Raccolte le firme per il Referendum su ATAC promosso da Radicali italiani
Autore : Redazione
Pubblichiamo il comunicato di Radicali Italiani e Radicali Roma che hanno promosso la campagna referendaria “Mobilitiamo Roma” per la messa a gara del trasporto pubblico della Capitale, che hanno raggiunto e superato l’obiettivo delle firme necessarie, insieme a un’intervista al segretario della CGIL Michele Azzola e a una ricostruzione dei vorticosi cambi di management da Cinquequotidiano, più un intervento di Walter Tocci, senatore PD ex assessore alla mobilità della Giunta Rutelli, che si è schierato a favore del referendum (AMBM)
(Comunicato di radicali italiani del 10 agosto) REFERENDUM ATAC, RADICALI: “OBIETTIVO RAGGIUNTO, RACCOLTE 33 MILA FIRME DOMANI IL DEPOSITO IN CAMPIDOGLIO
Obiettivo centrato per la campagna referendaria “Mobilitiamo Roma” promossa da Radicali Italiani e Radicali Roma per la messa a gara del trasporto pubblico della Capitale. Con più di 33 mila firme raccolte, i Radicali hanno infatti raggiunto e superato il traguardo delle circa 29 mila necessarie a indire il referendum consultivo il prossimo anno.
La consegna delle firme in Campidoglio è prevista per domani, venerdì 11 agosto. I Radicali partiranno alle ore 11.30 dalla sede di via Bargoni e giungeranno in piazza del Campidoglio intorno alle 12 a bordo dei due minibus della campagna “Se non firmi t’ATtACchi” carichi di scatoloni con le firme.
Prima del deposito presso gli uffici del segretariato generale, il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi e di Radicali Roma Alessandro Capriccioli terranno un breve punto stampa per fare un bilancio complessivo della campagna, fornire tutti i dati della raccolta firme e illustrare le prossime tappe fino alla convocazione del referendum.
“È la prima volta dall’istituzione di Roma Capitale che si riesce nell’impresa di promuovere un referendum comunale con le firme dei cittadini. Si tratta quindi di un traguardo storico, e anche per questo ci aspettiamo che la sindaca Virginia Raggi sia presente domani per ricevere direttamente le firme dei cittadini in Campidoglio”, fanno sapere i Radicali.
“È un grande successo radicale e popolare, un risultato collettivo ottenuto grazie all’apporto quotidiano di centinaia di militanti, tra cui molti giovanissimi e moltissimi che si sono avvicinati al nostro movimento nell’ultimo anno, che sono stati presenti, per tre mesi, sulle strade e nelle piazze di tutta Roma, dal centro alle periferie, a dialogare coi cittadini, a spiegare la nostra proposta e a chiedere il loro sostegno. Un risultato che a qualcuno, inizialmente, poteva apparire impossibile, ma nel quale noi Radicali abbiamo creduto fin da primo giorno”, dichiara Alessandro Capriccioli.
“L’effetto di questo referendum può essere dirompente”, spiega Riccardo Magi. “Con il proprio voto i romani potranno contribuire ad archiviare un modello di gestione fallimentare, che con i suoi blocchi di potere corporativi ha portato al collasso il servizio di trasporto. Ma rompere il monopolio disastroso di Atac sarebbe un passo decisivo per l’intero Paese, visto che è proprio nel settore dei servizi pubblici locali che la mancanza di gare e di concorrenza danneggia maggiormente i cittadini. Tutte le forze politiche dovranno prendere una posizione chiara, sarà interessante poiché già nel corso della raccolta firme si sono evidenziate divisioni trasversali ai partiti. A cominciare dal Pd, in cui personalità di spicco tra cui Walter Tocci e Roberto Giachetti, hanno aderito alla campagna raccogliendo più di un migliaio di firme, ma altre correnti si sono subito schierate contro. Ecco perché il referendum sarà anche un’occasione per testare le reali intenzioni e capacità di riforma della politica, romana e non solo”, conclude il segretario di Radicali Italiani Magi.
Estate bollente per la Capitale. In luglio è scoppiata la grana “Atac” dopo l’intervista rilasciata dall’ex DG Bruto Rota e le sue dimissioni. Polemiche a non finire e un’alzata di scudi dei sindacati contro la possibilità non tanto remota di un ingresso di altri soggetti in Atac o di un concordato giudiziario. Una vicenda che tocca da vicino i lavoratori ormai frammentati in 11 sigle sindacali. Ragione di più per sentire la voce del segretario della Cgil di Roma e del Lazio Michele Azzola che la mette subito sul polemico.
«Attendevamo con ansia un manager innovativo che usasse il personale come capro espiatorio per spiegare il disastro di Atac – dice ironicamente –. Dopo un anno di giunta Raggi, rocamboleschi cambi di vertice, nomine fondate su competenze tutte da dimostrare, la soluzione all’opinione pubblica è servita: ‘i lavoratori non producono’».
Non mi pare che Rota abbia posto solo la questione dei poveri dipendenti….
«Infatti, tutti i dirigenti Atac hanno conservato il posto nonostante il disastro dal 2006 mentre l’offerta di trasporto pubblico locale si è drasticamente ridotta in quantità e qualità. Pensi che il presidente Manuel Fantasia, appena dimissionato dalla Raggi, non solo non ha licenziato nessun responsabile aziendale, ma addirittura ha reintegrato il dirigente degli acquisti che era stato rimosso dopo le segnalazioni effettuate dall’Anticorruzione per 21mila gare di appalto gestite dall’azienda».
Va bene, ma il consociativismo sindacale e politico danni ne ha pure procurati.
«Guardi che è l’intera classa politica romana ad autoassolversi dalla propria comprovata incapacità e lo fa per nascondere il proprio fallimento, per nascondere le continue ingerenze e pressioni esercitate sui dirigenti aziendali, responsabili di aver accettato di eseguire ordini contrari all’interesse aziendale e dei cittadini per favorire ritorni personali in termini politici e di consenso. Burattini, niente di più».
Insomma, lei assolve i sindacati e condanna i partiti.
« Anche il Pd romano che in parte si attacca al referendum dei Radicali, perché crede di risolvere il problema Atac semplicemente con un cambio di proprietà, senza spiegare che un pezzo significativo del trasporto è già gestito da un privato che ha vinto una gara di appalto con un consorzio capeggiato da Roma TPL. E guarda caso, la qualità di quel servizio è addirittura peggiore della media: vetture vecchie, sporche, assenza di pensiline per l’attesa, un’evasione tariffaria di massa a cui si aggiunge il fatto che i dipendenti si trovano ogni mese a chiedersi se percepiranno lo stipendio o meno».
Scusi se insisto, ma dopo la frequenza degli scioperi spesso promossi da sigle minori e che comunque paralizzano la città, mi pare che lei stia stendendo un pietoso velo sulle loro responsabilità.
«È troppo facile accusare il sindacato e i lavoratori. Non perché in Atac non ci siano lavoratori che possano approfittare della situazione e fare i “furbetti” o sedicenti sindacalisti che possano aver provato a garantire anche a loro, esattamente come al gruppo dirigente e alla politica, un tornaconto personale. Questi episodi vanno portati alla luce e i soggetti coinvolti perseguiti con gli strumenti normativi, di legge e contrattuali, che già esistono. Lo si faccia e la Cgil non potrà che essere d’accordo».
Nessuno dubita dell’onestà della maggioranza dei dipendenti, ma ormai il disservizio bus ha raggiunto livelli insopportabili.
«Sarebbe al disastro totale se non avessimo meccanici che improvvisano riparazioni, inventando ricambi che l’azienda non compra; autisti che guidano sei ore, con queste temperature torride, senza aria condizionata e alla mercé di cittadini e turisti arrabbiati; autisti che decidono di uscire con mezzi non perfettamente funzionanti pur di garantire qualche corsa in più e che ogni giorno continuano a lavorare nonostante intorno a loro vedano sprechi e mala gestione da parte di gruppi dirigenti».
Eppure ci pare che Rota abbia risanato l’Atm di Milano dialogando con i sindacati.
«Allora additi i veri responsabili. Centro destra, centro sinistra e oggi il Movimento 5 stelle che non sono intervenuti per cambiare questo stato di cose e tutti i dirigenti siedono ancora comodamente al loro posto, mentre il politico di turno, che trova il tempo di ricevere aziende desiderose di mettere le mani sul servizio di biglietteria. Certo riorganizzare il servizio e l’azienda Atac è un lavoro serio e faticoso, che andrebbe assegnato ai migliori manager, offrendo loro tutto il sostegno necessario».
Ci pare che Rota lo fosse.
«Il fatto è che quando manager competenti hanno iniziato a toccare dirigenti incompetenti si sono trovati contro proprio quei politici che non potevano permettere si mettesse in discussione un modello che garantiva loro clientele e rendite di posizione. La politica faccia il suo mestiere e pensi a programmare la mobilità della città con corsie preferenziali. Pensi alla regolamentazione dei bus turistici e del traffico privato, alla distribuzione delle merci in città e ristabilisca quel rispetto delle regole ormai completamente ignorate nell’anarchia totale. Infine deve risolvere la drammatica situazione economico/finanziaria valorizzando il patrimonio immobiliare di Atac sfruttando gli spazi non indispensabili per patrimonializzare l’azienda».
Se questi sono i compiti della politica, cosa dovrebbero invece fare i manager?
«Debbono riorganizzare l’azienda senza interferenze, ammodernarla nel parco mezzi e nelle tecnologie, contrastando l’evasione tariffaria. Poi debbono rimettere sotto controllo il sistema degli appalti, vero e proprio distributore improprio di risorse pubbliche, in assoluta trasparenza».
Questa è l’opinione della Cgil che tuttavia non è l’unico sindacato sulla piazza.
«Noi vogliamo fare la nostra parte la sua parte e chi vuole dividere gli utenti dai lavoratori non sa che entrambe le categorie sono vittime dei disservizi e vengono strumentalmente messi in contrapposizione solo per poter garantire a chi gestisce di continuare a perseguire interessi altri. In ogni caso sappia che non esiste dirigente Atac che possa dire di aver mai ricevuto pressioni dalla Cgil per assunzioni o per la gestione interessata degli appalti».
Ma è sufficiente la vostra buona volontà?
«L’alternativa è che magari si arriverà al referendum oppure al concordato, ma le cose continueranno ad andare come sono sempre andate, con buona pace dei cittadini che continueranno a essere raggirati».
La storia di Atac degli ultimi nove anni è un po’ come il gioco dell’oca, si torna sempre al punto di partenza tanto che oggi si mormora di un nuovo scorporo della società in metro, tram/bus e altro giusto per evitare il concordato che pure Di Maio approva. Ma facciamo un po’ di storia di quest’azienda dagli incarichi apicali a porte girevoli e di un team di dirigenti (47 con un altra trentina di quadri assimilabili) inamovibile.
Con il capodanno del 2010 si avvera il miracolo di Alemanno che fonde in Atac Met.Ro. e Trambus, assumendo il controllo diretto di ogni forma di mobilità collettiva nell’Area Metropolitana di Roma: dalle metropolitane alle ferrovie regionali, dai parcheggi di scambio e sosta tariffata, fino ai servizi di trasporto scolastico e le linee turistiche.
Primo amministratore delegato di questo colosso, fra i più grandi d’Europa nel tpl, il commercialista Adalberto Bertucci, su nomina diretta del sindaco Gianni Alemanno. Nel frattempo scoppia lo scandalo dei conti Atac e meno di dieci mesi dopo Bertucci, nell’ottobre del 2010 lascia la poltrona di amministratore delegato a Maurizio Basile, allora capo di gabinetto del sindaco e dal 2006 al 2008 ad e direttore generale generale di Aeroporti di Roma spa.
Appena Basile arriva in Atac esplode lo scandalo di parentopoli, ma Basile tira dritto, fornisce le carte alla procura e presenta il suo bravo piano di ristrutturazione che non venne mai reso noto eccetto quanto pubblicato a suo tempo da questa testata, ma nell’aprile del 2011 si dimette insieme al presidente del Cda per contrasti di vedute con il sindaco.
È a questo punto che s’invera il miracolo del consociativismo e dopo un po’ di trattative bipartisan, nello stesso mese di aprile 2011 arriva Carlo Tosti scelto dal sindaco quale amministratore delegato e Antonio Cassano direttore generale in quota Pd, scelto dopo un “ballottaggio” con Luca Avarello, allora e tuttora a Roma Servizi per la Mobilità.
Anche loro presentano il loro bravo piano di risanamento che sotto il profilo finanziario è sempre lo stesso sino a Rettighieri e Rota, l’uovo di colombo della vendita degli immobili Atac dismessi, sempre proclamata e mai realizzata.
Si avvicinano le comunali del 2013 e Atac rimane non risanata e sempre in perdita così nel settembre del 2012 Alemanno dimissiona Tosti mentre Cassano resterà nel suo incarico con l’amministrazione Marino.
Sempre nello stesso mese scatta la soluzione ponte con la nomina ad Ad di Roberto Diacetti che sbarca dallo stesso incarico in Risorse per Roma. Vince Marino e daje con un altro giro di valzer. C’è bisogno di qualcuno che rimetta mano al debito monstre di Atac e l’allora assessore alla mobilità Improta fa venire da Milano Danilo Broggi che nel luglio del 2013 occupa la poltrona di Diacetti.
Nel novembre del 2014 si dimetterà anche Cassano indagato insieme a Gabbuti, ad di Atac spa dal 2005 al 2009 e di Atac Patrimonio fino al 2013, con l’accusa di presunto peculato.
Nel maggio del 2015 gli succederà Francesco Micheli che di trasporti non se ne intendeva gran che, ma con una robusta esperienza di banche quale capo del personale.
Nel dicembre 2014 i primi arresti per l’inchiesta del ‘mondo di mezzo’ e Marino è in evidente affanno, a pochi mesi dalla sua caduta nomina il nuovo assessore alla mobilità nella persona del senatore torinese Stefano Esposito che nel febbraio 2016 indica come nuovo dg Marco Rettighieri mentre Armando Brandolese era già succeduto a Broggi nel dicembre del 2015.
Fa appena in tempo a vincere la Raggi che nel settembre del 2016 i due se la danno a gambe levate fiutata l’aria che tira in casa Cinque Stelle.
A questo punto il pensiero grillino partorisce l’idea del nuovo amministratore delegato nella persona dello sconosciuto manager Manuel Fantasia, ingegnere nucleare, che arriva alla Prenestina nel settembre 2016 e ci resta sino a ieri dimissionato senza tanti complimenti dalla Sindaca.
La carica di direttore generale resta vacante sino a tre mesi fa quando sbarca da Milano Bruno Rota che spacca tutto e si dimette le scorsa settimana.
Ma l’immigrazione dal nord non è finita perché al posto di Fantasia arriva il veneto Simioni amico e collaboratore di Colomban che avrebbe dovuto coordinare le sorti delle municipalizzate, ma il mese prossimo pare voglia tornare ai suoi affari di affermato imprenditore.
Non ci rimane che piangere con la fredda statistica. Dall’accorpamento di Atac (2010) ad oggi si sono succeduti 6 amministratori delegati e almeno 5 direttori generali, 4 piani di risanamento aziendali rimasti sulla carta un numero imprecisato di proclami, comunicati e scioperi sino al disastro attuale. Ditemi voi se questa è un’azienda.
Il referendum promosso dal partito radicale sul trasporto pubblico consente ai cittadini di decidere sul problema più importante di Roma. Il monopolio Atac è ormai insostenibile per le finanze comunali ed è causa di malessere quotidiano della città. Il ricorso alle gare europee è l’unico strumento che può abbassare i costi e quindi aumentare le percorrenze degli autobus e la qualità del servizio.
Come spesso accade nel nostro Paese, la discussione si è divisa tra favorevoli o contrari per motivi ideologici. È invece dirimente il modo: l’esito può essere molto positivo se le gare sviluppano l’interesse pubblico, così come molto negativo se si creasse un monopolio privato. È la differenza tra la liberalizzazione e la privatizzazione.
La liberalizzazione richiede la separazione tra le funzioni di regolazione – la rete, gli standard, le tariffe e gli impianti – e le funzioni di produzione – la guida dei mezzi e la manutenzione. Le prime costituiscono il valore sociale del servizio e devono rimanere sotto il controllo pubblico; le seconde invece sono attività industriali da migliorare mediante la concorrenza tra privati. Gli operatori che vincono i lotti delle gare, gradualmente uno per ogni deposito, devono fornire i servizi in base a costi, quantità e qualità definiti nei contratti, pena severe sanzioni da parte del Comune fino a eventuali rescissioni. I contratti garantiscono inoltre il posto di lavoro degli autisti e degli operai, ma non dei dirigenti; per ricostruire il principio di organizzazione oggi smarrito in Atac è necessario rinnovare il management.
Fondamentale è anche coinvolgere le formidabili competenze degli utenti. In autobus rimango spesso ammirato dei discorsi dei passeggeri sui percorsi, le frequenze e perfino i turni del personale. A Parigi e Berlino si legge il giornale senza pensare ai turni, la competenza dei romani è cresciuta come risposta al malfunzionamento. Forse ne faremmo volentieri a meno, ma visto che c’è, almeno metterla in comunicazione con l’azienda mediante le nuove tecnologie aiuterebbe il miglioramento del servizio.
La fine degli anni novanta vide a Roma la separazione tra regolazione e produzione, che furono destinate rispettivamente alle due nuove società Atac spa e Trambus. Per bloccare la liberalizzazione fu successivamente ricostruita un’azienda unica, la quale tornò presto a essere un grande calderone utilizzato poi da Alemanno per gli sprechi di Parentopoli. Il sindaco Marino ha conservato il monopolio e la sindaca Raggi lo ha sigillato, smentendo la promessa discontinuità.
Tuttavia, le leggi vigenti impongono nuove gare entro dicembre 2019. Addirittura scade l’anno prossimo il contratto già in gestione con i privati per la rete periferica. Il Comune si troverà presto con l’acqua alla gola: a causa della complessità e dei ritardi delle gare sarà costretto a prorogare i contratti per centinaia di milioni di euro, ma al tempo stesso non potrà farlo, perché il nuovo codice degli appalti vieta le proroghe immotivate. Inoltre, perderà una quota di finanziamenti pubblici come penalizzazione per l’assenza di concorrenza. Si rischia il collasso amministrativo e finanziario del servizio di trasporto pubblico. Se ciò sia frutto di inconsapevolezza o di cinismo, non saprei dirlo con certezza.
Di sicuro sono molte le lobbies che puntano a creare una grave emergenza per giustificare la svendita delle azioni dell’Atac. In questo scenario non ci sarebbe più tempo per la liberalizzazione, e l’unica soluzione disponibile sarebbe una privatizzazione disperata, come in passato è accaduto spesso in Italia (si veda il caso dell’IRI).
Al monopolio pubblico si sostituirebbe un monopolio privato che prenderebbe possesso anche delle funzioni pubbliche – reti, standard e tariffe – e imporrebbe le sue regole al Comune. Ai cittadini verrebbe erogato un servizio scadente, senza tutelare neppure i lavoratori.
Per evitare il peggio occorre dare la parola ai cittadini con il referendum.
Pubblichiamo vari materiali sul referendum #MobilitiamoRoma lanciato da Radicali Italiani, che stanno raccogliendo le firme per chiedere che i vari settori del trasporto pubblico della Capitale siano affidati a imprese…