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La Corte Costituzionale: Pubblica Amministrazione e Enti del Terzo settore hanno la medesime finalità di “perseguire il bene comune”

testata Fb Forum Terzo del Lazio

testata Fb Forum Terzo del Lazio

Una recentissima sentenza della Corte Costituzionale  stabilisce che “Pubblica Amministrazione e Enti del Terzo settore hanno la medesime finalità di “perseguire il bene comune” e fonda un modello di relazione tra Pa ed Ets «sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico». Pubblichiamo un commento di Francesca Danese,  Responsabile del Forum del Terzo settore Lazio, e la sentenza della Corte (AMBM)

Una svolta per il terzo settore. La sentenza della Corte Costituzionale  (da Cinquequotidiano 29 giugno 2020)

Co-progettazione e co-programmazione siano davvero le parole d’ordine del futuro immediato, anzi del presente di tutti i territori a partire da Roma Capitale! Finalmente, una sentenza fondamentale della Consulta – per ora sfuggita ai radar dei resoconti giornalistici – stabilisce che Pubblica amministrazione e Enti del Terzo settore hanno la medesime finalità di “perseguire il bene comune” e fonda un modello di relazione tra Pa ed Ets «sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico».

Sono parole chiave che i nostri mondi attendevano da tempo a proposito della definizione dell’articolo 55 del Codice del Terzo Settore (Cts), dl 117/17 (1). La sentenza, pronunciata il 20 maggio ma pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale, si riferisce al ricorso del Governo contro la legge della Regione Umbria e stabilisce che solo gli Ets possono essere coinvolti attivamente tramite programmazione, progettazione e accreditamento ai sensi di quel codice.

Questo avviene perché «gli ETS sono identificati da quel codice come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (art. 4) (2), rivolti a «perseguire il bene comune» (art. 1)(3), a svolgere «attività di interesse generale» (art. 5)(4), senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8) (5), sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11) (6)e a rigorosi controlli (articoli da 90 a 97)(7).

Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici (…). Gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”.

È possibile quindi praticare da subito, non solo immaginare, un modello diverso rispetto a quello perseguito da un mercato che non sempre ha le medesime convergenze di obiettivi con la pubblica amministrazione, tanto più nella fase delicatissima in cui si stanno scegliendo gli strumenti per provare a uscire da una crisi sociale resa più drammatica dall’incidenza della pandemia. Il Terzo settore gode, insomma, di sana e robusta costituzione, benvenuta alla Sentenza 131! Purtroppo assistiamo ancora, anche a Roma, al ricorso frequente a prassi, come quelle delle gare al massimo ribasso d’asta che, non soltanto, mortificano le competenze e il lavoro vivo. E, nonostante questo ricorso continuo al risparmio, le mancate co-programmazione e co-progettazione lasciano – e lasceranno anche al prossimo sincaco – soldi non spesi ossia sottratti a una città che ha e avrà meno servizi di quelli di cui ha bisogno e diritto.

Francesca Danese
Responsabile forum terzo settore Lazio

Codice DL 117 2017 Codice-Terzo-Settore-DL 117 2017 Codice-Terzo-Settore-

Per osservazioni  e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

30 giugno 2020

Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: CARTABIA – Redattore: ANTONINI
Udienza Pubblica del 20/05/2020;    Decisione  del 20/05/2020
Deposito del 26/06/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 5, c. 1°, lett. b), della legge della Regione Umbria 11/04/2019, n. 2.
Massime:
Atti decisi: ric. 70/2019
Pronuncia SENTENZA N. 131 ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2 (Disciplina delle cooperative di comunità), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-20 giugno 2019, depositato in cancelleria il 19 giugno 2019, iscritto al numero 70 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 32, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Umbria;

udito il Giudice relatore Luca Antonini ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 20 maggio 2020;

deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 17-20 giugno 2019 e depositato il 19 giugno 2019 (reg. ric. n. 70 del 2019), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2 (Disciplina delle cooperative di comunità).

Ai fini di tale legge regionale, e «in assenza di norme nazionali che le riconoscano, sono considerate “cooperative di comunità” le società cooperative, costituite ai sensi degli articoli 2511 e seguenti del codice civile ed iscritte all’Albo delle cooperative di cui all’articolo 2512 del codice civile e all’articolo 223-sexiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del codice civile, le quali, anche al fine di contrastare fenomeni di spopolamento, declino economico, degrado sociale urbanistico, perseguono l’interesse generale della comunità in cui operano, promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di beni o servizi collettivi, nonché alla valorizzazione, gestione o all’acquisto collettivo di beni o servizi di interesse generale» (art. 2); tali cooperative, oltre a rispettare quanto previsto dalle norme del codice civile in materia di società cooperative, stabiliscono la propria sede e operano in uno o più Comuni della Regione, nonché prevedono nello statuto o nel regolamento forme di coinvolgimento dei soggetti appartenenti alla comunità di riferimento, modalità di partecipazione degli stessi all’assemblea dei soci e la possibilità di nominarli nel consiglio di amministrazione.

Tali cooperative hanno «come obiettivo la produzione di vantaggi a favore di una comunità territoriale definita alla quale i soci promotori appartengono o eleggono come propria nell’ambito di iniziative a sostegno dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale volte a rafforzare il sistema produttivo integrato e a valorizzare le risorse e le vocazioni territoriali e delle comunità locali nonché a favorire la creazione di offerte di lavoro» (art. 1).

Sono previsti sia la istituzione, presso la Giunta regionale, di un albo regionale delle cooperative di comunità (art. 3), sia interventi finalizzati a sostenere il processo di sviluppo di tali cooperative, consistenti in finanziamenti agevolati, contributi in conto capitale e incentivi per la creazione di nuova occupazione (art. 4).

L’art. 5, rubricato «Strumenti e modalità di raccordo», al comma 1 prevede tra l’altro che la Regione «riconoscendo il rilevante valore sociale e la finalità pubblica della cooperazione in generale e delle cooperative di comunità in particolare […] b) disciplina le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106) e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità e adotta appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale».

La disposizione statale richiamata stabilisce al comma 1 che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività degli enti del Terzo settore (ETS), assicurano il coinvolgimento attivo di questi ultimi «attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», definendo nei commi successivi i caratteri essenziali delle tre suddette forme.

1.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione recata dall’impugnato art. 5, comma 1, lettera b), si porrebbe in contrasto con quella statale da essa richiamata perché prevederebbe il coinvolgimento anche delle cooperative di comunità nelle attività di programmazione, progettazione e accreditamento: infatti, l’art. 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», limiterebbe detto coinvolgimento ai soli ETS, elencati dall’art. 4 dello stesso decreto, tra i quali non sarebbero ricomprese le cooperative di comunità.

In aggiunta, si sottolinea che il coinvolgimento delle cooperative di comunità previsto dalla norma regionale comporterebbe «nella sostanza, l’omologazione di quelle agli enti del Terzo settore i quali, invece, così come tassativamente elencati, sono gli unici soggetti legittimati, secondo la normativa statale di riferimento, a partecipare attivamente alla programmazione statale degli interventi di utilità sociale».

In tal modo, la norma regionale avrebbe ampliato il novero dei soggetti del Terzo settore, individuati e disciplinati dalla legge statale e dal diritto privato, così invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (è richiamata la sentenza n. 185 del 2018).

2.– Con atto depositato il 26 luglio 2019 si è costituita la Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.

La resistente evidenzia anzitutto che le cooperative di comunità, pur essendo ormai molto diffuse sul territorio, non sono normativamente disciplinate a livello nazionale.

Ricorda poi i contenuti di una proposta di legge di iniziativa parlamentare presentata alla Camera dei deputati nella XVII legislatura, avente a oggetto proprio la disciplina di tali cooperative, mai divenuta legge.

Segnala anche che diverse Regioni hanno approvato norme sulle cooperative di comunità con specifiche leggi (Abruzzo, Liguria, Puglia, Sardegna e Sicilia) oppure inserendo articoli a queste dedicati nelle leggi regionali sulla cooperazione (Basilicata, Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana).

2.1.– Con riferimento al motivo di ricorso, la Regione Umbria osserva che dalla definizione di cooperativa di comunità fornita dall’art. 2 della legge regionale impugnata risulterebbero «evidenti […] le finalità di carattere sociale perseguite da tale tipo di società», e ciò farebbe ritenere le cooperative di comunità sempre ricomprese nell’ambito degli ETS tra i quali l’art. 4 del d.lgs. n. 117 del 2017 menziona «le imprese sociali, incluse le cooperative sociali».

In particolare, la definizione di impresa sociale è fornita dall’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, recante «Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106» e le cooperative di comunità ben vi rientrerebbero poiché tale norma statale consente di acquisire la qualifica di impresa sociale a tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti in forma di società, che, in conformità alle disposizioni del citato decreto, «esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività».

A sostegno della qualificazione delle cooperative di comunità come specifica forma di impresa sociale la resistente riporta anche alcuni passaggi dello «Studio di fattibilità per lo sviluppo delle cooperative di comunità», tratto dal sito del Ministero dello sviluppo economico.

In conclusione, le cooperative di comunità, in quanto riconducibili al modello della impresa sociale, rientrerebbero nell’ambito degli ETS e, pertanto, la norma regionale impugnata non violerebbe in alcun modo la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordinamento civile.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale replica agli argomenti esposti dalla Regione Umbria nell’atto di costituzione nonché, in prossimità dell’udienza, delle brevi note ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera c).

In particolare, la memoria sottolinea che il d.lgs. n. 112 del 2017, innovando rispetto alla previgente disciplina della impresa sociale (contenuta nel decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 recante «Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118», oggi abrogato), non farebbe più riferimento «al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 155 del 2006), ma all’esercizio, in via stabile e principale, di «un’attività di impresa di interesse generale» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 2017). Inoltre, l’elenco delle attività considerate di interesse generale, contenuto nell’art. 2, ricalcherebbe solo in parte quello dell’abrogato art. 2 del d.lgs. n. 155 del 2006, avendo aggiunto molti altri settori in cui l’impresa sociale può esercitare l’attività.

Ricorda poi che il citato d.lgs. n. 112 del 2017 equipara ex lege alle imprese sociali le cooperative sociali costituite ai sensi della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali), a prescindere dal possesso, da parte delle seconde, di tutti i requisiti che, per lo stesso decreto delegato, un’impresa deve necessariamente possedere per poter essere qualificata come impresa sociale.

La memoria afferma quindi che le cooperative di comunità, come individuate dal legislatore umbro, non presenterebbero le caratteristiche né delle imprese sociali, né delle cooperative sociali, essendo prive dei connotati tipici e propri di tali tipologie di imprese. Ciò in quanto la forma societaria normata dall’art. 2 della legge regionale impugnata si caratterizzerebbe soltanto per il semplice e generico scopo mutualistico proprio di tutte le società cooperative, ai sensi dell’art. 2511 del codice civile, e non integrerebbe, soprattutto sul piano oggettivo, «le tipologie, d’impresa e societarie, puntualmente definite e disciplinate, rispettivamente, dal d.lgs. n. 112/2017 e dalla l. n. 381/1991», in ragione delle specifiche e tassative attività esercitate.

Quanto ai contenuti dello studio di fattibilità richiamato dalla difesa della Regione, la memoria non li ritiene rilevanti: per un verso, il documento risale al 2016, ed è quindi anteriore sia alla revisione della disciplina in materia di impresa sociale, sia alla riforma degli ETS; per altro verso, il fatto che lo stesso analizza le cooperative di comunità essenzialmente dal punto di vista sociale ed economico confermerebbe che si sarebbe in presenza di un fenomeno non giuridico.

Nelle brevi note, il ricorrente ribadisce che il coinvolgimento nelle attività di cui all’art. 55 del d.lgs. n. 117 del 2017 sarebbe riservato ai soli ETS; pertanto, non ne avrebbero titolo i «soggetti che, pur presentando tratti per certi versi assimilabili a quelli degli enti tipizzati» – ma tali non sarebbero le cooperative di comunità –, non possiedono la qualifica di ETS. Le eventuali eccezioni a tale regola sarebbero puntualmente previste e disciplinate dal d.lgs. n. 117 del 2017 che, infatti, ha espressamente individuato ipotesi di enti del Terzo settore ex lege, quali le cooperative sociali costituite ai sensi della legge n. 381 del 1991 e l’Associazione della Croce Rossa italiana.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2 (Disciplina delle cooperative di comunità).

La legge regionale in esame considera cooperative di comunità le società cooperative che «anche al fine di contrastare fenomeni di spopolamento, declino economico, degrado sociale urbanistico, perseguono l’interesse generale della comunità in cui operano, promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di beni o servizi collettivi, nonché alla valorizzazione, gestione o all’acquisto collettivo di beni o servizi di interesse generale» (art. 2).

Secondo la suddetta legge regionale, le società cooperative, per ottenere il riconoscimento di cooperativa di comunità, stabiliscono la propria sede e operano in uno o più Comuni della Regione, nonché prevedono nello statuto o nel regolamento forme di coinvolgimento dei soggetti appartenenti alla comunità di riferimento, modalità di partecipazione degli stessi all’assemblea dei soci e la possibilità di nominarli nel consiglio di amministrazione. Tali cooperative, infatti, hanno «come obiettivo la produzione di vantaggi a favore di una comunità territoriale definita alla quale i soci promotori appartengono o eleggono come propria nell’ambito di iniziative a sostegno dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale volte a rafforzare il sistema produttivo integrato e a valorizzare le risorse e le vocazioni territoriali e delle comunità locali nonché a favorire la creazione di offerte di lavoro» (art. 1).

Sono previsti sia la istituzione, presso la Giunta regionale, di un albo regionale delle cooperative di comunità (art. 3), sia interventi finalizzati a sostenere il processo di sviluppo di tali cooperative, consistenti in finanziamenti agevolati, contributi in conto capitale e incentivi per la creazione di nuova occupazione (art. 4).

L’art. 5, rubricato «Strumenti e modalità di raccordo», al comma 1 prevede, tra l’altro, che la Regione «riconoscendo il rilevante valore sociale e la finalità pubblica della cooperazione in generale e delle cooperative di comunità in particolare […] b) disciplina le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106) e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità e adotta appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale».

1.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione recata dall’impugnato art. 5, comma 1, lettera b), si porrebbe in contrasto con quella statale da essa richiamata perché prevederebbe il coinvolgimento anche delle cooperative di comunità nell’attività di programmazione, progettazione e accreditamento: infatti, l’art. 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» (d’ora in avanti CTS) limiterebbe detto coinvolgimento ai soli enti del Terzo settore (ETS), individuati dall’art. 4 del decreto stesso, tra i quali non sarebbero ricomprese le cooperative di comunità. La previsione del coinvolgimento delle cooperative di comunità comporterebbe, «nella sostanza, l’omologazione di quelle agli enti del Terzo settore i quali, invece, così come tassativamente elencati, sono gli unici soggetti legittimati, secondo la normativa statale di riferimento, a partecipare attivamente alla programmazione statale degli interventi di utilità sociale».

In tal modo, la norma regionale amplierebbe il novero dei soggetti del Terzo settore, individuati e disciplinati dalla legge statale e dal diritto privato, così invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

1.2.– A confutazione della censura, la resistente argomenta che la definizione di cooperativa di comunità fornita dal legislatore regionale renderebbe evidenti le finalità di carattere sociale perseguite da tale tipo di società, oggetto di disciplina da parte di numerose Regioni, ma non da parte dello Stato.

Nel senso della infondatezza del ricorso, essa richiama l’elencazione degli ETS contenuta nell’art. 4 CTS e, in particolare, «le imprese sociali, incluse le cooperative sociali». Le cooperative di comunità rientrerebbero, infatti, in ogni caso nella definizione di impresa sociale posta dall’art. 1 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, recante «Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106», poiché tale qualifica spetterebbe a tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti in forma di società, che, in conformità alle disposizioni del citato decreto, «esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività».

2.– La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.

2.1.– Nel ricorso statale assume un ruolo centrale il contenuto dell’art. 55 CTS, che la norma regionale impugnata renderebbe riferibile a un soggetto, la cooperativa di comunità, privo della qualifica di ETS.

Su tale norma statale è quindi opportuno soffermarsi.

Questa, al comma 1, stabilisce che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività degli ETS, ne assicurano il coinvolgimento attivo «attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona».

Nei commi successivi la suddetta disposizione specifica che:

«2. La co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili.

3. La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma 2.

4. Ai fini di cui al comma 3, l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner».

Il citato art. 55, che apre il Titolo VII del CTS, disciplinando i rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, rappresenta dunque una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.

Quest’ultima previsione, infatti, ha esplicitato nel testo costituzionale le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della «profonda socialità» che connota la persona umana (sentenza n. 228 del 2004) e della sua possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile» (sentenza n. 75 del 1992): fin da tempi molto risalenti, del resto, le relazioni di solidarietà sono state all’origine di una fitta rete di libera e autonoma mutualità che, ricollegandosi a diverse anime culturali della nostra tradizione, ha inciso profondamente sullo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese. Prima ancora che venissero alla luce i sistemi pubblici di welfare, la creatività dei singoli si è espressa in una molteplicità di forme associative (società di mutuo soccorso, opere caritatevoli, monti di pietà, ecc.) che hanno quindi saputo garantire assistenza, solidarietà e istruzione a chi, nei momenti più difficili della nostra storia, rimaneva escluso.

Nella suddetta disposizione costituzionale, valorizzando l’originaria socialità dell’uomo (sentenza n. 75 del 1992), si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese.

Si è identificato così un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013).

È in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., che l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria – strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi dall’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328) –.

L’art. 55 CTS, infatti, pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS.

Ciò in quanto gli ETS sono identificati dal CTS come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (art. 4), rivolti a «perseguire il bene comune» (art. 1), a svolgere «attività di interesse generale» (art. 5), senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8), sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11) e a rigorosi controlli (articoli da 90 a 97).

Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici: secondo le disposizioni specifiche delle leggi di settore e in coerenza con quanto disposto dal codice medesimo, agli ETS, al fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale.

Gli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”.

Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.

Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.

Del resto, lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA e a. e Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 11 dicembre 2014, in causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., che tendono a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali).

2.2.– Lo specifico modello di condivisione della funzione pubblica prefigurato dal richiamato art. 55 è però riservato in via esclusiva agli enti che rientrano nel perimetro definito dall’art. 4 CTS, in forza del quale costituiscono il Terzo settore gli enti che rientrano in specifiche forme organizzative tipizzate (le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le società di mutuo soccorso, le reti associative, le imprese sociali e le cooperative sociali) e gli altri enti “atipici” (le associazioni riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di diritto privato diversi dalle società) che perseguono, «senza scopo di lucro, […] finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi», e che risultano «iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».

Agli enti che fuoriescono da tale perimetro legale non possono essere riferibili le medesime forme di coinvolgimento previste dall’art. 55 CTS: esiste una stretta connessione tra i requisiti di qualificazione degli ETS e i contenuti della disciplina del loro coinvolgimento nella funzione pubblica.

Infatti, la originale e innovativa (nella sua attuale ampiezza) forma di collaborazione che si instaura mediante gli strumenti delineati dall’art. 55 CTS richiede, negli enti privati che possono prendervi parte, la rigorosa garanzia della comunanza di interessi da perseguire e quindi la effettiva “terzietà” (verificata e assicurata attraverso specifici requisiti giuridici e relativi sistemi di controllo) rispetto al mercato e alle finalità di profitto che lo caratterizzano.

2.3.– Risulta quindi pertinente, salvo quanto si chiarirà di seguito, la censura del ricorrente che prefigura una violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile: in effetti, qualora la norma impugnata mirasse al coinvolgimento anche di ogni forma di cooperativa di comunità nelle attività previste dall’art. 55 CTS si verificherebbe, come appunto rileva il ricorso statale, un’indebita omologazione di tali cooperative agli ETS, «i quali, invece, così come tassativamente elencati, sono gli unici soggetti legittimati, secondo la normativa statale di riferimento, a partecipare attivamente alla programmazione statale degli interventi di utilità sociale».

Questa Corte nella sentenza n. 185 del 2018 ha, infatti, precisato che ricade tipicamente nella competenza statale nella materia «ordinamento civile» non solo la conformazione specifica e l’organizzazione degli ETS, ma anche la definizione delle «regole essenziali di correlazione con le autorità pubbliche».

Il legislatore regionale, quindi, se da un lato è abilitato, nell’ambito delle attività che ricadono nelle materie di propria competenza, a declinare più puntualmente, in relazione alle specificità territoriali, l’attuazione di quanto previsto dall’art. 55 CTS, non può, dall’altro, alterare le regole essenziali delle forme di coinvolgimento attivo nei rapporti tra gli ETS e i soggetti pubblici.

2.3.1.– Tuttavia, va rilevato che la legge reg. Umbria n. 2 del 2019 non contiene, in nessuna sua disposizione, un’espressa qualificazione delle cooperative di comunità come ETS.

Ai sensi dell’art. 1 della legge regionale impugnata, il riconoscimento e la promozione da parte della Regione del ruolo e della funzione delle cooperative di comunità si realizzano, infatti, «nel rispetto degli articoli 45, 117 e 118, quarto comma della Costituzione e della normativa nazionale», della quale vengono necessariamente qui in rilievo il CTS e il d.lgs. n. 112 del 2017 sull’impresa sociale.

Piuttosto, l’art. 2 della legge regionale, nel riferirsi in termini generali alle società cooperative, lascia ai soggetti che le costituiscono la libertà di scegliere quale sottotipo adottare all’interno della comune forma societaria cooperativa: in sostanza, se costituire una cooperativa sociale ai sensi della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali), una cooperativa a mutualità prevalente, ai sensi degli articoli da 2512 a 2514 del codice civile, ovvero una cooperativa il cui statuto non contempli le clausole di non lucratività di cui all’art. 2514 cod. civ.

Ne deriva che le cooperative di comunità, proprio in forza della normativa statale, possono: a) essere costituite come cooperative sociali e, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 112 del 2017, «acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali»; oppure b) essere qualificate come imprese sociali, in quanto però rispettino i requisiti costitutivi previsti dal d.lgs. n. 112 del 2017 – tra i quali in primo luogo l’assenza di scopo di lucro – e si iscrivano nell’apposita sezione del registro delle imprese, manifestando così l’adesione al complessivo regime della impresa sociale, atteso che, per tale tipologia di ETS, il predetto adempimento «soddisfa il requisito dell’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore» (art. 11, comma 3, CTS).

In entrambe queste ipotesi non è imputabile, a carico dell’impugnato art. 5, comma 1, lettera b), della legge reg. Umbria n. 2 del 2019, alcuna alterazione dell’impianto dell’art. 55 CTS: le cooperative di comunità saranno infatti qualificate come imprese sociali e quindi come ETS.

Nell’ipotesi, invece, che le cooperative di comunità siano differentemente costituite (perché gli statuti non contemplano la clausola di non lucratività di cui all’art. 2514 cod. civ.) o qualificate (perché le cooperative non ritengano di acquisire la qualifica di impresa sociale), rimane fermo – contrariamente all’assunto della difesa regionale secondo cui le evidenti finalità di carattere sociale perseguite dalle cooperative di comunità farebbero sempre ricomprendere quest’ultime nell’ambito delle imprese sociali – che alle stesse non sono riferibili le forme di coinvolgimento attivo disciplinate dall’art. 55 CTS.

La norma impugnata ben può però essere interpretata nel senso di non contraddire questa conclusione, in quanto – oltre a prevedere l’adozione di «appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale» – demanda alla Regione un duplice compito: quello di disciplinare «le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del [CTS] e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità».

L’uso della congiunzione «e» nell’ultima parte del richiamato periodo conferma un’interpretazione per cui la disciplina delle modalità di attuazione degli istituti previsti dall’art. 55 CTS è tenuta distinta da quella delle forme di coinvolgimento che le cooperative di comunità, in quanto tali (quando cioè non qualificabili come ETS), possono avere con i soggetti pubblici: essendo gli ambiti concettuali dei due sistemi riconducibili a fonti diverse, questi non sono assimilati quanto a regime.

Tale interpretazione consente, in definitiva, di escludere il vulnus prospettato dal ricorrente, perché la norma censurata non comporta alcuna omologazione tra un soggetto estraneo al Terzo settore e quelli che vi rientrano. Essa, infatti, consente di disciplinare: a) le modalità attuative dell’art. 55 CTS, avendo a riguardo gli ETS, come qualificati dalla normativa statale (e, quindi, anche le cooperative di comunità che in base alla suddetta normativa siano tali); b) le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità, che siano “soltanto” così qualificabili (e non anche come ETS) e che non potranno essere coinvolte con gli stessi strumenti e modalità riservati dal legislatore statale agli ETS ai sensi del citato art. 55 CTS.

Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, va da sé che gli schemi di convenzione-tipo, richiamati dalla disposizione impugnata e da adottare da parte della Regione, sono necessariamente diversi, quanto a presupposti e contenuti, dalle forme di coinvolgimento tipicamente disciplinate per gli ETS, perché, qualora attengano a cooperative di comunità non qualificabili all’interno di tale perimetro, la relazione convenzionale con l’ente pubblico si pone su basi diverse da quella accordata ai primi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2 (Disciplina delle cooperative di comunità), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE

NOTE

TITOLO VII
DEI RAPPORTI CON GLI ENTI PUBBLICI

(1) Art. 55.

Coinvolgimento degli enti del Terzo settore

1. In attuazione dei principi di sussidiarietà, coopera- zione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’esercizio delle proprie funzioni di pro- grammazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’arti- colo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel ri- spetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona.

2. La co-programmazione è finalizzata all’individua- zione, da parte della pubblica amministrazione proceden- te, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili.

3. La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma 2.

4. Ai fini di cui al comma 3, l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e pa- rità di trattamento, previa definizione, da parte della pub- blica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristi- che essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle mo- dalità per l’individuazione degli enti partner.

(2) Art. 4

(3) Art. 1

Art. 1.

Finalità ed oggetto

1. Al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadi- ni che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipa- zione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a va- lorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione, il presente Codice provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina vi- gente in materia di enti del Terzo settore.

(4) Art. 5

Art. 5.

Attività di interesse generale

1. Gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese so- ciali incluse le cooperative sociali, esercitano in via esclu- siva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità ci- viche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme par- ticolari che ne disciplinano l’esercizio, le attività aventi ad oggetto:

a) interventi e servizi sociali ai sensi dell’articolo 1, commi 1 e 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, e suc- cessive modificazioni, e interventi, servizi e prestazio- ni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e alla legge 22 giugno 2016, n. 112, e successive modificazioni;

b) interventi e prestazioni sanitarie;

c) prestazioni socio-sanitarie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, e successive modificazioni;

d) educazione, istruzione e formazione professiona- le, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse so- ciale con finalità educativa;

e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’uti- lizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccol- ta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi;

f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;

g) formazione universitaria e post-universitaria;

h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale;

i) organizzazione e gestione di attività culturali, ar- tistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo;

j) radiodiffusione sonora a carattere comunitario, ai sensi dell’articolo 16, comma 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni;

k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;

l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla pre- venzione della dispersione scolastica e al successo scola- stico e formativo, alla prevenzione del bullismo e al con- trasto della povertà educativa;

m) servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;

n) cooperazione allo sviluppo, ai sensi della legge 11 agosto 2014, n. 125, e successive modificazioni;

o) attività commerciali, produttive, di educazione e informazione, di promozione, di rappresentanza, di con- cessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell’ambito o a favore di filiere del commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore operante in un’area economica svantaggia- ta, situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a promuo- vere l’accesso del produttore al mercato e che preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in fa- vore del produttore e l’obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in modo da permettere ai la- voratori di condurre un’esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonché di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile;

p) servizi finalizzati all’inserimento o al reinseri- mento nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle perso- ne di cui all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106;

q) alloggio sociale, ai sensi del decreto del Mini- stero delle infrastrutture del 22 aprile 2008, e successive modificazioni, nonché ogni altra attività di carattere resi- denziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;

r) accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti;

s) agricoltura sociale, ai sensi dell’articolo 2 della legge 18 agosto 2015, n. 141, e successive modificazioni;

t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;

u) beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratui- ta di alimenti o prodotti di cui alla legge 19 agosto 2016, n. 166, e successive modificazioni, o erogazione di de- naro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo;

v) promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata;

w) promozione e tutela dei diritti umani, civili, so- ciali e politici, nonché dei diritti dei consumatori e degli utenti delle attività di interesse generale di cui al presente articolo, promozione delle pari opportunità e delle inizia- tive di aiuto reciproco, incluse le banche dei tempi di cui all’articolo 27 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e i gruppi di acquisto solidale di cui all’articolo 1, comma 266, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;

x) cura di procedure di adozione internazionale ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184;

y) protezione civile ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;

z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.

2. Tenuto conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2016, n. 106, nonché delle finalità e dei principi di cui agli articoli 1 e 2 del presente Codice, l’elenco delle attività di interesse generale di cui al comma 1 può essere aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 su proposta del Mini- stro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimo- no entro trenta giorni dalla data di trasmissione del de- creto, decorsi i quali quest’ultimo può essere comunque adottato.

(5) Art. 8

Art. 8.

Destinazione del patrimonio ed assenza di scopo di lucro

1. Il patrimonio degli enti del Terzo settore, comprensi- vo di eventuali ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate è utilizzato per lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.

2. Ai fini di cui al comma 1, è vietata la distribuzio- ne, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri compo- nenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo.

3. Ai sensi e per gli effetti del comma 2, si considerano in ogni caso distribuzione indiretta di utili:

a) la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque supe- riori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni;

b) la corresponsione a lavoratori subordinati o au- tonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qua- lifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del de- creto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di in- teresse generale di cui all’articolo 5, comma 1, lettere b), g) o h);

c) l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;

d) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a soci, as- sociati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli or- gani amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o col- legate, esclusivamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale di cui all’articolo 5;

e) la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi pas- sivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento. Il predetto li- mite può essere aggiornato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

(6) Art.11

Art. 11.

Iscrizione

1. Gli enti del Terzo settore si iscrivono nel registro unico nazionale del Terzo settore ed indicano gli estremi dell’iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle co- municazioni al pubblico.

2. Oltre che nel registro unico nazionale del Terzo set- tore, gli enti del Terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di im- presa commerciale sono soggetti all’obbligo dell’iscrizio- ne nel registro delle imprese.

3. Per le imprese sociali, l’iscrizione nell’apposita sezione del registro delle imprese soddisfa il requisi- to dell’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore.

(7).  articoli da 90 a 97

TITOLO XI
DEI CONTROLLI E DEL COORDINAMENTO

Art. 90.

Controlli e poteri sulle fondazioni del Terzo settore

1. I controlli e i poteri di cui agli articoli 25, 26 e 28 del codice civile sono esercitati sulle fondazioni del Ter- zo settore dall’Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore.

Art. 91.

Sanzioni a carico dei rappresentanti legali e dei componenti degli organi amministrativi

1. In caso di distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a un fondatore, un associato, un lavoratore o un collabo- ratore, un amministratore o altro componente di un orga- no associativo dell’ente, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo, i rappresentanti legali e i componenti degli organi amministrativi dell’ente del Terzo settore che han- no commesso la violazione o che hanno concorso a com- mettere la violazione sono soggetti alla sanzione ammi- nistrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 20.000,00 euro.

2. In caso di devoluzione del patrimonio residuo effet- tuata in assenza o in difformità al parere dell’Ufficio del Registro unico nazionale, i rappresentanti legali e i com- ponenti degli organi amministrativi degli enti del Terzo settore che hanno commesso la violazione o che hanno concorso a commettere la violazione sono soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000,00 euro a 5.000,00 euro.

3. Chiunque utilizzi illegittimamente l’indicazione di ente del Terzo settore, di associazione di promozio- ne sociale o di organizzazione di volontariato oppure i corrispondenti acronimi, ETS, APS e ODV, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500,00 euro a 10.000,00 euro. La sanzione medesima è raddoppiata qualora l’illegittimo utilizzo sia finalizzato ad ottenere da terzi l’erogazione di denaro o di altre utilità.

4. Le sanzioni di cui ai commi 1, 2 e 3 e di cui al comma 5 dell’articolo 48 sono irrogate dall’Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore ai sensi dell’articolo 45.

5. Le somme dovute a titolo di sanzioni previste dal presente articolo sono versate all’entrata del bilancio del- lo Stato, secondo modalità da definirsi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Art. 92.

Attività di monitoraggio, vigilanza e controllo

1. Al fine di garantire l’uniforme applicazione della di- sciplina legislativa, statutaria e regolamentare applicabile agli Enti del Terzo settore e l’esercizio dei relativi con- trolli, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali:

a) vigila sul sistema di registrazione degli enti del Terzo settore nel rispetto dei requisiti previsti dal presente codice e monitora lo svolgimento delle attività degli Uf- fici del Registro unico nazione del Terzo settore operanti a livello regionale;

b) promuove l’autocontrollo degli enti del Terzo set- tore autorizzandone l’esercizio da parte delle reti asso- ciative nazionali iscritte nell’apposita sezione del registro unico nazionale e dei Centri di servizio per il volontariato accreditati ai sensi dell’articolo 61;

c) predispone e trasmette alle Camere, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sulle attività di vi- gilanza, monitoraggio e controllo svolte sugli enti del Ter- zo settore anche sulla base dei dati acquisiti attraverso le relazioni di cui all’articolo 95, commi 2 e 3, nonché sullo stato del sistema di registrazione di cui alla lettera b).

2. Restano fermi i poteri delle amministrazioni pub- bliche competenti in ordine ai controlli, alle verifiche ed alla vigilanza finalizzati ad accertare la conformità delle attività di cui all’articolo 5 alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio.

Art. 93.

Controllo

1. I controlli sugli enti del Terzo settore sono finalizzati ad accertare:

a) la sussistenza e la permanenza dei requisiti neces- sari all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore;

b) il perseguimento delle finalità civiche, solidaristi- che o di utilità sociale;

c) l’adempimento degli obblighi derivanti dall’iscri- zione al Registro unico nazionale del Terzo settore;

d) il diritto di avvalersi dei benefici anche fiscali e del 5 per mille derivanti dall’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore;

e) il corretto impiego delle risorse pubbliche, finan- ziarie e strumentali, ad essi attribuite.

2. Alle imprese sociali si applicano le disposizioni con- tenute nell’articolo 15 del decreto legislativo recante revi- sione della disciplina in materia di impresa sociale, di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106.

3. L’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore territorialmente competente esercita le attività di controllo di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1, nei confronti degli enti del Terzo settore aventi sede legale sul proprio territorio, anche attraverso accertamenti docu- mentali, visite ed ispezioni, d’iniziativa, periodicamente o in tutti i casi in cui venga a conoscenza di atti o fatti che possano integrare violazioni alle disposizioni del presente codice, anche con riferimento ai casi di cui al comma 1, lettera b). In caso di enti che dispongano di sedi seconda- rie in regioni diverse da quella della sede legale, l’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore competente ai sensi del primo periodo può, ove necessario, attivare forme di reciproca collaborazione e assistenza con i corri- spondenti uffici di altre regioni per l’effettuazione di con- trolli presso le sedi operative, le articolazioni territoriali e gli organismi affiliati degli enti di terzo settore interessati.

4. Le amministrazioni pubbliche e gli enti territoria- li che erogano risorse finanziarie o concedono l’utilizzo di beni immobili o strumentali di qualunque genere agli enti del Terzo settore per lo svolgimento delle attività statutarie di interesse generale, dispongono i controlli amministrativi e contabili di cui alla lettera e) del com- ma 1 necessari a verificarne il corretto utilizzo da parte dei beneficiari.

5. Le reti associative di cui all’articolo 41, comma 2 iscritte nell’apposita sezione del Registro unico naziona- le del Terzo settore e gli enti accreditati come Centri di servizio per il volontariato previsti dall’articolo 61, ap- positamente autorizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, possono svolgere attività di controllo ai sensi del comma 1, lettere a), b) e c) nei confronti dei rispettivi aderenti.

6. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione di cui al com- ma 5, le reti associative nazionali ed i Centri di servizio per il volontariato devono risultare in possesso dei requi- siti tecnici e professionali stabiliti con il decreto di cui all’articolo 96, tali da garantire un efficace espletamento delle attività di controllo. L’autorizzazione è rilasciata entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza e mantiene validità fino alla avvenuta cancellazione della rete associativa dall’apposita sezione del Registro unico nazionale del Terzo settore, ai sensi dell’articolo 41, o alla revoca dell’accreditamento del CSV, ai sensi dell’artico- lo 66 o fino alla revoca della stessa autorizzazione di cui al comma 5, disposta in caso di accertata inidoneità della rete associativa o del Centro di servizio ad assolvere effi- cacemente le attività di controllo nei confronti dei propri aderenti. Decorso il predetto termine di novanta giorni, l’autorizzazione si intende rilasciata.

7. L’attività di controllo espletata dalle reti associative nazionali e dai Centri di servizio per il volontariato auto- rizzati ai sensi del presente articolo è sottoposta alla vi- gilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Art. 94.

Disposizioni in materia di controlli fiscali

1. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del titolo X l’Amministrazione finanziaria esercita autonomamente attività di controllo in merito al rispetto di quanto previ- sto dagli articoli 8, 9, 13, 15, 23, 24 nonché al possesso dei requisiti richiesti per fruire delle agevolazioni fiscali previste per i soggetti iscritti nel Registro unico nazio- nale del Terzo settore di cui all’articolo 45, avvalendosi dei poteri istruttori previsti dagli articoli 32 e 33 del de- creto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dagli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e, in presenza di violazioni, disconosce la spettanza del regime fiscale applicabile all’ente in ragione dell’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore. L’ufficio che procede alle attività di controllo ha l’obbligo, a pena di nullità del relativo atto di accertamento, di invitare l’ente a compa- rire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accerta- mento. L’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore trasmette all’Amministrazione finanziaria gli esiti dei controlli di competenza, ai fini dell’eventuale assun- zione dei conseguenti provvedimenti.

2. L’Amministrazione finanziaria, a seguito dell’atti- vità di controllo, trasmette all’ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore ogni elemento utile ai fini del- la valutazione in merito all’eventuale cancellazione dal Registro unico di cui all’articolo 45 ove ne ricorrano i presupposti.

3. Resta fermo il controllo eseguito dall’ufficio del Re- gistro Unico nazionale del Terzo settore ai fini dell’iscri- zione, aggiornamento e cancellazione degli enti nel Regi- stro medesimo.

4. Agli enti del Terzo settore non si applicano le di- sposizioni di cui all’articolo 30 del decreto-legge 29 no- vembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 e comunque tali enti non sono tenuti alla presentazione dell’apposito modello di cui al comma 1 del medesimo articolo 30.

Art. 95.

Vigilanza

1. La funzione di vigilanza, esercitata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è finalizzata a verificare il funzionamento del sistema di registrazione degli enti del Terzo settore e del sistema dei controlli al fine di assicura- re principi di uniformità tra i registri regionali all’interno del Registro unico nazionale e una corretta osservanza della disciplina prevista nel presente codice.

2. A tal fine, entro il 15 marzo di ogni anno le Regio- ni e le Province autonome trasmettono al Ministero del

avoro e delle politiche sociali una relazione sulle attivi- tà di iscrizione degli enti al Registro unico nazionale del Terzo settore e di revisione periodica con riferimento ai procedimenti conclusi nell’anno precedente e sulle criti- cità emerse, nonché sui controlli eseguiti nel medesimo periodo e i relativi esiti.

3. L’Organismo nazionale di controllo di cui all’arti- colo 64 trasmette al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la relazione annuale sulla propria attività e sull’at- tività e lo stato dei Centri di servizio per il volontariato entro il termine previsto nel medesimo articolo.

4. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può effettuare verifiche, anche in loco avvalendosi degli Ispet- torati territoriali del lavoro, o a campione, sulle operazio- ni effettuate e sulle attività svolte dagli enti autorizzati al controllo, ai sensi dell’articolo 80 93, dirette al soddisfa- cimento delle finalità accertative espresse nel comma 1.

5. La vigilanza sugli enti di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 19 novembre 1987, n. 476 è eser- citata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Negli organi di controllo di tali enti deve essere assicura- ta la presenza di un rappresentante dell’Amministrazione vigilante. Gli enti medesimi trasmettono al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il bilancio di cui all’artico- lo 13 entro dieci giorni dalla sua approvazione. Al Mini- stero del lavoro e delle politiche sociali sono trasferite le competenze relative alla ripartizione dei contributi di cui all’articolo 2, comma 466, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e successive modificazioni.

Art. 96.

Disposizioni di attuazione

1. Ai sensi dell’articolo 7, comma 4, della legge 6 giu- gno 2016, n. 106, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dell’interno e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sono definiti le forme, i contenuti, i termini e le modalità per l’esercizio delle funzioni di vigilanza, controllo e monitoraggio, le modalità di rac- cordo con le altre Amministrazioni interessate e gli sche- mi delle relazioni annuali. Con il medesimo decreto sono altresì individuati i criteri, i requisiti e le procedure per l’autorizzazione all’esercizio delle attività di controllo da parte delle reti associative nazionali e dei Centri di servi- zio per il volontariato, le forme di vigilanza da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sui sogget- ti autorizzati, nonché i criteri, che tengano anche conto delle dimensioni degli enti da controllare e delle attività da porre in essere, per l’attribuzione ai soggetti autoriz- zati ad effettuare i controlli ai sensi dell’articolo 93, delle relative risorse finanziarie, entro il limite massimo di 5 milioni di euro annui, a decorrere dall’anno 2019.

Art. 97.

Coordinamento delle politiche di governo

1. È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei mi- nistri, una Cabina di regia con il compito di coordinare, in raccordo con i ministeri competenti, le politiche di gover- no e le azioni di promozione e di indirizzo delle attività degli enti del Terzo settore.

2. Ai fini di cui al comma 1, la Cabina di regia:

a) coordina l’attuazione del presente codice al fine di assicurarne la tempestività, l’efficacia e la coerenza ed esprimendo, là dove prescritto, il proprio orientamento in ordine ai relativi decreti e linee guida;

b) promuove le attività di raccordo con le ammini- strazioni pubbliche interessate, nonché la definizione di accordi, protocolli di intesa o convenzioni, anche con enti privati, finalizzati a valorizzare l’attività degli enti del Terzo settore e a sviluppare azioni di sistema;

c) monitora lo stato di attuazione del presente codice anche al fine di segnalare eventuali soluzioni correttive e di miglioramento.

3. La composizione e le modalità di funzionamento della Cabina di regia sono stabilite con decreto del Presi- dente del Consiglio dei ministri, da adottare, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice, assicurando la presenza di rappresentanti del sistema de- gli enti territoriali. La partecipazione alla Cabina di regia è gratuita e non dà diritto alla corresponsione di alcun compenso, indennità, emolumento o rimborso spese co- munque denominato.

4. All’attuazione del presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a ca- rico della finanza pubblica.

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