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La fragilità della costa ligure e la necessità di una transizione ecologica

da Goodmorninggenova.org 22 agosto 2024

di Maurizio Wurtz

(Breve nota su alcune problematiche ambientali della costa ligure, della nuova diga foranea di Genova e della nave rigassificatrice)

Gli intensi fenomeni meteo-marini dell’autunno 2018 hanno evidenziato la fragilità della costa ligure e le carenze progettuali e strutturali dei successivi interventi, concepiti soprattutto per soddisfare interessi corporativi, piuttosto che per una effettiva protezione delle infrastrutture e della rete dei servizi ad esse collegata. Manca quindi un progetto complessivo.

Come è noto e condiviso a livello tecnico e scientifico, ci dobbiamo attendere che tali eventi siano sempre più frequenti e sempre più intensi. Sono gli effetti della crisi climatica in atto. Nonostante le evidenze, le varie forze politiche sembrano non capire la gravità della situazione, mentre interessi particolari e individuali prevalgono sull’urgenza di scelte coerenti con una vera e efficace transizione ecologica, cioè sulla necessità di cambiare radicalmente paradigma.

Cambiare paradigma significa in primo luogo rendersi conto che non riusciremo a mitigare gli effetti della crisi climatica basandoci soltanto su soluzioni tecnologiche e riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra senza salvaguardare i processi che fanno funzionare gli ecosistemi naturali. Purtroppo se leggiamo i vari documenti relativi al PNRR ci accorgiamo che la strada tracciata non va in questa direzione e le recenti scelte del Governo e delle Amministrazioni locali lo dimostrano, in particolare quelle della Regione Liguria e, purtroppo, la dimensione degli interessi in gioco ci spingono a essere pessimisti anche nel caso in cui l’attuale maggioranza andasse all’opposizione.

Nonostante quest’ultima considerazione proverò a elencare alcune problematiche che dovrebbero essere affrontate per il mare e la costa, che rientrano nel campo delle mie competenze professionali

Per quanto riguarda la fascia costiera, servirebbe un progetto complessivo, almeno su scala regionale, che tenga conto delle caratteristiche specifiche di ciascuna località e le interazioni dovute alla circolazione delle correnti e al trasporto dei sedimenti, che valuti quindi le conseguenze lungo l’intero arco costiero ligure e non solo, evitando semplificazioni e generalizzazioni, ma soprattutto evitando danni all’ecosistema. Generalizzazioni che, per esempio, oggi portano a scegliere il ripascimento degli arenili come la panacea per contrastare l’erosione senza valutare che tale pratica, oltre a dover essere rinnovata annualmente e quindi sostanzialmente non efficace, danneggia l’unica protezione naturale delle nostre coste sabbiose, le praterie di Posidonia oceanica. Specie protetta a livello europeo, ma che rappresenta anche uno degli ecosistemi più efficienti per la quantità di ossigeno prodotto e per la capacità di sequestrare anidride carbonica, persino più efficiente di una foresta.
Per questo servirebbe un serio ragionamento sulla norma Bolkestein, sarebbe l’occasione per ripensare alle spiagge, non solo come un bene pubblico e accessibile, ma anche come interfaccia tra mare e terra, con un ruolo fondamentale nelle dinamiche biologiche e chimico-fisiche dell’intero ecosistema marino, un luogo che dovrebbe essere mantenuto vivo per svolgere il suo ruolo ecologico. Oggi, invece, è una distesa di ciottoli di cava o di sabbie prive di vita. Per questo potrebbe anche essere utile applicare coerentemente e concretamente la norma europea per il recupero degli ecosistemi.

Per quanto riguarda la nuova diga foranea del porto di Genova e il posizionamento della nave rigassificatrice Italis LNG già Golar Tundra, i problemi ambientali sono simili e sono ancor più rilevanti, infatti per questi due casi gli effetti si misurano su scala di bacino (non solo del bacino Ligure-provenzale, ma a livello di Mediterraneo). Dopo aver speso gran parte della mia vita professionale a studiare i processi biologici e oceanografici che rendono l’ecosistema marino del Mediterraneo cosi particolare, ho capito che si tratta di un unico ecosistema in cui ciascun elemento è interdipendente e che eventi che si verificano localmente riverberano effetti anche a grande distanza, gli elementi chiave di questo sistema sono le correnti, i vortici e i canyon sottomarini. I primi generano movimenti di masse d’acqua che mettono in connessione i vari elementi dell’ecosistema, i secondi catturano questi movimenti e li accelerano, come vere e proprie autostrade che uniscono la costa con il largo, la superficie con i fondali più profondi. Si tratta quindi di un sistema che funziona su quattro dimensioni il volume e la sua variabilità nel tempo. Noi continuiamo a vederlo come una superficie, anche nel caso di “buone intenzioni”, i termini Area Marina Protetta, Pianificazione degli Spazi Marini, ecc. indicano che la nostra visione e che i nostri strumenti sono ancora molto “spuntati” per affrontare la complessità del sistema. Se servisse, ne è una prova la direttiva Habitat che indica siti da proteggere, ma non i processi bio-oceanografici che rendono quei siti degni di essere protetti.

Il mar Ligure per la presenza dei due più imponenti canyon del Mediterraneo, il canyon del Polcevera e quello del Bisagno, attraversati da una circolazione ciclonica che interessa l’intero bacino e crea una forte corrente di risalita da grandi profondità, è il cuore che fa funzionare l’intero ecosistema. La sua influenza si estende per l’intero bacino occidentale e, interagendo con altri fenomeni oceanografici che si generano nel bacino orientale, contribuisce a trasformare l’acqua atlantica che entra a Gibilterra in acqua più calda e più salata che uscirà per la stessa strada e influenzerà la circolazione delle correnti atlantiche, questo tanto per dare una scala su cui vanno contestualizzate le opere. Basterebbe dare un’occhiata a una carta satellitare per rendersi conto che nel mar Ligure avvengono fenomeni biologici unici e fondamentali per l’ecosistema, in particolare la produzione primaria, segnata da una chiara traccia di alte concentrazioni di clorofilla al centro del bacino ligure-provenzale. Tutto questo grazie ai quei due canyon…..

Ora cosa hanno pensato i nostri amministratori per fare un favore al più grande armatore e terminalista oggi sulla piazza? Di costruire una nuova diga foranea spostandola verso il largo di 500 m, poggiando i cassoni che la comporranno su un fondale di 50m, che verrà consolidato con 7 milioni di tonnellate di materiale lapideo, cioè a pochissima distanza dalla testa dei due canyon che si trova a circa 100 m di profondità e dista poco più di un miglio dalla futura opera.
Ovviamente negli studi di valutazione di impatto gli aspetti sopra descritti non sono assolutamente considerati, vengono snobbate le osservazioni di alcuni tecnici e ricercatori che prevedono seri problemi di stabilità sia del manufatto sia dei fondali. Perplessità che si spingono a prevedere la possibilità che le frane sottomarine, che potrebbero derivare dal peso del materiale lapideo sulle pareti del canyon, possano creare tsunami.
Nonostante che quanto sopra esposto sia ormai noto almeno negli ambienti scientifici, i valenti tecnici che hanno studiato gli effetti della diga hanno anche stabilito che la zona vasta su cui la diga avrà effetto è di……. 5 Km! Se ciò non bastasse, la Commissione Ministeriale di valutazione ha richiesto monitoraggi ante, durante e dopo i lavori con richieste che sfiorano il ridicolo, dando sostanzialmente un parere positivo … a completare il quadro di questa colossale presa in giro Webuild finanzia l’Acquario di Genova che prevede di spostare alcuni organismi nelle sue vasche per tutelare l’ecosistema marino durante i lavori per poi reintrodurli a lavori ultimati……

Colpisce in tutta questa vicenda il silenzio di chi studia il mare da anni, silenzio dalle università e silenzio da altri centri di ricerca. A tal proposito prendo in prestito una considerazione fatta da Elena Granata nel suo libro Placemaker: “La completa integrazione dell’università con il mondo degli affari ha impedito di coltivare quella minima distanza critica che avrebbe potuto rappresentare un punto di vista più oggettivo sul collasso di un sistema ormai perverso nei suoi meccanismi di riproduzione”.

Si gioca sul fatto che gli effetti si manifesteranno in un tempo abbastanza lungo da farci dimenticare la loro origine, come è successo con il porto di Prà e con l’affondamento della petroliera Haven, solo per fare due esempi.

Ma questa diga serve davvero? Non sono un esperto di traffici marittimi, ma da biologo raccolgo segnali di un forte cambiamento in atto a livello globale, passaggi che sino a poco tempo fa erano preclusi alla navigazione oggi sono aperti e alcune specie hanno iniziato a utilizzarli per spostarsi da un oceano all’altro…. Nei prossimi anni è probabile che le coste a Nord del Canada siano libere dai ghiacci e se questo scenario è verosimile, quale rotta sceglieranno le navi portacontainer per passare dal Pacifico all’Atlantico e raggiungere l’Europa? Forse chi progetta grandi opere dovrebbe ragionare su una scala più ampia del proprio tornaconto…
Sarebbe saggio interrompere subito i lavori, riconsiderare il progetto dell’Ing. P. Silva, valutare il destino e il ruolo dello scalo genovese alla luce di una analisi realistica delle dinamiche ambientali, economiche e sociali a livello globale. Riconsiderare un ruolo Mediterraneo e un ponte verso il continente del futuro…l’Africa.

Per la nave rigassificatrice i problemi sono esattamente gli stessi, posizionata sul canyon di Vado scaricherà una quantità enorme di liquidi antifouling che verranno catturati dalla corrente e dal canyon, così entreranno nel sistema con danni irreparabili al funzionamento della rete alimentare. A questo si aggiungono impatti diretti sui fondali e sulle biocenosi di pregio presenti proprio dove la nave dovrebbe posizionare il sistema di ancoraggio. I fondali della rada di Vado sono fortemente inquinati da varie sostanze tossiche e i lavori di scavo per il posizionamento delle tubature disperderanno una grandissima quantità di quei sedimenti, le sostanze tossiche entreranno nella rete alimentare grazie all’efficace azione dei batteri…ecc.

Ovviamente non tocco gli aspetti correlati con gli impatti sull’entroterra savonese e le zone limitrofe interessate dalla posa di un nuovo gasdotto.
A mio modesto parere la scelta di puntare ancora su gas e combustibili fossili è folle e fuori tempo massimo. Le risorse messe in campo per questa operazione sono sottratte all’implementazione di scelte coerenti con una vera transizione ecologica e sicuramente in contrasto con la direzione ormai intrapresa dalla Comunità Europea. Per la quantità di gas prodotto la nave di Vado è sostanzialmente inutile, non deve essere posizionata né li né altrove.

La forte risposta e mobilitazione della popolazione savonese dovrebbe far riflettere sulla necessità di condividere questo tipo di scelte con la cittadinanza, attraverso processi partecipativi in cui le competenze professionali possano confrontarsi in modo trasparente e obiettivo, per altro, come previsto dalle norme europee.

Maurizio Wurtz – scienziato *Firmatario appello “La Liguria che vogliamo”

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

6 settembre 2024

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