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La partecipazione tra la tastiera e l’agorà

expo campidoglio 1 foto ambm IMG_4315Riflessione sui destini dello spazio pubblico alla luce della mozione sulla partecipazione della maggioranza capitolina pentastellata 

di Paolo Gelsomini

Lo scorso 19 aprile è stata presentata la mozione n. 361 sulla disciplina degli strumenti di consultazione e partecipazione popolari a firma del presidente della Commissione Roma Capitale Angelo Sturni e di altri quattordici membri dell’Assemblea capitolina.

Alla mozione risponde puntualmente la lettera di Alessandro Giangrande2 che condivido. Mi limiterò a qualche riflessione sul tema della partecipazione a Roma. Ma prima di affrontare il tema della partecipazione dal punto di vista della Polis e delle Comunità dei cittadini abitanti dei luoghi (concetto più ampio di quello legato alla semplice e statica residenzialità), noto solo che dalla mozione Sturni si possono sostanzialmente estrapolare due categorie concettuali:

  • quella dei principi generali condivisibili ma troppo generici (promozione e valorizzazione della partecipazione popolare, carta dei diritti dei cittadini in materia di partecipazione, promozione della cultura della partecipazione nelle scuole e nelle Università, garanzia dell’informazione, trasparenza per le attività dei portatori di interessi nelle consultazioni pubbliche);
  • quella degli strumenti validi in sé ma da definire e contestualizzare in rapporto alla partecipazione reale dello spazio pubblico costituito da espressioni collettive e non individuali dei territori (partecipazione democratica elettronica, democrazia diretta e partecipata digitale).

Riflessioni generali sui destini dello spazio pubblico ed altro ancora

Più o meno esplicitamente, sotto ogni decisione istituzionale c’è un messaggio di modernizzazione e di cambiamento che immediatamente relega al ruolo di conservatori e di nemici dell’innovazione coloro che quelle decisioni criticano.

Questo è successo e succede a Roma quando associazioni di cittadini, spesso ultime sentinelle di territori abbandonati o relegati a semplici luoghi di speculazioni finanziarie o di interventi urbanisticamente impattanti e socialmente distruttivi, cercano di contrapporre le proprie analisi, frutto di conoscenze antiche, di competenze tecniche e di esperienze personali e collettive, a scelte discutibili e spesso incomprensibili fatte in luoghi istituzionali lontani dalla vita quotidiana dei quartieri e dei rioni.

Questo è successo e succede a Roma nonostante la buona volontà di qualche consigliere comunale o municipale disponibile  ad addentrarsi nelle mille agorà all’interno delle quali i cittadini di quei quartieri e di quei rioni hanno creato i propri laboratori di ricerca e di analisi, di progettualità e di elaborazione dell’immaginario collettivo.

Ma le analisi sul campo di cittadini che fanno la comunità e l’anima dei luoghi, la loro progettualità e soprattutto la forza del loro immaginario, spesso non sono considerati elementi di modernità. Anzi, per molti sono diventati un ostacolo che va rimosso,  in favore di una modernizzazione digitale che frantuma la ricchezza delle comunità metropolitane e delle loro capacità critiche, analitiche, progettuali e creative. Così come l’impero di Airbnb polverizza i centri storici svuotandoli di abitanti in favore di un turismo mordi e fuggi.

Ecco la parola magica che fa rima con questa (falsa) modernizzazione: polverizzazione.

Riprendendo un articolo di Enzo Scandurra3 comparso sul sito di www.Eddyburg.it

“Ma di quale mancata modernizzazione si parla? Non quella di far funzionare gli autobus, di dare pace a una metropolitana che non sa da che parte andare né di mettere fine al problema dello smaltimento dei rifiuti o di valorizzare (anziché far chiudere) quei centri e quelle associazioni dove si creano lampi di possibili comunità conviviali, nuove culture e nuovi linguaggi. Né, ancora, di accogliere i diseredati del mondo o di intervenire sul risentimento delle periferie, prima che diventino polveriere pronte ad esplodere”.

I cittadini romani si dividono tra proprietari della città ed utenti-sudditi: i primi, che dettano le regole a loro vantaggio, forzano la mano, intervengono pubblicamente dentro e fuori le istituzioni con tutto il peso del loro potere lobbistico e mediatico e dei loro agganci politici; i secondi, portatori di interessi generali e difensori dei beni comuni, che fanno fatica a far sentire la propria voce e le proprie ragioni, ad orientare le scelte della politica, a far valere diritti fondamentali legati alla vivibilità dei territori, alla sostenibilità ambientale delle opere, alla difesa della salute e del patrimonio culturale.

Nel frattempo le delibere di iniziativa popolare promosse dalle associazioni di cittadini con la raccolta di migliaia di firme segnano il passo nella disattenzione generale dell’Amministrazione comunale.

Contemporaneamente languono o si trascinano stancamente all’interno delle istituzioni forme di partecipazione popolare, non solo per la realizzazione di progetti di opere pubbliche di quartiere, ma anche per la gestione di servizi pubblici, per il controllo di appalti e bilanci, per le grandi scelte dell’Amministrazione che riguardano la vita materiale dei cittadini e la vivibilità dei loro rioni e quartieri.

Chi ha paura della partecipazione popolare? Se ne sta perdendo la cultura perfino  tra i cittadini, che spesso si accontentano di sistemare il parco sotto casa o la propria strada. Cose importantissime, per carità, ma non sufficienti per rispondere come comunità della polis alle sfide che questa città ci impone.

Aggiungiamo anche che la partecipazione attiva dei cittadini ed il loro controllo su tutto l’iter delle opere e dei servizi, dal bando, al progetto, alla realizzazione, alla gestione, costituiscono un forte antidoto alle infiltrazioni mafiose, ai comportamenti criminali, agli scambi sottobanco, alle intollerabili deviazioni della politica.

Nel suo libro “Il diritto alla città”, il sociologo urbanista e filosofo francese Henri Lefebvre4, riacquista un valore attuale di trasformazione e riappropriazione dello spazio di vita fruibile a tutti che si contrappone chiaramente a quello della mercificazione.

E’ questo il modo  con il quale si deve guardare alla Città ed ai cittadini che vogliono essere comunità,  e non somma di singoli soggetti chiusi nella prigione di uno spazio informatico. Spazio  che è fondamentale se supporta gli incontri di uno spazio sociale pubblico vivo e propositivo, ma  che può diventare  portatore di una lenta agonia metropolitana se ad esso si sostituisce.

Lo spazio comune ed il contesto pubblico devono essere  liberati e valorizzati per discutere, incontrare, produrre convivenza, convivialità, socialità, come ben sa chi ha partecipato, anche poche volte, alla vita dei comitati e delle associazioni che cercano di far vivere i loro territori all’interno della Città, di fare cultura e informazione, di creare legami duraturi con le istituzioni, alle quali resta il compito di decidere e di deliberare dopo aver sentito la vita dei cittadini nei luoghi dove si concorre alla formazione delle decisioni.

Una buona e consapevole partecipazione fatta di persone, di storie, di esperienze e di competenze, oltre che contribuire alla buona riuscita di ogni decisione politica ed amministrativa, contribuisce alla felicità ed al benessere delle persone, al senso di comunità che si va perdendo, alla sicurezza sociale, all’integrazione dei più deboli.

Anche  questa è  modernità.

 Paolo Gelsomini

Vedi anche  Presidente Sturni, le linee guida per la partecipazione sono insufficienti di Alessandro Giangrande

NOTE

1) Scarica la  mozione Sturni n.36 del 19 aprile 2018 moz36 linee guida partecipazione-18 (sturni)

2) Vedi Lettera al Presidente  Sturni da Alessandro Giangrande

3) “ Raggi tira dritto ma non c’è un orizzonte” da www.Eddyburg.it del 5 febbraio 2017

4) Filosofo, sociologo ed urbanista francese di formazione marxista nato nel 1901 e morto nel 1991 noto per aver introdotto i concetti del diritto alla città e dello spazio sociale

 

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