Pubblichiamo la “Relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”, relatrice la Presidente, On. Rosy Bindi, presentata nella Sala Koch di Palazzo Madama (Senato della Repubblica) il 21 febbraio scorso. Proponiamo una introduzione di Avviso Pubblico e un commento di Aldo Pirone, che si interroga sulla significativa assenza di tutti i leader politici e segretari di partito alla presentazione, che fa “pendant” con la scarsissima citazione della lotta alla mafia nei programmi elettorali dei partiti. E fa impressione vedere come la campagna elettorale si concentri sul tema dei migranti, mentre non ci si preoccupa di un fenomeno che per portata criminale e danno economico è sicuramente il più pericoloso per il nostro paese e con il maggior impatto sulla vita degli italiani.
scarica Comm Antimafia Relazione conclusiva XXIII-n.-38
(da Avviso Pubblico)
la Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’On. Rosy Bindi è una fotografia della situazione delle mafie in Italia e un resoconto del lavoro svolto in questi cinque anni.
Sono state svolte 245 sedute in sede (il picco massimo era stato di 122 nella scorsa legislatura), 130 riunioni dei comitati di lavoro, per un totale di 315 audizioni e 104 missioni in Italia e all’estero.
La Commissione si è recata in tutte le regioni italiane e presso tutte le province di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, le quattro regioni di tradizionale insediamento mafioso. Sono state approvate 17 relazioni dalle quali sono state tratte due proposte di legge – la riforma organica del codice antimafia (legge 161/2017) e la riforma del sistema di protezione dei testimoni di giustizia (legge 6/2018) – approvate definitivamente dalle due Camere ed entrate in vigore.
Tutte le relazioni della Commissione sono state approvate con il voto unanime di tutti i gruppi parlamentari e, quando si sono manifestati, i pochi distinguo non hanno mai compromesso la sostanziale convergenza sull’impianto delle analisi e delle proposte. Questo metodo di lavoro è stato ispirato alla massima condivisione, pur nella diversità delle posizioni e degli orientamenti presenti in Parlamento, e alla volontà di tenere la Commissione il più possibile lontana da un’immagine conflittuale della politica nella lotta alle mafie. (…)Nei prossimi giorni, l’Osservatorio parlamentare di Avviso Pubblico curerà un’apposita scheda di sintesi sul documento che sarà pubblicata sul sito.
ASSENZE GIUSTIFICATE
di Aldo Pirone
Mercoledì scorso è stata presentata la relazione finale di legislatura sull’attività della Commissione antimafia parlamentare presieduta da Rosy Bindi. La relazione, ben 700 pagine che trattano molti temi specifici, è stata approvata all’unanimità. In essa si analizzano, tra le altre cose, diversi aspetti delle organizzazioni criminali e le loro collusioni con la politica e con altre entità associative. Il quadro prospettato dalla Bindi, presenti il ministro dell’Interno Minniti e quello della Giustizia Orlando, è stato, a dir poco, allarmante. Ad ascoltare in sala Koch, l’aula magna del Senato, c’erano i rappresentanti delle istituzioni e della società civile: procuratori distrettuali, come Gratteri, Pignatone e Prestipino, i vertici di tutte le polizie, i rappresentanti dell’associazione vittime della mafia e, per la Chiesa italiana, monsignor Nunzio Galantino, capo della Cei, e il vescovo Francesco Oliva. Brillavano per la loro assenza i segretari o i leader di tutti partiti politici o liste elettorali, a parte il Presidente del Senato Grasso. Troppo impegnati in campagna elettorale a vendere tappeti, paure, odio contro gli immigrati ed elisir di lunga vita, per stare ad ascoltare il bilancio dei loro “successi” in uno dei campi fondamentali per la civile convivenza, la sicurezza e il progresso, come quello del contrasto alle organizzazioni criminali.
Nella relazione si parla del “capitale sociale” delle mafie, cioè il legame che “le mafie riescono ad instaurare con le imprese” che porta alla “zona grigia” e “all’economia illegale”. A gestirlo, racconta il rapporto, è “una borghesia mafiosa composta da personaggi insospettabili che, sebbene non inseriti nella struttura criminale, avvalendosi di specifiche competenze professionali, avvantaggiano l’associazione mafiosa fiancheggiandola e favorendola”. Più precisamente “politici, pubblici funzionari, professionisti e imprenditori”, una vera e propria “agenzia di servizi illegali per le imprese”. Nessun territorio “né sociale né geografico” è al sicuro dalle infiltrazioni mafiose, è in atto “un movimento profondo e uniforme, con una particolare intensità in Lombardia”, e anche una “presenza pervasiva dei clan nel tessuto produttivo delle aree più dinamiche e ricche del Paese”. La commissione antimafia denuncia che l’espansione delle mafie al Nord è stata favorita “fino a tempi recenti da diffusi atteggiamenti di sottovalutazione e rimozione” ricordando “i preoccupati episodi di corruttibilità in seno alla pubblica amministrazione e alla politica, emersi dalle indagini”.
Vi sono i cosiddetti “fortini”, piccoli centri, al nord come al sud, che “una volta conquistati svolgono la funzione di capisaldi strategici distribuiti sul territorio e diventano un potente strumento di consolidamento degli interessi mafiosi e di radicamento stabile”. Inoltre, dice la relazione, nel nostro Paese “c’è spazio per tutte la mafie, anche straniere” che “prosperano nonostante le migliori leggi antimafia, i migliori magistrati e i migliori apparati investigativi”. Stanno là, dove c’è il denaro che gira: appalti, droga, sanità, gioco d’azzardo, calcio, immigrazione.
Un altro capitolo della relazione ha riguardato le indagini della Commissione sulla massoneria. Indagini che, in un primo momento, si sono dovute arrestare davanti al diniego dei capi delle varie logge di fornire gli elenchi dei loro aderenti. La Presidente Bindi, però, ha esercitato i poteri inquirenti attribuiti all’Antimafia, facendo sequestrare gli elenchi e convocare i maestri. “Gli elenchi ufficiali – ha detto la Presidente mercoledì scorso – sono risultati incompleti e inattendibili e non hanno permesso di identificare circa il 15% di iscritti rimasti occulti grazie a generalità incomplete, inesistenti o nemmeno riportate”. Ha poi chiosato: “La privacy non può diventare alibi per la segretezza che non può essere un valore in democrazia”. Il rapporto tra mafie e logge che non collaborano “E’ un incontro molto pericoloso”. Infatti l’Antimafia ha riscontrato “la presenza di esponenti riconducibili a clan mafiosi in alcune logge sciolte”; e rilevato “una presenza non trascurabile di iscritti alla massoneria all’interno di enti commissariati per mafia (comuni e aziende sanitarie)” con “un numero non indifferente di iscritti è coinvolto in vicende processuali, in procedimenti di prevenzione, giudiziari o amministrativi, compresi alcuni condannati per mafia in via definitiva”.
La causa di tutta questa situazione è stata indicata nell’armante “decadimento politico” che si traduce in “comportamenti specifici che facilitano l’ingresso delle mafie e il voto di scambio”. Tre i varchi aperti dalle forze politiche, specialmente a livello locale: “Clientelismo, trasformismo, familismo”. In certi casi, purtroppo non isolati, le candidature sono “semplicemente bandierine, segnali a qualcuno per portare dei voti”. Il crescere del peso del voto mafioso, inoltre, è inversamente proporzionale alla diminuzione, causa l’astensionismo elettorale, del “consenso buono”. Per questo è urgente e indispensabile che le forze politiche “dimostrino, in modo autonomo, prima ancora delle indagini della magistratura, di aderire a criteri di candidabilità più stringenti, rispetto alla normativa attuale, indicati nel nostro codice di autoregolamentazione”. Perché “Il numero crescente di comuni sciolti per mafia (291 dal 1991) e di procedimenti a carico di amministratori ed esponenti della politica locale, il trasformismo politico e il clientelismo su cui fa leva il voto di scambio, impongono una seria riflessione sulla moralità del sistema e sulla tenuta del principio di rappresentanza”.
Apposta i segretari e leader di partito non c’erano.
Aldo Pirone
(Membro storico della Comunità territoriale del VII Municipio scrive su AbitareaRoma)