo Yagi, che ha finanziato con due milioni di euro il recupero della Piramide di Cestio accontentandosi di un semplice “grazie” (2). Anche perchè questa è l’unica forma di mecenatismo autentico. Quella prospettata dall’articolo del Tempo la chiameremmo invece “progetto economico pubblico/privato”, che come tale dovrebbe sottostare alle norme europee sulla libera concorrenza e  quindi prevedere delle gare di evidenza pubblica.

E  si tratterebbe  comunque  di una forma di privatizzazione, e soprattutto di estromissione della città pubblica dalle scelte che la riguardano. Come ultimamente, a livello nazionale, va sempre più di moda…

 

Appello

Contro l’accordo per l’Appia Antica fra ministero Beni culturali e società Autostrade per l’Italia

«Il Tempo» del 9 luglio* dà notizia dell’Operazione Grand Tour per l’Appia Antica che la società Autostrade per l’Italia propone al ministero per i Beni culturali. Un’operazione inverosimile con la quale la società si candida a definire il progetto e a contribuire a un nuovo modello di gestione dell’Appia Antica affidato a un’unica cabina di regia.

Si conferma in tal modo la strategia cara al ministro Dario Franceschini di depotenziare le soprintendenze, sottomettendole di fatto a soggetti estranei al mondo istituzionale, alla cultura e alla ricerca.

Ci riserviamo di entrare punto per punto nel merito della proposta, limitandoci per ora a denunciarne l’aspetto più sconcertante: la mobilità privata su gomma come elemento irrinunciabile e caratterizzante dell’Appia Antica. La società è pronta a mettere a disposizione le proprie tecnologie autostradali, realizzando attività di comunicazione e marketing, punti di ristoro, laboratori e mostre.

La società Autostrade fa il suo mestiere e si comprende il suo interesse a occuparsi di un luogo di eccellenza. Sorprende invece il ministero per i Beni culturali, in primo luogo perché la regina viarum la si percorre a piedi, in bicicletta, a cavallo, in carrozza, con qualche bus elettrico, ma soprattutto perché delegittima le proprie strutture che, da tempo, e proprio sull’Appia Antica, hanno costruito spazi pubblici straordinari, apprezzati da cittadini e turisti.

In nome di Antonio Cederna, l’uomo cui si deve la salvezza dell’Appia Antica e la modernità della sua concezione, ci opponiamo con determinazione all’accordo Beni culturali società Autostrade e, in nome di Antonio Cederna, lanciamo un appello a quanti in Italia e nel mondo civile non sono disposti a barattare la storia e la cultura per un piatto di lenticchie.

Roma, 14 luglio 2014

Associazione Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, Salviamo il paesaggio, Italia Nostra Roma, Rete dei comitati per la difesa del territorio, Eddyburg, Carteinregola, Comitato Fuori Pista

Il testo dell’appello è anche sul sito ABB http://www.bianchibandinelli.it/2014/07/15/14-luglio-2014-comunicato-congiunto-contro-laccordo-mibact-austostrade-per-litalia-per-lappia-antica/

(1) IL Tempo 9 luglio 2014 E alla fine Autostrade imboccò l’Appia Antica La società che gestisce i pedaggi investe fondi per riqualificare la celebre via romana

Autostrade imbocca l’Appia Antica, non per percorrere una delle prima arterie ad alto scorrimento della storia, ma per soccorrerle a valorizzarla. Il gruppo, che possiede il grosso delle concessioni autostradali italiane, è in trattative con il ministero dei Beni e delle attività culturali per un’operazione di mecenatismo che coinvolgerà l’antico tracciato.

Un lavoro lungo e laborioso per far trarre il massimo beneficio a tutte le parti in causa. E in particolare al dicastero, guidato da Enrico Franceschini, che potrà contare su un sostegno finanziario cospicuo e su know-how tecnologico per valorizzare la strada inserita nel parco archeologico e ambientale omonimo. Le risorse messe in campo dal gruppo guidato dall’ad Castellucci sono preziose per la valorizzazione dell’area in un epoca di tagli feroci che in nome del rigore colpiscono tutti i capitoli di spesa del bilancio pubblico. Cultura compresa.

Secondo quanto Il Tempo è in grado di anticipare il programma che ha già un nome, Grand Tour, prevede un pacchetto di investimenti sulla mobilità compatibile con i valori dell’ambiente, dunque spazio ai mezzi elettrici e al bike sharing in grande scala, ma anche le attività di promozione per valorizzare pienamente i gioielli artistici e naturalistici dell’area. E ancora l’estensione della Ztl (Zona a traffico limitato) per abbassare l’impatto dei veicoli sull’antico basolato, e varchi elettronici per monitorare le attività nei tratti più sensibili. Non solo. Nel progetto, ancora in fase di assemblaggio, sono previsti anche il rafforzamento dei punti turistici e di accoglienza per i visitatori, aree attrezzate di ristoro e biglietti integrati con i monumenti della zona dei Fori.

Insomma una rivoluzione che investirà tutta la strada antica almeno fino alla zona delle Frattocchie e dunque ai piedi dei Castelli. I temi affrontati nei colloqui sono quelli del traffico e della mobilità ma anche il collegamento con aree marginali al parco per consentire la migliore fruizione turistica, anche in vista dell’Expo 2015 e del richiamo che la Città eterna eserciterà sui milioni di turisti in arrivo.

Le laboriose trattative tra tutte le istituzioni che operano sul parco urbano: Regione, Comune, Ministero, Soprintendenze e perfino lo stato Vaticano starebbero per arrivare, dunque, al rush finale. E le perplessità in fase di superamento negli uffici di Franceschini. Anche se non è ancora stato chiarito l’importo del contributo che Atlantia metterebbe sul piatto, l’arrivo di Società Autostrade per l’Italia e la mano tesa per risanare e valorizzare l’Appia Antica ha riscosso l’interesse del ministro che ha già scommesso sull’«art bonus», per invogliare privati e aziende a investire sul patrimonio culturale del Paese.

Dal canto suo la società concessionaria otterrebbe uno straordinario ritorno di immagine per il suo marchio. Legare l’attività che svolge oggi con la sponsorizzazione attiva di una delle prime arterie commerciali della storia dell’uomo rafforzerebbe l’identità del gruppo e della sua vocazione alla gestione di corridoi stradali vitali per l’economia del Paese. Un progetto a cui l’azienda guidata da Castellucci pensa forse da tempo. O che comunque è già scritto nel suo Dna: sulla bretella che collega la Roma-Firenze alla Roma Napoli un cartello segnala l’attraversamento dell’Appia con la scritta: «La prima autostrada della storia».

Filippo Caleri

(2) http://buonenotizie.corriere.it/2014/03/29/la-piramide-salvata-con-un-grazie/ La piramide salvata con un grazie 29 MARZO 2014 | di

Un imprenditore giapponese, Yuzo Yagi, ha finanziato con due milioni di euro il recupero della Piramide di Cestio, a Roma. Così, finalmente, è stato possibile restaurare uno dei più insigni monumenti legati all’egittomania scoppiata nell’Urbe all’epoca di Augusto: pochi giorni fa, Yagi ha visitato l’esemplare cantiere, e la fine dei lavori è prevista per il novembre di quest’anno. Già così sarebbe un’ottima notizia. Ma diventa letteralmente esemplare quando si esaminano i dettagli dell’operazione, e soprattutto quando si conoscono le richieste dell’imprenditore orientale.

Nel 2010 questi contattò il Ministero per i Beni Culturali chiedendo di poter contribuire a restaurare un pezzo di Roma antica. Non aveva preferenze, mister Yagi: chiedeva di essere utile. E al Mibac hanno avuto l’intelligenza di affidarlo a una delle nostre migliori funzionarie: l’archeologa Rita Paris, esemplare direttore del Museo Nazionale Romano e angelo custode dell’Appia. È da questo incontro che è nata l’idea di non concentrarsi sui più ovvi luoghi da cartolina, ma di indirizzare questa insperata risorsa dove c’era più bisogno: e quando Yagi ha scoperto che a Roma c’è anche un po’ di Egitto, se n’è subito innamorato ed è stato felice di dare un milione. Ma non basta: la soprintendenza archeologica è stata così brava da finire questo primo lotto di restauro con ben 150 giorni di anticipo. E poi è stata così premurosa da comunicare a Yagi che con un altro milione tutta la Piramide sarebbe potuta tornare candida: una spiegazione così convincente che nel dicembre del 2013 si è stipulato il secondo contratto.

Contratto – e questo è il cuore di tutta la storia – che non prevede alcuna contropartita, se non un pubblico ringraziamento e una targa vicina alla (e non sulla) Piramide. Avete capito bene: quando il Mibac ha chiesto al signor Yuzo Yagi cosa volesse in cambio, si è quasi offeso. In effetti, aveva detto a chiare lettere che voleva donarli, quei soldi: ma da noi in Italia va di moda confondere il mecenate e lo sponsor.

Una confusione tipica di quello che Salvatore Settis chiama il «patriottismo for profit», un affollato ‘movimento culturale’ il cui motto è che «il patrimonio culturale si salva solo con i privati». Un motto ambiguo, che mescola e confonde mecenati e sponsor, donazioni e gestione, imprese e terzo settore, concessioni e volontariato. Invece, è importante distinguere: un conto è chi vuol donare qualcosa alla collettività, un conto chi vuole guadagnare associando al proprio marchio un valore immateriale (l’immagine del Colosseo, per dirne una) che appartiene alla collettività. E mentre discutiamo dei limiti entro i quali possiamo pensare ad accettare le sponsorizzazioni, le concessioni e altre forme di privatizzazione, potremmo forse cominciare a incentivare il vero mecenatismo con una legislazione simile, per esempio, a quella francese. Se lo Stato italiano facesse la sua parte, cioè se assolvesse ai suoi doveri tutelando davvero il paesaggio e patrimonio della nazione, potrebbe poi promuovere credibilmente una campagna culturale e fiscale per suscitare un vero mecenatismo: che non puoi mai essere sostitutivo, o suppletivo, ma semmai aggiuntivo.

Il contrario, insomma, di ciò che accade ora: quando uno Stato col cappello in mano è costretto a svendere il valore immateriale – e cioè la funzione civile – del patrimonio a sponsor in cerca di contropartite che nessun paese occidentale concederebbe. Esistono in Italia dei mecenati? Esistono: l’americano David W. Packard, che per salvare Ercolano ha creato il Packard Humanities Institute, «fondazione filantropica, con lo scopo di sostenere lo Stato Italiano, attraverso la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, nella sua azione di salvaguardia di questo fragile sito archeologico, dal valore inestimabile». O Isabella Seragnoli, che a Bologna sostiene discretamente il rapporto tra arte e società. E il nostro Yuzo Yagi, naturalmente. E come loro ne esistono certo ancora altri: ma pochissimi. Per non parlare di un mecenatismo diffuso, dal basso. Il Louvre ha lanciato la raccolta di fondi per il restauro della Nike di Samotracia con lo slogan «Tous mècénes», tutti mecenati: e in quattro mesi ha messo insieme un milione di euro attraverso 6700 donatori, i cui nomi si possono leggere in internet. In Italia, invece, non c’è traccia di un crowdfunding organizzato e articolato che possa contribuire non a espropriare, ma invece, a restituire il patrimonio ai cittadini. Ma nessuno dona volentieri il proprio denaro a un’impresa altrui: i newyorkesi, generosi con il Metropolitan Museum o con Central Park, non lo sarebbero ovviamente con la General Electric. E dunque una simile svolta potrebbe avvenire solo esaltando il valore morale, e non già economico, di quel patrimonio. Imboccando la via del patrimonio come «petrolio d’Italia» ci siamo preclusi quella del patrimonio come bene comune.

Ma non è tardi per cambiare strada, e il sorriso timido di questo imprenditore giapponese potrebbe e dovrebbe ispirarci a farlo. Come ha detto Rita Paris, intervenendo al recente convegno promosso dall’Associazione Bianchi Bandinelli su Archeologia e città a Roma: «Eventuali privati che vogliano sostenere con contributi economici il patrimonio possono collaborare a una graduale,  importante rivoluzione culturale. Oltre a contribuire alla conservazione di una parte fondamentale del patrimonio dell’umanità possono partecipare ad innalzare il livello civile della città, a rendere l’Italia un punto di riferimento mondiale per nuovi temi e innovazioni. Questo deve accadere non per la carenza di risorse dell’amministrazione pubblica, ma per consentire anche a privati di partecipare a una grande impresa culturale, che s’intende sempre di esclusivo interesse pubblico e condotta con le modalità della gestione della cosa pubblica (come è avvenuto per la Piramide di Caio Cestio)».