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Servono regole per il “mostrificio”

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Una riflessione di Tomaso Montanari sull’italica abitudine di prestare opere  preziosissime per  mostre che spesso  privano  per molto tempo le nostre sale dei loro capolavori,  non tanto per promuovere la conoscenza, quanto   per operazioni di  propaganda, o di marketing. In calce un durissimo comunicato del Comitato per la Bellezza

(da emergenzacultura)

Quando il gioco non vale la candela

di Tomaso Montanari

Non esistono dogmi: tutto si può spostare, perfino le architetture possono essere smontate e impacchettate. Il punto è il rapporto rischi-benefici: ogni opera è un pezzo unico, e ogni spostamento comporta un rischio che non può essere portato a zero. Dunque si tratta di decidere, volta per volta, se vale la pena di correre quel rischio. Per deciderlo occorre valutare innanzitutto la serietà e l’importanza della mostra: le opere chiave di Raffaello e Michelangelo vengono ormai chieste in prestito molte volte all’anno, e la selezione diventa vitale, sia per proteggere le opere, che per proteggere chi vede quel museo magari una volta nella vita, e ha diritto di trovarci le opere che ne formano l’identità. Si potrebbe, certo, valutare il rischio di prestare i ritratti dei coniugi Doni ad una grande mostra di Raffaello creata in anni di ricerca, capace di innovare in modo radicale gli studi e di aumentare in misura davvero significativa la conoscenza dell’artista presso il grande pubblico: ma la mostra di Mosca è lontanissima da questo standard. È stata voluta dalla politica e improvvisata dalla diplomazia: il tutto in un lasso di tre mesi.

Un bel libro recente racconta in dettaglio la stagione in cui questo tipo di mostre politiche è stato inventato: era il Fascismo, e quel libro si intitola (guarda un po’) Raffaello on the road. Per promuovere quella del 1930 a Londra, gremita di incredibili capolavori che solo per un soffio non affondarono nella Manica, Mussolini scrisse che la mostra era «un segno portentoso dell’eterna vitalità della razza italiana ». Oggi naturalmente non si pensa che le opere d’arte siano ambasciatori della «razza italiana»: ma si dice apertamente che esse devono promuovere il made in Italy, o il brand Italia. Ma sappiamo che la cultura non può e non deve essere usata così. Oggi pensiamo che debbano essere i musei e i ricercatori a concepire e strutturare le mostre: per produrre conoscenza, e non propaganda, o marketing. E infatti i governi francesi, tedeschi o americani si guardano bene dall’usare il loro patrimonio culturale in questo modo, e sono attentissimi a rispettare l’autonomia scientifica dei musei: unica garanzia della libertà di chi visita le mostre.

Invece, in Italia, la recente riforma dei musei ha dato troppo potere alla politica: se il direttore degli Uffizi commette l’errore fatale di mettere a rischio opere come queste, contro il parere esplicito dell’Opificio delle Pietre Dure, è perché questa mostra è frutto di un accordo firmato dallo stesso governo che l’ha nominato, e che potrebbe non confermarlo a fine mandato. È un gioco di ambizione e di potere fatto sulla pelle di Raffaello, e dei cittadini a cui quei quadri appartengono. È una brutta, vecchia storia: tutto il contrario di una modernizzazione.

Tomaso Montanari, Repubblica, 10 Settembre 2016

Basta col “mostrificio” che fa girare capolavori “inamovibili”

di Comitato per la Bellezza

Il Comitato per la Bellezza si unisce alle denunce di quanti giustamente protestano contro la continua migrazione di opere, anzi di capolavori, dai musei italiani, in patria e all’estero, senza che vi siano più freni né regole di sorta. L’ultimo caso è il nuovo viaggio dell’unico Raffaello importante presente a Urbino, sua città natale, la Muta, che andrà a Mosca per due mesi, per una mostra dal vago titolo “Raffaello e la poesia del ritratto”. Negli anni scorsi i visitatori del Palazzo Ducale non hanno potuto vedere, per mesi, la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca o la Città Ideale attribuita volta a volta a grandi artisti del ‘400 perchè “in trasferta”.
Il Comitato per la Bellezza ritiene che sia quanto mai necessario e urgente riprendere le linee restrittive sui prestiti stilate dalla commissione creata anni fa dall’allora ministro Rutelli limitando al massimo i trasferimento di tele e tavole da museo a museo, anche da città a città, come avvenne a Bologna tre anni fa spogliando per molti mesi la bella Pinacoteca Nazionale di varie opere fondamentali a favore di una mostra-centone da Cimabue a Morandi. Il “mostrificio” non può continuare. A Forlì, per esempio, la notevole Pinacoteca Civica di San Domenico non può venire completata veramente perché le quattro grandi pale – due di Guercino e altre due di Cagnacci, nientemeno – non possono venire ivi trasportate perché quegli spazi sono occupati da mostre (la prossima sull’Art Nouveau) che con la cultura romagnola o regionale nulla hanno a che fare. Mentre il materiale dell’interessantissimo Museo Archeologico (Forlì, sulla Via Emilia, fu punto di incontro di culture etrusche, celtiche e romane) giace da anni in cantina.
Il ministro Franceschini vuol “valorizzare” i musei? Lo faccia dando a tutti risorse decorose e impedendo questo “turismo dei capolavori” che può soltanto nuocere al loro stato di conservazione. Faccia valere subito le regole stabilite dalla commissione insediata a suo tempo da Francesco Rutelli.

Il Comitato per la Bellezza

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