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Ecco finalmente una spiegazione chiara e sintetica della vicenda delle demolizioni dei villini (e di cosa le Istituzioni potrebbero/dovrebbero fare)

villa Paolina maggio 2018  (foto ambm)

villa Paolina maggio 2018 (foto ambm)

(2 dicembre 2018) Pubblichiamo l’intervento di Giancarlo Storto* sulla “strage dei villini” al Convegno sul diritto alla città storica che si è svolto a metà novembre (1). Storto spiega  con precisione, ma con una semplicità  che rende il discorso comprensibile anche ai non addetti ai lavori, come è possibile (e se non si interviene, come continuerà ad essere possibile) che siano demoliti e ricostruiti con premi di cubature i cosiddetti “villini” dell’inizio del secolo scorso in quartieri storici della città.

Il “caso villini” è scoppiato con la prima demolizione di Via Ticino il (2), e continua con la spada di Damocle della demolizione di un  altro edificio, Villa Paolina, fortemente avversato da un agguerrito comitato cittadino. Ma rischiano di cadere sotto le ruspe per far spazio a nuovi edifici gonfi di ulteriori cubature, decine – centinaia ?- di palazzine storiche.

Tale sciagurata prospettiva è il risultato di una  catena fatta di vuoti legislativi e di norme troppo permissive travestite da “rigenerazione urbana” che  finiscono con l’incentivare  – contrariamente  a quanto proclamato dai loro promotori –  interventi di demolizione e ricostruzione di  palazzine  di pregio nei quartieri più centrali e quindi immobiliarmente più appetibili, anzichè nelle zone della città più periferiche,  dove ce ne sarebbe davvero bisogno.

Ma l’articolo va oltre, e  si conclude con alcune proposte assai stringenti per fermare le demolizioni che dovrebbero essere messe in atto dai principali enti coinvolti, il Comune di Roma, la Regione Lazio, il Ministero dei Beni culturali. Ipotesi per correre ai ripari di cui in realtà si parla da tempo, ma che finora non risulta che siano state adottate da nessun soggetto pubblico interessato.

Nonostante le promesse ai cittadini, si continua a rischiare l’arrivo delle ruspe, e la perdita per sempre di pezzi di memoria e di storia della città (AMBM)

> Vai a Piano Casa/Legge di rigenerazione urbana – cronologia e materiali

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

IL DIRITTO ALLA CITTA’ STORICA: Roma: la strage dei villini

 di Giancarlo Storto

Tante, complicate e intricate sono le vicende urbanistiche che affiorano nella gestione politica della Capitale per quanto riguarda il governo del territorio (e non solo). Decisioni contorte e dissennate (lo stadio di calcio a Tor di Valle su tutte), incapacità di proporre soluzioni ad opere incompiute (l’impianto a Tor Vergata), assenza di prospettive per un’area già espropriata (il centro direzionale di Pietralata), mancanza di direzione per portare a compimento iniziative importanti (ex mercati generali all’Ostiense e città della scienza a via Guido Reni) e solo per citarne alcune. In un contesto in cui latitano, senza alcuna previsione di ottenere risposte credibili (e neppure accennate), iniziative sulla riqualificazione delle periferie e proposte politiche per attenuare il crescente disagio abitativo.

Senza quindi trascurare problematiche di assoluto rilievo, in questa sede l’attenzione è concentrata sui “villini”, questione che rappresenta in modo emblematico un modo sciatto e nello stesso tempo irresponsabile di controllare le trasformazioni in atto, peraltro a beneficio delle peggiori speculazioni immobiliari.

La cronaca. Si deve ancora una volta alle insostituibili informazioni della carta stampata l’aver diffuso la notizia della demolizione di alcuni pregevoli edifici, testimonianza irripetibile di un periodo storico che ha segnato con livelli architettonici di sicura qualità l’evoluzione urbanistica della città nei primi decenni del secolo scorso. Ancora più inquietante e sorprendente il fatto che le demolizioni effettuate rischiano di non costituire casi isolati ma di rappresentare le prime di una lunga serie: secondo Italia Nostra sono in itinere procedure per consentire l’intervento demolitorio di altre decine di villini e, potenzialmente, la strage potrebbe riguardare centinaia di costruzioni.

Abbattere i villini è del tutto irragionevole e qualche riferimento storico ne fornisce ulteriori motivazioni.

I villini sono il prodotto generato consapevolmente dal piano regolatore del 1909 quando sindaco di Roma era, a capo del Blocco popolare (composto da radicali, repubblicani e socialisti), Ernesto Nathan (dal 1907 al 1913) e responsabile del progetto del nuovo piano Edmondo Sanjust di Teulada, piano che, a parere di Italo Insolera, resterà unico, per correttezza tecnico-urbanistica, nella storia dei piani regolatori della città.

Il piano prevede tre tipi di abitazioni: fabbricati, villini e ville signorili, definiti nelle specifiche caratteristiche dal regolamento speciale edilizio che sancisce in particolare per i villini il vincolo di due piani oltre il piano terreno e la presenza su ogni lato di spazi a verde con un distacco dalla viabilità di accesso. L’innovazione del piano del 1909 è stata quella di aver introdotto, in alternativa a parametri e indici quantitativi, le tipologie edilizie come modalità di crescita dell’espansione, all’alternanza delle quali era affidato, secondo l’interpretazione di Insolera, il compito di “impedire l’indiscriminato dilagare delle abitazioni in tutte le direzioni alternando appunto zone ad alta densità con altre poco abitate”.

Le peculiarità stilistiche dei villini, rilette da Vanna Fraticelli, sono: il distacco dal filo stradale, l’entrata sottolineata da un portico o da un avancorpo, il vestibolo centrale con scala a giorno, o a doppia altezza, illuminato dall’alto, o a galleria, con la scala di rappresentanza laterale, il grande ambiente di ricevimento con accesso dall’esterno, sul giardino, la sala da pranzo collegata al piano interrato per i servizi, generalmente sottolineata dal bowwindow, il piano superiore con gli ambienti della vita quotidiana, le camere da letto.

I villini ebbero vita breve e piena di insidie ed è così che nel 1920, con il pretesto della crisi edilizia – motivazione tanto ricorrente quanto fuorviante nella storia dei cicli edilizi –, si consentì, con un Regio Decreto, la possibilità di sostituire i villini con le palazzine (quattro piani oltre l’attico e riduzione delle aree a verde) decisamente più redditizie per i costruttori. E le palazzine non solo sono destinate a riempire le zone non ancora costruite ma anche a sostituirsi ai villini già realizzati sino ad invadere, negli anni successivi, larga parte del territorio comunale costruito.

A Monte Sacro, quartiere realizzato a partire dal 1920 su progetto di Gustavo Giovannoni il cui impianto planimetrico richiama manifestamente le città giardino inglesi, si concentra il più massiccio intervento di edifici demoliti e ricostruiti: gli iniziali 500 villini per circa 3.000 alloggi nel corso degli anni furono sostituiti nella quasi totalità dalle palazzine e l’incremento di volumetria ha portato al raddoppio delle unità abitative.

Come è possibile demolire, ancora in quest’epoca, i villini con modalità, per così dire, legali? La risposta è sconfortante: perché, incredibilmente, la regolamentazione oggi vigente lo consente. Vediamo come, partendo dal piano regolatore di Roma definitivamente approvato nel 2008.

Dotato di una normativa di rara complessità e di leggibilità quanto mai faticosa per i tanti incastri e rinvii presenti con larga diffusione in tutto il testo, il piano regolatore vigente è articolato in sistemi – sistema insediativo; sistema ambientale e agricolo; sistema dei servizi, delle infrastrutture e degli impianti – e componenti. Del sistema insediativo le componenti sono: la Città storica, la Città consolidata, la Città da ristrutturare, la Città della trasformazione, Progetti strutturanti, gli Ambiti di riserva a trasformabilità vincolata.

prg legenda tessuti

“Legenda” dei tessuti classificati dal PRG del 2008

A sua volta la Città storica si scompone in Tessuti (ed anche: in Edifici e complessi speciali, Spazi aperti e Ambiti di valorizzazione) individuati dal piano con le seguenti caratterizzazioni:

  • T1 – Tessuti di origine medievale,
  • T2 – Tessuti di espansione rinascimentale e moderna pre-unitaria,
  • T3 – Tessuti di ristrutturazione urbanistica otto-novecentesca,
  • T4 – Tessuti di espansione otto-novecentesca ad isolato;
  • T5 – Tessuti di espansione otto-novecentesca a lottizzazione edilizia puntiforme,
  • T6 – Tessuti di espansione novecentesca a fronti continue,
  • T7 – Tessuti di espansione novecentesca a lottizzazione edilizia puntiforme,
  • T8 – Tessuti di espansione novecentesca con impianto moderno e unitario,
  • T9 – Edifici isolati,
  • T10 – Nuclei storici isolati.

Le norme tecniche di attuazione, prima di entrare nel merito della descrizione e delle possibili trasformazioni per ogni singolo tessuto, si soffermano ad elencare le categorie (e sottocategorie) di intervento ammesse indicando le modalità operative da seguire in fase di applicazione: dalla Ristrutturazione edilizia (RE1 e RE2), alla Demolizione e ricostruzione (DR1, DR2 e DR3), dagli interventi di Ampliamento (AMP1, AMP2 e AMP3) a quelli di Nuova costruzione consentiti, questi ultimi, al verificarsi di alcune circostanze.

Viene anche specificato che la gran parte degli interventi ritenuti ammissibili avviene con modalità diretta, a meno di alcuni particolari interventi di demolizione e ricostruzione e di ampliamento, per le nuove costruzioni o qualora vengano interessati più edifici.

È del tutto scontato – non potrebbe essere altrimenti – che nelle parti più antiche della città storica (Tessuti medievale, rinascimentale e pre-unitario) siano consentiti soltanto interventi riconducibili sostanzialmente al restauro. Assai più complesse, confuse e incerte sono le prescrizioni per i Tessuti che fanno riferimento ad epoche più recenti: i Tessuti otto-novecenteschi (quelli novecenteschi sono in attuazione del piano regolatore del 1931 o datati dopo il 1960) localizzati entro le Mura Aureliane (T3) o anche all’esterno (T4 e T5).

Escludendo per il momento i T3, dovuti agli sventramenti e demolizioni finalizzati all’apertura di nuove strade e piazze (Piazza Augusto Imperatore, ad esempio), le espansioni otto-novecentesche ad isolato o a lottizzazione edilizia puntiforme (T4 e T5) sono generalmente quelle realizzate sulla base delle previsioni dei Piani regolatori del 1883 e 1909. In questi ambiti è possibile, tra l’altro, la ristrutturazione edilizia con aumento di superficie utile e la demolizione e ricostruzione con aumento di superficie utile ma non di volume fuori terra.

In sintesi: villini e isolati possono essere demoliti e ricostruiti ma mentre per gli isolati (quartieri Prati e Delle Vittorie, Flaminio, piazza Verbano, piazza Bologna) l’operazione resta improbabile in quanto risulta oggettivamente complessa per l’alto numero di alloggi, per i villini la fattibilità è assai meno remota essendo i proprietari in numero limitato o potendo contare su una unica proprietà.

 PRG particolare  tessuti 2 municipio: quartiere Trieste (in alto) e piazza Bologna

PRG particolare tessuti 2 municipio: quartiere Trieste (in alto) e piazza Bologna

Non è di poco conto rammentare che, prima del Piano regolatore vigente, le norme tecniche prevedevano nella zona “B” di completamento (vale a dire tutti per i quartieri esterni al centro storico realizzati nell’arco temporale che arriva all’inizio degli anni ’60) l’obbligo alla redazione di un piano particolareggiato preventivo che, qualora redatto, avrebbe potuto con più attenzione valutare le trasformazioni ammissibili relativamente ad ogni edificio e comparto.

La demolizione e ricostruzione è quindi contemplata dalle norme come un intervento ordinariamente possibile. Non solo: a rendere maggiormente convenienti tali interventi fornisce un sostanziale contributo la legge regionale “Per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio” (n. 7 del 18 luglio 2017).

Questa legge rappresenta il punto di approdo di una lunga vicenda iniziata il 1° aprile 2009. A quella data le Regioni sottoscrissero con il Governo (Presidente Berlusconi) una “Intesa” impegnandosi a promulgare provvedimenti legislativi per consentire per un periodo limitato, di fatto liberalizzando, ampliamenti entro il limite del 20 per cento per edifici uni e bifamiliari e premi di cubatura del 35 per cento nel caso di interventi di demolizione e ricostruzione. Con inusitata solerzia tutte le Regioni hanno prontamente adempiuto (tranne la provincia di Trento), alcune restringendo ed altre ampliando le percentuali relative alle maggiori volumetrie e, in alcuni casi, rendendo possibili i cambi di destinazione d’uso anche in contrasto con le previsioni dei piani regolatori. La Regione Lazio, nel corso delle diverse legislature, ha dapprima emanato una legge riduttiva rispetto a quanto stabilito nell’Intesa e di fatto poco permissiva (Giunta di centrosinistra), in seguito però modificata in modo sciagurato sino all’inimmaginabile con deroghe anche alla normativa urbanistica oltre che edilizia (Giunta di centrodestra) e quindi ridimensionata nei soli contenuti più eclatanti (Giunta di centrosinistra). Infine, dopo alcune proroghe, molti dei contenuti sono raccolti, divenendo normativa a regime ordinario, nella legge del luglio 2017 sulla rigenerazione urbana e sul recupero edilizio (Giunta di centrosinistra).

In sintesi, in relazione alle possibili trasformazioni dei villini, la legge prevede:

– il “riconoscimento” di una volumetria o di una superficie aggiuntiva sino al 30 per cento per gli interventi di ristrutturazione edilizi e di demolizione e ricostruzione compresi all’interno di ambiti territoriali individuati dal comune tramite apposita procedura (con possibile modifica delle destinazioni d’uso tra loro compatibili e comunque con quelle previste dal piano);

– la possibilità, “sempre” consentita, di incrementi sino al 20 per cento (ad eccezione degli edifici produttivi: 10 per cento della superficie coperta) per interventi di ristrutturazione edilizia o di demolizione e ricostruzione (con variazione alle destinazioni d’uso come sopra).

In entrambi i casi l’unico vincolo nell’applicazione delle norme è l’impossibilità di utilizzarle negli insediamenti urbani storici come individuati dal piano territoriale paesaggistico (cioè entro le Mura Aureliane).

L’aspetto decisamente paradossale, rispetto a quanto è accaduto o sta accadendo ai villini, si rinviene nell’articolo 1 della legge (Finalità e ambito di applicazione) nel quale si fa ampio e ripetuto ricorso ad espressioni del tipo: “migliorare la qualità della vita dei cittadini”; “rigenerazione urbana intesa in senso ampio e integrato comprendente, quindi, aspetti sociali, economici, urbanistici ed edilizi, anche per promuovere o rilanciare territori soggetti a situazioni di disagio o degrado sociali ed economici”; “favorire il recupero delle periferie”; “qualificare la città esistente, limitare il consumo di suolo”; “favorire il miglioramento della qualità ambientale e architettonica dello spazio insediato”. In definitiva, un provvedimento che avrebbe dovuto trovare la ragion d’essere per migliorare le condizioni dell’ambiente urbano e della qualità insediativa in ambiti con manifesti fenomeni di degrado, all’atto pratico trova applicazione in contesti sociali ed economici diametralmente opposti.

Sul territorio del Comune di Roma, come per il resto della Regione, esplica i suoi effetti il piano paesaggistico territoriale promosso dalla Regione Lazio, adottato a fine 2007 e quindi da lungo tempo in attesa di definitiva approvazione anche se comunque esplica i suoi effetti in relazione alle disposizioni del Codice.

Nel merito, il piano paesaggistico non introduce, a differenza di quanto accade in altre Regioni e anche in altri Comuni del Lazio, un vincolo paesaggistico specifico per il centro e le parti storiche della Capitale, limitandosi ad un generico rinvio al piano di gestione del sito Unesco. Una esenzione illogica: si viene in tal modo ad escludere da ogni forma di tutela un’area di valore e pregio senza eguali e senza una ragione plausibile tanto che si è indotti a ritenere che l’apposizione del vincolo – non può esservi altra spiegazione – sarebbe risultato un atto non gradito alla libera iniziativa imprenditoriale.

Come è a tutti noto, il centro storico compreso entro le Mura è annoverato, sino dal 1980 (con una estensione nel 1990 che recupera parte del territorio in precedenza escluso), tra i siti Unesco e, conseguentemente, si è proceduto alla redazione di un piano di gestione, un compendio di attente e innovative analisi da cui sono discese suggestioni, orientamenti e linee guida di sicuro interesse. Il piano di gestione del sito, compiutamente redatto da diverso tempo ma ancora in attesa di essere recepito da tutti gli enti interessati (il Comune di Roma ha formalmente adempiuto al recepimento), si articola in azioni per settori di intervento senza peraltro avere valore prescrittivo o vincolante e quindi non ha effetti giuridici diretti (si tratta, in definitiva, di una serie di indicazioni finalizzate a conservare o migliorare le attuali condizioni urbanistico-edilizie ed ambientali non ottemperando le quali il sito potrebbe non essere più riconosciuto dall’Unesco). Comunque, come si è detto, riguarda soltanto la città storica entro le Mura.

Dunque, un coacervo di norme che rendono ai più di difficile interpretazione quali siano gli interventi ammissibili ma che consentono ai promotori di robusti investimenti di districarsi e raggiungere l’obiettivo di operazioni fortemente remunerative. Norme che si affastellano senza integrarsi, la cui inutile complessità finisce solo per rendere meno credibile la funzione e il destino dell’urbanistica.

Per i villini in particolare, una volta conosciute e rese di pubblico dominio le intenzioni degli operatori immobiliari, si è aperto un inverosimile scambio di accuse addebitando ogni istituzione alle altre la responsabilità per non assumere provvedimenti che impediscano simili interventi.

In effetti, se vi fosse volontà politica:

  • il Comune di Roma potrebbe procedere con una modifica alle norne tecniche del piano regolatore in modo da non consentire per quei tessuti le demolizioni e ricostruzioni o, in subordine, includere quantomeno tutti i villini nella Carta per la Qualità, elaborato a corollario delle norme tecniche modificabile con la sola approvazione del Consiglio comunale, che condiziona l’approvazione del progetto al parere favorevole della Sovrintendenza comunale (decisione che avrebbe natura ordinaria in quanto è scritto nelle norme di attuazione del piano regolatore che “la Carta per la qualità e soggetta ad aggiornamenti periodici, di norma biennale”);
  • la Regione Lazio potrebbe modificare, con un semplice intervento legislativo, la legge 7 del 2017 escludendo dai premi di volumetria gli ambiti con edilizia otto-novecentesca;
  • ancora la Regione Lazio potrebbe integrare il piano territoriale paesaggistico introducendo il vincolo paesaggistico al centro storico entro le Mura e ai Tessuti otto-novecenteschi (con il conseguente parere obbligatorio sui progetti da parte della Sovrintendenza);
  • il ministero per i Beni e le attività culturali potrebbe adottare per i villini la dichiarazione di notevole interesse pubblico (art.141 del Codice).

Ma, allo stato di fatto, nessuna decisione operativa viene avviata e l’erosione di testimonianze importanti dell’architettura dei primi decenni del secolo scorso è destinata a continuare senza ostacoli. Di fronte a questa colpevole inerzia, soprattutto del Comune di Roma e della Regione Lazio, inerzia che però produce distruzioni irreversibili sul patrimonio edilizio storico, l’unica soluzione che possa concretamente incidere è l’intervento legislativo del Parlamento che salvaguardi le città storiche.

Giancarlo Storto

*urbanista, già direttore generale delle Aree urbane e dell’edilizia residenziale presso il Ministero dei Lavori pubblici

Vedi la recensione di Mauro Baioni del libro La casa abbandonata il racconto delle politiche abitative dal piano decennale ai programmi per le periferie di Giancarlo Storto

(1) vai alla pagina con i link agli altri interventi del convegno Proposta di legge in materia di tutela dei centri storici, dei nuclei e dei complessi edilizi storici che si è svolto il 12 novembre 2018

(2) vedi

12 gennaio 2018 Via Ticino non è che l’inizio: arrivano gli effetti del Piano casa della Regione Lazio

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