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La relazione di Carteinregola all’audizione alla Camera sulla Proposta di legge 1987 (disposizioni connesse alla rigenerazione urbana)

Pubblichiamo il documento oggetto dell’audizione dell’Associazione Carteinregola del 12 settembre 2024 nell’ambito dell’esame, in sede referente, della Proposta di legge C. 1987 Mattia, recante disposizioni in materia di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata e di interventi di ristrutturazione edilizia connessi a interventi di rigenerazione urbana,  illustrato dal vice presidente  Giancarlo Storto alla Commissione Ambiente.

vai a Proposta di legge 1987 Disposizioni in materia di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata e di interventi di ristrutturazione edilizia connessi a interventi di rigenerazione urbana (con riferimenti normativi a cura di Carteinregola)

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ATTO CAMERA 1987 Documento Associazione Carteinregola alla Audizione Commissione Ambiente

12 settembre  2024

Due considerazioni preliminari segnalando in premessa che il testo del provvedimento, intromettendosi in un contesto che comunque dovrebbe tener conto che la materia “governo del territorio” è attualmente tra quelle a legislazione concorrente, determina un evidente detrimento delle competenze regionali. La prima: sembra irragionevole introdurre modifiche sostanziali alla legislazione urbanistica da parte dell’attuale Parlamento (non è l’unico provvedimento in itinere o annunciato) la cui maggioranza considera l’autonomia differenziata – riforma decisamente avversata da Carteinregola – un caposaldo della legislatura in corso (è anche scritto che entro sei mesi si procederà ad “un riordino organico della disciplina di settore”, scadenza assolutamente improbabile con la conseguenza di una validità sine die delle novità che si intendono introdurre); la seconda: viene asserito che “le regioni, le province, i comuni e le comunità montane coordinano l’esercizio delle rispettive competenze”, affermazione priva di logica poiché ogni istituzione legifera in base ai poteri ad essa attribuiti e certamente l’emanazione di una legge non è il risultato di un coordinamento tra più soggetti (in più: quali sono le competenze in materia di province e comunità montane?).

Nel tentativo di dare ordine alle considerazioni che seguono si espongono le nostre riserve con due ragionamenti distinti.

Limiti di altezza e di volumetria

Sulla base della legislazione vigente, l’attività edilizia è soggetta ai seguenti vincoli:

(con riferimento all’art. 41-quinques della legge 1150/1942) le costruzioni non possono superare l’altezza di 25 m e l’indice di fabbricabilità fondiaria non può superare i 3 mc/mq. Per superare tali limiti occorre la preventiva approvazione di un piano particolareggiato o un piano di lottizzazione estesi all’intera area con disposizioni planovolumetriche;

(con riferimento all’art. 8 del decreto ministeriale 1444/68) le altezze massime degli edifici devono sottostare alle seguenti limitazioni: per la zona “A” alle altezze preesistenti nel caso di interventi di risanamento conservativo o agli edifici circostanti per le nuove costruzioni; per la zona “B” agli edifici circostanti ammettendo la possibilità di altezze superiori solo in presenza di un piano particolareggiato o un piano di lottizzazione estesi all’intera area con disposizioni planovolumetriche; per la zona “C” nessun limite a meno degli edifici “contigui o in diretto rapporto con la zona A” rispetto alla quale le altezze devono risultare “compatibili”.

Tralasciando le interpretazioni giurisprudenziali succedutesi nel tempo (non rilevanti in questa sede), quale è quindi la finalità della norma in esame? È di immediata evidenza: annullare i vincoli dei limiti di altezza e di volumetria, che risultano non prescrittivi solo se viene predisposto e approvato uno strumento esecutivo a cui è affidato il compito di analizzare lo stato dei luoghi, e di consentire un loro superamento. Dunque con una semplice norma si cancella l’obbligo da sempre previsto di redigere tali strumenti esecutivi ovunque e in ogni caso, senza neppure mantenere cautele per le zone più fragili (in particolare i centri storici).

A dir poco preoccupante l’affermazione contenuta nel secondo comma. “Gli interventi realizzati o assentiti” in mancanza dell’approvazione del piano esecutivo “sono considerati conformi alla disciplina urbanistica” (salvo quelli per i quali sia stata disposta la demolizione o riduzione in pristino con provvedimento definitivo). Perché preoccupante: è legittimo aspettarsi che le nuove disposizioni diventino efficaci a seguito dell’entrata in vigore della legge, comunque subordinando la diversa e innovativa regolamentazione alla revisione in tal senso delle norme tecniche del piano regolatore che dovranno, se ritenuti compatibili, disciplinare i casi in cui ritenere ammissibili altezze in precedenza non consentite. Diversamente, nella citata norma si attribuisce la conformità ope legis anche agli interventi realizzati (oltre a quelli assentiti). Ma quali basi giuridiche sostengono una così spregiudicata affermazione? Se si fa riferimento ad un intervento che, supponiamo, abbia superato i 25 m di altezza non può che trattarsi di una costruzione illegittima per la parte eccedente e certamente l’abuso resta immutato e perseguibile ai sensi della vigente legislazione con ogni conseguenza sulla commerciabilità del bene (è noto che una costruzione realizzata in zona agricola, superando gli indici edificatori previsti in quelle aree, resta abusiva anche se successivamente il lotto su cui insiste viene incluso in una zona di espansione, non potendo in nessun caso conseguire una concessione in sanatoria e analogo ragionamento vale, ad esempio, per i cosiddetti “grattacieli” realizzati a Milano nell’eventualità abbiano superato le altezze attualmente consentite). Soltanto apparentemente la norma avrebbe però un campo di applicazione limitato perché a sostegno di una sua estensione viene in soccorso un dispositivo recentemente inserito nel decreto legge 69 del 2024 (convertito dalla legge 105) in base al quale gli interventi realizzati in parziale difformità possono ottenere la legittimazione, anche mediante una semplice “segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria”, alla sola condizione che risultino conformi “alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda”. In definitiva si tratta a tutti gli effetti di una nuova sanatoria inserita nella legislazione statale ricorrendo a espressioni che ne dissimulano la reale portata.

Preso atto che le restrizioni all’applicazione della norma si limitano sostanzialmente a consentirne il ricorso negli ambiti già urbanizzati, quelli peraltro dove occorrerebbe maggiore attenzione, ulteriori criticità sono presenti sul contenuto del terzo comma: viene stabilito che la conformità alla disciplina urbanistica è soggetta (lett. a) alla “verifica di adeguatezza delle dotazioni territoriali e dei parametri urbanistici sulla base della legislazione regionale e degli strumenti urbanistici comunali”, condizioni apparentemente stringenti poiché una volumetria aggiuntiva che supera i limiti di legge oggi prescrittivi, in aree in cui il processo urbanizzativo è completato, difficilmente può ottemperare al rispetto delle “dotazioni territoriali” (standard) e, soprattutto, se trattasi di costruzioni realizzate, potrà risultare conforme ai “parametri urbanistici” fissati dagli strumenti urbanistici (che, dovendosi attenere alla legislazione nazionale, devono sottostare, in assenza di strumenti esecutivi, ai richiamati limiti di altezza) ma forte preoccupazioni suscita il termini “adeguatezza” che potrebbe contenere una valutazione qualitativa del tutto discrezionale.

Modifiche alla definizione di ristrutturazione edilizia

Nel primo comma è scritto che Governo, regioni, province (?), comuni e comunità montane (?) si coordinano per individuare “gli interventi qualificati come ristrutturazione edilizia”. Una prima incomprensibile stranezza: la definizione di ristrutturazione edilizia (già oggetto di innumerevoli riscritture tese ad ampliarne il campo di applicazione) è definita nel Testo unico (oggetto di revisione dallo stesso ddl in esame) e spetta poi agli strumenti urbanistici indicare gli ambiti dove questa modalità è ammessa. Non occorre altro e ogni aggiunta crea solo confusione.

Nel comma 4 le principali novità. Si prevede di modificare la definizione per gli “interventi di totale o parziale demolizione e ricostruzione realizzati o assentiti” con riferimento a quelli realizzati dopo il 21 giugno 2013. La definizione assume quindi un valore retroattivo: se è stato realizzato un intervento non conforme in base alla normativa all’epoca vigente, si ritiene che con questo artificioso espediente tutto diventa per incanto legittimo. Una trovata singolare e di assoluta gravità che abolirebbe con un colpo di spugna l’intera legislazione sulle sanatorie.

In che consiste la revisione introdotta nel ddl? In un solo aggettivo: “funzionali”. Allo stato attuale sono compresi, all’interno della categoria della ristrutturazione edilizia, gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche mentre, una volta approvato il ddl, gli interventi consentiti relativi alla totale o parziale demolizione e ricostruzione potranno condurre “alla realizzazione, all’interno del medesimo lotto di intervento, di organismi edilizi che presentino sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari”. Formalmente cambia poco ma l’introduzione di “funzionali” apre a scenari inaspettati: la funzione attribuita all’intervento sembra quindi dovuta a una scelta discrezionale del proponente con tutte le conseguenze che è possibile immaginare e che risulteranno devastanti per una corretta gestione del territorio (un garage di un pano all’interno di un cortile potrà trasformarsi in un edificio multipiano con destinazione residenziale) e poco rassicuranti risultano le clausole riferite al vincolo volumetrico previsto dalla legislazione regionale o dagli strumenti urbanistici e, per quanto già in precedenza considerato, “la verifica di adeguatezza delle dotazioni territoriali e dei parametri urbanistici”.

In definitiva, il testo proposto si inserisce a pieno titolo e con particolare virulenza nella recente produzione legislativa che mira esplicitamente a deregolamentare la materia urbanistica. L’obiettivo viene perseguito in questo caso non soltanto riducendo, attraverso l’eliminazione dei piani esecutivi (piano particolareggiato e piano di lottizzazione esecutiva), la strumentazione a disposizione dei comuni per il controllo delle trasformazioni urbanistiche ma, ed è questo un aspetto assolutamente allarmante, introducendo in modo surrettizio una forma di sanatoria a posteriori a favore degli interventi realizzati (o anche assentiti) che abbiano indebitamente superato i limiti di altezza e di volumetria imposti all’epoca in cui è avvenuta l’operazione immobiliare e di quelli che, pur non avendo i requisiti considerati all’articolo 3 del Testo unico dell’edilizia, potranno rientrare nella categoria della ristrutturazione edilizia. Un provvedimento, quindi, totalmente non condivisibile che conferma, tra l’altro, una visione del tutto parziale della rigenerazione urbana. Quest’ultima, citata nel testo in modo pretestuoso e approssimativo, dovrebbe al contrario essere oggetto di specifica legislazione in modo che venga data sostanza ed univocità di contenuti ad una tematica evocata in ogni circostanza ma non ancora (colpevolmente) disciplinata a livello statale.

17 settembre 2024

per osservazioni e precisazioni : laboratoriocarteinregola@gmail.com

vedi anche: La Proposta di legge che salva i grattacieli di Milano e apre un nuovo Vaso di Pandora edilizio di Anna Maria Bianchi Missaglia – 17 settembre 2024

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