Pubblichiamo in questa pagina i contributi che ci sono stati inviati in occasione dell’incontro “Come si governa Roma dai Municipi alla città metropolitana” del 20 novembre 2015: Un’idea di Roma di Alfonso Pascale, un contributo dal Movimento Cinquestelle della Regione Lazio e L’emergenza istituzionale delle Città metropolitane e il caso di Roma di Giovanni De Pascalis
L’emergenza istituzionale delle Città metropolitane e il caso di Roma
di Giovanni De Pascalis
(24 novembre 2015) Il grande, sottovalutato scandalo politico della mancata istituzione, di fatto, ormai da decenni, delle Città metropolitane (si parlò per la prima volta delle dieci, o dodici, città metropolitane italiane nella legge sugli enti locali del 1990) continua, come una saga vergognosa e grottesca. E questo nonostante, non lo si dimentichi, le Città metropolitane siano previste, dal 2001, perfino dalla Costituzione (Titolo V, art. 114). Venticinque anni fa era già evidente che le maggiori città italiane erano ormai divenute organismi metropolitani, estendendo le proprie dimensioni, e la propria area d’influenza, ben oltre i confini della città capoluogo, quasi fino all’intero territorio provinciale, nel fondersi della città capoluogo con la nuvola dei piccoli o medi Comuni tutto intorno, in un continuum di urbanizzazione – e spesso di degrado – senza soluzione di continuità. Ciò è particolarmente evidente a Milano, Roma e Napoli, le tre più maggiori città metropolitane italiane, in cui l’area metropolitana si estende all’intera provincia o addirittura la supera (come a Milano e a Napoli), ma l’esistenza dell’area metropolitana, con tutte le sue caratteristiche e dinamiche sociali ed economiche, è comunque ben evidente anche per Torino, Genova, Bari, Firenze, Bologna e Palermo. Il Comune di Roma, il Comune di Milano e quello di Napoli, e gli altri ricordati, appaiono dunque enti assolutamente sotto-dimensionati rispetto all’esigenza, fondamentale, di governare le dinamiche urbanistiche, ambientali e paesaggistiche quali si sono sviluppate ed affermate negli ultimi decenni, comprese naturalmente tutte le assai complesse problematiche della mobilità metropolitana. Attenzione, però: non ogni competenza politico-amministrativa dovrebbe essere trasferita al nuovo ente istituzionale più grande, quello della Città metropolitana. In realtà moltissime competenze andrebbero invece spostate in senso inverso, ad enti istituzionali più piccoli rispetto al Comune capoluogo, cioè ai cosiddetti Municipi, la cui funzione dovrebbe al più presto avvicinarsi – il più possibile – a quella di veri e propri Comuni. In altre parole, all’interno dell’area metropolitana, se alcune funzioni – la pianificazione territoriale e strategica, la progettazione, realizzazione e gestione delle infrastrutture per il trasporto pubblico e delle grandi reti per la mobilità, il ciclo dei rifiuti, in particolare nella sua filiera finale (il riciclo e lo smaltimento) e la politica culturale di livello più alto e più alto impegno economico – andrebbero spostate ad un livello superiore a quello degli attuali Comuni, cioè al livello della Città metropolitana, moltissime altre funzioni minori (per dimensione della ricaduta territoriale) andrebbero invece spostate dagli attuali grandi Comuni capoluogo – Roma, Milano, Napoli, ecc. – ai più piccoli Municipi in cui questi sono già oggi ripartiti, da ridisegnare però opportunamente, per esempio nel caso di Roma – e che in un immediato futuro – io credo anche da domani – potrebbero divenire veri e propri Comuni. Proprio questa è una delle questioni irrisolte dell’attuale normativa sulle Città metropolitane: la legge Del Rio prevede solo una non meglio precisata maggiore autonomia amministrativa per gli attuali Municipi. Ancora una volta, la nostra classe politica nazionale ha preferito non decidere, non imporre una vera riforma della struttura istituzionale delle nostre più grandi città.
Altra questione fondamentale: resta ancora da risolvere il nodo dell’elezione diretta, da parte di tutti i cittadini, del Consiglio metropolitano e del sindaco metropolitano: che sono stati eletti, un anno fa, per la prima volta, con elezione indiretta, cioè dai consiglieri comunali e dai sindaci di tutta la Provincia, invece che dall’intera popolazione residente. E il risultato, come era tranquillamente prevedibile, è l’assoluta irrilevanza politica degli organismi eletti. Il problema è che per procedere all’elezione diretta occorre una legge elettorale approvata dal Parlamento, e fino ad ora, i nostri parlamentari si sono ben guardati dall’approvarla…
Ma torniamo alla questione della ripartizione del Comune capoluogo in Municipi aventi una grande autonomia amministrativa, tale da potersi comparare a quella dei veri e propri Comuni. Nel caso di Roma, è a tutti evidente che non si può continuare ad avere un potere centrale – il Campidoglio – che si occupa di tutto a tutti i livelli. Come ha efficacemente sintetizzato Estella Marino, facendo l’esempio del verde pubblico: “da Villa Borghese alla più piccola aiuola spartitraffico della più estrema periferia della città…” No, davvero non si può continuare così, se si vuole che Roma possa risollevarsi dal disastro politico e amministrativo in cui da almeno 10 anni si dibatte e dal quale ancora non si è risollevata. La recente diminuzione del numero complessivo dei Municipi, posta in essere durante l’amministrazione Alemanno, ha rappresentato un’occasione persa. Perché gli attuali 15 Municipi sono a mio parere ancora troppi, ma soprattutto perché si è proceduto solo ad alcuni frettolosi accorpamenti, e non ad un ridisegno complessivo guidato da criteri razionali. Se prendiamo in considerazione la città entro il Grande Raccordo Anulare, ed anche le aree a questo limitrofe, ovvero che “orbitano” sul G.R.A. (con la sola eccezione di Ciampino, che è Comune da oltre 40 anni, ed è quindi opportuno che tale resti) vediamo che l’area metropolitana presa in considerazione può ben essere ripartita in 12 parti. Il Centro storico, cioè l’attuale primo Municipio, allargato a Porta Cavalleggeri-Fornaci, Monteverde vecchio, Porto Fluviale e area dell’ex Manifattura Tabacchi (Capitan Bavastro, ecc.), San Lorenzo fuori le Mura, Città universitaria, Policlinico Umberto I, Villa Borghese, Flaminio, compreso il Villaggio Olimpico, fino a Ponte Milvio e al Ponte Duca d’Aosta; con la sottrazione, però, delle aree tra p.le degli Eroi e Valle Aurelia e dell’area della Città giudiziaria (aree che a mio avviso andrebbero unite alle aree limitrofe di Monte Mario e dell’Aurelio) L’attuale secondo Muncipio, con la sottrazione delle aree prima elencate, da unire al Centro storico. Roma Montesacro; Roma Tiburtino; Roma Prenestino-Casilino, che allargherei ad includere l’area di Viale dei Romanisti, quindi facendo coincidere il confine orientale del Municipio con il G.R.A. Poi, ancora, Roma Torri (Tor Bella Monaca, Tor Vergata, ecc.); Roma Appio-Tuscolano; Roma Garbatella; Roma Eur; Roma Monteverde, cioè gli attuali 11° e 12° Municipio, che ben possono essere unificati (potendosi tra l’altro ubicare la sede del futuro Municipio all’interno del complesso dell’ex ospedale Forlanini!) Roma Monte Mario, cioè gli attuali tredicesimo e quattordicesimo Municipio (con l’aggiunta dell’area tra p.le degli Eroi e Valle Aurelia e della Città Giudiziaria) che possono ben essere unificati, tenuto conto che il territorio dell’attuale 13° Municipio non ha una ben precisa identità geografica e sociale, e la stessa cosa può dirsi per il 14°. Poi, il Municipio di Roma Nord (Cassia e Flaminia), a cui però andrebbe sottratto Cesano, che ha una sua identità geografica autonoma dal resto della città di Roma e quindi anche dall’attuale 15° Municipio (già XX) e tenendo conto anche del numero dei suoi abitanti, diecimila, può quindi essere promosso a Municipio/Comune a sé (seguendo peraltro l’esempio di altre aree con caratteristiche simili, quali Formello, Fontenuova e Ciampino) Con Cesano siamo già ben fuori il Raccordo Anulare, non resta quindi che arrivare a Ostia per completare la ripartizione dell’attuale Comune di Roma che propongo alla discussione. Quindi, ricapitolando, sono convinto che l’attuale Comune di Roma potrebbe essere suddiviso, prendendo in considerazione l’area entro il Raccordo Anulare o che orbita intorno ad esso, in dodici Municipi, o futuri Comuni veri e propri, i seguenti:
1 – Roma Centro;
2 – Roma Italia;
3 – Roma Montesacro;
4 – Roma Tiburtino;
5 – Roma Prenestino;
6 – Roma Est;
7 – Roma Appio-Tuscolano;
8 – Roma Garbatella;
9 – Roma Eur;
10 – Roma Monteverde;
11 – Roma Monte Mario;
12 – Roma Nord.
A questi dodici si aggiungerebbero poi Cesano e Ostia.
Se questi nuovi 14 Municipi, ovvero “quasi Comuni”, fossero dotati davvero di una grande autonomia amministrativa, tendenzialmente quella propria di Comuni veri e propri, la struttura istituzionale della città di Roma sarebbe rivoluzionata rispetto ad oggi: si tratterebbe di un enorme passo in avanti!
Giovanni De Pascalis
Un’idea di Roma
di Alfonso Pascale 13-11-2015
Ci vuole un’iniziativa forte e idealmente motivata in tutti i quartieri di Roma: una vera e propria fase costituente. Spetta, infatti, ai romani decidere se trasformarsi in cittadini capaci di autogoverno per poter esercitare le proprie responsabilità, individualmente e collettivamente, o continuare ad essere dei semplici sudditi, alla pari dei visitatori, dei turisti e dei pellegrini, da governare dall’alto mediante strutture centralistiche e monolitiche, commissari e magistrati, prefetti e gendarmi (> leggi l’articolo)
Dal Movimento Cinquestelle della Regione Lazio
19 novembre 2015
Sull’attuazione della Legge Delrio, come abbiamo più volte espresso anche in questi giorni di discussione nelle competenti commissioni, riteniamo che la legge sia profondamente sbagliata e che stia causando gravi disagi e danni economici al Paese.
Infatti bel lungi dall’ eliminare le province, la Delrio le ha trasformate in Enti di area vasta (province e città metropolitane) dalle incerte competenze, mettendo mano in modo illogico, confusionario e maldestro al già complicato sistema delle ripartizione delle competenze e delle deleghe tra stato-regioni-province- e comuni.
Il risultato finale è stato che invece di ingenerare un risparmio nelle casse pubbliche questa riforma sta causando gravi danni economici e funzionali.
Inoltre il passaggio di competenze tra comuni, stato e province, che la riforma rimette ad accordi stato-regioni, sta causando gravi problemi di allocazione del personale dipendente delle province ,migliaia di persone che prima svolgevano funzioni ben determinate ed ora sono invece parcheggiati in attesa di essere assegnati o alle “funzioni fondamentali” delle province o passare a qualche altro Ente come le regioni, in base a criteri poco chiari che odorano molto di affiliazione politica.
Francamente ad oggi sfugge ancora il motivo che abbia indotto ad una tale riforma inutile, dannosa e controproducente, a meno che non la si voglia giustificare solo per sostenere lo slogan propagandistico “ho abolito le province” che per qualche tempo è rimbalzato un po’ su tutte le reti televisive.
In realtà le province sono state portate allo sfascio senza abolirle e ora non si sa con certezza chi debba svolgere i servizi che prima svolgevano le province, con una evidente ricaduta sulla qualità degli stessi, i cui effetti e “costi” si abbatteranno sui cittadini come sempre.
Il Movimento Cinque Stelle, in linea con la propria azione politica volta ad una riduzione degli sprechi, intende cercare di dare un senso alla Riforma Delrio (la cui attuazione è demandata alla Regioni), che ora come ora non lo ha, lasciando alle province e alle città metropolitane solo le cd funzioni fondamentali, e ripartendo le altre funzioni tra regioni e comuni in base al principio di sussidiarietà.
Come sempre la nostra linea e azione politica si traduce in atti concreti e in questo momento in emendamenti che sono in discussione in questi giorni nelle competenti commissioni.
Valentina Corrado
Capogruppo Del Movimento 5 Stelle in Regione Lazio