intervento di Luigi Tamborrino di Territorio Roma del 5 marzo 2013
Pare ormai evidente a tutti che Roma deve porsi seriamente il tema di un cambiamento generale del suo modello di sviluppo.
In primis è chiaro all’impresa che si barcamena tra ricerca di liquidità a finanziamento delle attuazioni urbanistiche e la crisi del mercato immobiliare che non garantisce più ritorni certi ad operazioni sempre più incerte ( le 410 concessioni edilizie rilasciate dagli uffici competenti e non ritirate è il chiaro segno dei tempi che stiamo attraversando).
In secondo luogo è chiaro alla cittadinanza intera che assiste, e contrasta, la continua trasformazione del proprio territorio considerandola sempre più operazione economico/finanziaria fine a se stessa anziché risposta concreta alla pur pressante richiesta di residenzialità, (basti pensare alla enorme quantità di invenduto nuovo che si sta accumulando nella città).
Si è persa insomma l’idea stessa dell’urbanistica come processo comune più complesso del fare città e non si riesce più a rintracciare il senso di condivisione che dovrebbe essere alla base della trasformazione urbana.
Una città spaccata in due: da una parte, la stragrande parte della cittadinanza che vive ogni intervento urbanistico, pianificato o meno, come un sopruso inaccettabile, e dall’altra, gli operatori economici e le amministrazioni che pensano di poter imporre scelte urbanistiche scartando decisamente dalla concertazione e dal confronto territoriale.
Come se ne esce? Portando ordine e certezza nel governo del territorio e assumendo ad elemento strategico la presa d’atto della fine dell’espansione della città a favore della rigenerazione urbana. Su questo costruire procedure di “partecipazione cosciente”, (non quelle utili solo per redigere il verbale delle assemblee partecipative da allegare alla delibera), dove il continuo confronto con i territori si basi sulla forza del merito e della certezza nella pianificazione.
Ciò vuol dire che ognuno, secondo le proprie prerogative, deve essere conseguenziale e agire in coerenza ad una nuova idea di gestione del territorio evitando particolarismi, discrezionalità, favoritismi ed eccezioni.
In questo quadro avere la Regione Lazio e il Comune di Roma in piena sintonia nell’azione amministrativa diventa fondamentale per riportare questo senso di fare condiviso, senza il quale si andrebbe di fronte ad una stagione ancora più conflittuale e incapace di dare risposte concrete alle tante necessità presenti.
LE PREROGATIVE DELLA REGIONE LAZIO:
Innanzitutto chiudere la pianificazione complessa. Ciò significa rendere vigente il Piano paesistico Regionale che deve essere puntualmente controdedotto e votato dal consiglio Regionale. In questo percorso è importante attivare un tavolo concertativo con il Mibac in modo da stabilire definitivamente il sistema vincolistico e paesistico su tutto l’ambito regionale.
Fondamentale poi è un Testo unico sull’urbanistica che ordini la materia, semplifichi, senza depotenziarne le garanzie democratiche, le procedure e gli iter amministrativi. Ma anche uno strumento che innovi profondamente immettendo strumenti agili per la rigenerazione urbana di ambiti vasti, per la sostituzione edilizia, per l’ housing sociale esclusivamente negli ambiti trasformabili, per il recupero delle aree dismesse, per la dotazione effettiva degli standard.
Contestualmente è fondamentale intervenire nella pianificazione e nella gestione del sistema ambientale, modificando la legge 29/97 in materia di aree protette, rinnovando la normativa, acquisendo come base la Rete Natura 2000 (parchi e riserve naturali, monumenti naturali, zone speciali di conservazione, siti di importanza comunitaria, zone di protezione speciale) e accorpandone la gestione in ambiti territoriali omogenei. La chiusura poi dei piani di assetto delle riserve naturali rappresenta, non solo un impegno non più prorogabile, ma il senso del grado di serietà della nuova amministrazione.
Inoltre, se si vuole far corrispondere le norme ai fatti, è necessario puntare decisamene sul rilancio dell’agricoltura nella consapevolezza che solo il corretto utilizzo dei suoli è garanzia di tutela e salvaguardia.
Per fare questo bisogna agevolare l’accesso alla terra e al credito a favore del mondo agricolo, ed in particolar modo alle nuove generazioni di agricoltori, normare il riordino degli ambiti agricoli (sia nel ptpr che nei piani d’assetto dei parchi) attorno al miglioramento aziendale di agricoltura multifunazionale, sviluppare seriamente la filiera corta delle merci e la produzione e commercializzazione dei prodotti a km zero.
Ma soprattutto è bene chiarire con i fatti che alla fina dell’espansione della città corrisponderà necessariamente la fine di un’agricoltura di attesa della variante urbanistica (che deve essere fortemente disincentivata) e la fine della stagione degli abusi e della città spontanea (che deve essere fortemente contrastata).
Infine sin da subito è necessario snellire la macchina amministrativa riducendo e accorpando uffici e competenza, ma anche potenziando le strutture strategiche quali ad esempio quelle che sono destinate a interfacciarsi con Bruxelles in merito ai fondi europei da sempre sottoutilizzati.
LE PREROGATIVE DEL COMUNE DI ROMA:
A differenza della regione, che legifera in termini generali, l’ente locale si configura come ente pianificatore ed attuatore del proprio territorio dentro il quadro normativo sovraordinato.
Per questo il comune agisce molto di più nella “carne viva” dei nuclei urbani essendo il soggetto più a diretto contatto con interessi spesso contrastanti, legittimi e illegittimi, sempre in bilico tra i desiderata dei cittadini, degli operatori economici, delle categorie professionali e finanziare. In questo sistema Roma non fa eccezione: le scelte che si prendono nell’aula Giulio Cesare non sono determinate da un’entità astratta ma sono la risultanza di continue spinte e controspinte di forze in campo che di volta in volta si alleano, si contrastano e si compattano.
Per questo, per mantenere la barra ferma sull’interesse pubblico, serve una classe dirigente seria, sganciata da logiche di appartenenza, ancorata al merito e con una visione strategica che sappia andare oltre la durata della consiliatura.
Quindi possiamo sin da subito escludere Alemanno e quel che resta della sua maggioranza per manifesta incapacità a svolgere questo ruolo visto il suo continuo operare in senso opposto e contrario a ciò che necessita:
Prova ne è l’housing sociale per oltre 2300 ettari in agro romano in pieno contrasto con la pianificazione paesistica regionale, la valorizzazione immobiliarista delle aree dismesse, militari e non, al solo scopo contingente di fare cassa, il riconoscimento di nuovi diritti compensativi senza nessuna base giuridica (apsa –Acquafredda, M2 santa Fumia, etc…) a danno della futura gestione della città, l’atterraggio di diritti edificatori in aree destinate a verde pubblico e servizi fuori da ogni logica di pianificazione generale, il raddoppio delle previsioni edificatorie nelle centralità metropolitane a favore della parte privata delle stesse, etc..
Ma attenzione: l’aver continuamente utilizzato l’amministrazione comunale come operosa fucina di nuovi diritti edificatori fuori dalle regole e in aggiunta al pianificato, non solo è un esercizio irresponsabile di arroganza istituzionale, ma ha comportato un’ulteriore arroccamento dei territori su posizioni radicali e di contrasto a qualsiasi trasformazione urbanistica, legittima o meno.
Se a questo poi si aggiunge che nessuno degli accordi deliberati nel passato tramite concertazione ha visto un’attuazione coerente soprattutto per ciò che riguarda l’interesse pubblico (art 11, accordi di programma, compensazioni etc..) ci si può facilmente rendere conto di quanto la cittadinanza sia lontana da riporre la propria fiducia a favore di chicchessia.
In questo quadro la classe dirigente e il prossimo inquilino del Campidoglio avranno da affrontare un compito arduo ma non impossibile se avranno la forza di attestarsi sul merito delle questioni, sulla riorganizzazione della macchina amministrativa vocata alla massima trasparenza, sulla fermezza strategica della fine dell’espansione a favore della rigenerazione urbana, e sul continuo confronto con i territori.
LA NUOVA FASE – CHIUDERE COL PASSATO E APRIRE AL FUTURO
Il primo punto da redimere è il tema della cogenza dei diritti edificatori. Per fare questo bisogna necessariamente prendere atto dei pronunciamenti della Giustizia Amministrativa che, se da una parte indubbiamente riconosce all’ente locale la facoltà di pianificare il proprio territorio collocando e/o cancellando pesi urbanistici, dall’altra impone agli stessi enti locali l’obbligo di garantire motivazioni generali e di evitare eccessi di potere.
Nello specifico di Roma il nuovo piano regolatore generale è stato preceduto dal piano delle certezze che come ampiamente chiarito dai giudici amministrativi,“ si poneva rispetto al previgente P.R.G. del 1965 non già come una variante generale, ma come una forma di intervento circoscritta alle aree in quella fase individuate come soggette a pressanti esigenze di tutela paesaggistica e ambientale; di modo che si riteneva indispensabile, in funzione parzialmente anticipatoria del nuovo strumento urbanistico in itinere, modificare la destinazione di dette aree, rinviando alla definitiva approvazione del Nuovo P.R.G. le complete ed esaustive scelte di fondo sul territorio comunale”.
E qui sta il punto. Nella specificità di Roma : la variante delle certezze nel 1997 ha variato 2.425 ettari di aree edificabili destinandole ad agro vincolato o a verde ( di cui 1.298 all’interno degli allora costituendi parchi e 1.127 all’esterno) comportando, proprio sulla base del grado di vincolistica nazionale e/o derivante dai Piani Territoriali Paesistici presenti, la cancellazione o la compensazione delle previsioni edificatorie all’epoca vigenti. Quindi sono stati cancellati numerosi ambiti edificatori e si è proceduto a compensare solo quelle previsioni urbanistiche dove la vincolistica vigente non inibiva la trasformazione ma si limitava ad indicare prescrizioni attuative (solo a titolo esemplificativo il PTP 15/10 Valle dei Casali permetteva oltre 600.000 mc in vari ambiti sottoposti a tutela limitata) demandando al Nuovo Piano regolatore la ricollocazione degli stessi.
Quindi il nuovo PRG di Roma non contempla lo strumento compensativo come strumento ordinario, anzi lo considera, (per altro chiarendolo bene nell’art 19 delle NTA), quale strumento straordinario utilizzabile solo connesso all’impianto della variante delle certezze e nello specifico il Piano si limita a localizzare aree, meccanismi e procedure al fine di poter accogliere i diritti edificatori da ricollocare.
Proprio per evitare eccessi di potere l’amministrazione comunale deve collocare tutti i diritti compensativi e mantenere una parità di trattamento anche qualora si attivino nuove varianti che, al di là della loro ubicazione temporale, vadano a cancellare diritti edificatori certi antecedenti alla data della stessa variante delle certezze. ( vedi vicenda Consiglio di Stato – Cecchignola Immobiliare).
Il nuovo piano regolatore vigente prevede quindi innovativi istituti di perequazione urbanistica finalizzati a consentire all’Amministrazione di disporre di modalità e procedure più rapide e collaborative rispetto alla classica espropriazione per il reperimento di aree sia per la realizzazione di opere pubbliche e sia per adempiere all’obbligo di collocare tutti i diritti edificatori da compensare.
In sostanza il dimensionamento del PRG vigente è dato dalla sommatoria dei diritti pregressi ed in attuazione (residuo di Piano certo), dalla ricollocazione delle compensazioni (art 19 NTA) connessa al carico urbanistico ad indennizzo della disponibilità di aree ad accogliere le stesse compensazioni, e degli ambiti di riqualificazione dell’esistente (Toponimi, Print, etc..).
Resta ferma la prerogativa degli Enti sovraordinati, Regione e Stato, che possono innovare in qualunque momento la vincolistica, generale e puntuale, al fine di tutelare aree ancorchè con previsione di trasformabilità vigenti. In tal caso l’ente locale ne prenda atto variando la propria previsione urbanistica senza dover fare ricorso all’istituto delle compensazioni.
Quindi chiarito che i diritti edificatori di “vecchia generazione” esistono e in quanto tali sono destinati ad esaurirsi all’interno del dimensionamento spaziale del piano regolatore vigente, bisogna guardare ad una nuova fase del governo del territorio incardinato attorno al concetto di rigenerazione urbana del consolidato in coerenza con il nuovo testo unico dell’urbanistica da redigere in Regione Lazio.
Attenzione: se si riuscirà a trovare un punto condiviso nella città in merito a queste questioni, troppo spesso considerati inutili tecnicismi, riusciremo a concentrare le attenzioni di tutti sulla qualità degli interventi, sulla rivisitazione delle farraginose NTA, sulla loro capacità di riqualificare la città e sul marketing territoriale. Altresì sarà difficile gestire questi interventi urbanistici che inesorabilmente segnano la fine dell’espansione della città, e contestualmente aprire una nuova fase basata sulla prevalenza degli interessi collettivi.
RIGENERAZIONE URBANA PER AMBITI
L’amministrazione Comunale dovrà, sulla base di incentivi, finanziamenti, perequazioni e premialità del nuovo testo regionale, programmare piani di interventi sostanziali di riqualificazione territoriale basati non più su diritti edificatori pregressi ma sul valore dell’interesse pubblico. Così si potrà intervenire puntualmente e in maniera coordinata su territori consolidati che necessitano di riordino urbanistico, adeguamento reale degli standard, abbattimento e ricostruzione, infrastrutturazione e spazi pubblici, housing sociale, ottimizzazione nell’uso del territorio, efficcentamento energetico, etc.. .
Per fare questo è necessario avere chiaro due punti: la tempistica limitata del piano e degli incentivi (onde evitare la triste storia dei PRU), e la necessità di una cabina di regia strutturata come ufficio di scopo per ogni singolo ambito di rigenerazione urbana.
Quindi puntare decisamente sulla razionalizzazione della città consolidata e sul suo riordino a partire dalla riqualificazione degli spazi pubblici, della vivibilità collettiva, e delle valenze ambientali ed architettoniche ma anche sulla concreta attuazione degli ambiti strategici del Tevere, delle mura, del sistema del campo trincerato di Roma, etc..
Nella definizione degli ambiti dovranno avere priorità quei territori che vedono importanti aree dismesse (l’ex fiera di Roma, le caserme, il centro carni, etc..) intorno alle quali incardinare la rigenerazione urbana partendo dai progetti e non dagli indici di cubatura.
Ma anche quei tessuti omogenei che per la loro ubicazione e la loro stratificazione funzionale hanno una chiara vocazione strategica e che dispongono di enormi potenzialità di rivitalizzazione economica inespressa come ad esempio l’ambito di Testaccio-Porta portese.
IL TEMA PATRIMONIALE
In questo quadro il tema patrimoniale dell’amministrazione comunale gioca un ruolo chiave. Il Comune di Roma è un proprietario sciatto e poco interessato dell’enorme patrimonio immobiliare di cui dispone, incapace sia di gestirlo che di valorizzarlo correttamente. Raramente prende in carico le aree di cessione derivanti dagli interventi urbanistici che spesso rientrano nella disponibilità del cedente, lascia in abbandono decine di ettari che vengono regolarmente occupate aprendo la strada a future usucapioni, e nel contempo è sempre in cerca di nuove “aree di manovra” da acquisire per determinare standard e/o collocare interventi urbanistici.
La vicenda poi relativa ai Punti Verde Qualità sta a dimostrazione di come la mala gestione del patrimonio comunale favorisca l’infiltrazione di soggetti senza scrupoli a danno degli operatori che da anni portano avanti questi programmi con onestà, determinando contestualmente gravi perdite economiche per le casse dell’amministrazione e carenza di servizi per la cittadinanza.
Mentre sulle aree pregiate interne al sistema ambientale acquisite o da acquisire tramite procedure compensative ancora non si è stato in grado di immaginare una gestione alternativa a quella da affidare al servizio giardini, mentre nella città si costituiscono cooperative di giovani agricoltori e associazioni per gli orti urbani che rivendicano terra da coltivare (è emblematico che a fronte di decine di orti urbani diffusi nella città solo uno è comunale) e il dibattito sull’agricoltura multifunzionale nelle aree periurbane è centrale in tutte le città europee.
Per non parlare dell’endemica incapacità gestionale di quell’enorme patrimonio non residenziale che il più delle volte giace in uno stato di abbandono da anni (solo a titolo esemplificativo palazzo Rivaldi ai fori, palazzo del Governo vecchio, i forti ardeatino e monte antenne, l’arsenale pontificio etc..) e che deve essere recuperato e riconsegnato alla città.
In un ottica di rigenerazione urbana è fondamentale mettere in campo in maniera innovativa questo patrimonio pubblico, non per fare cassa tramite la vendita, ma per rivitalizzare la città tramite nuove forme concessorie durature nel tempo che sappiano sviluppare attività economiche solide e innovative. Certamente non è possibile immaginare il riuso del dismesso a totale carico dell’amministrazione ma necessita una compartecipazione del privato, sia esso impresa che associazionismo diffuso, in un ottica sia di recupero della città e sia di volano per lo sviluppo dinamico di nuova imprenditoria culturale, turistico e ricettiva, ma anche legata al sociale, al tempo libero, ai servizi, alle nuove tecnologie e alla creatività.
Anche il patrimonio abitativo del comune di Roma deve essere riorganizzato in relazione al patrimonio ater e gestito con efficienza, implementato sia tramite il recupero dell’esistente e sia tramite le attuazioni urbanistiche previste dal piano. Ma un ruolo fondamentale giocherà proprio la capacità di attivare all’interno degli ambiti di rigenerazione urbana e nelle parti dismesse degli stessi quell’housing sociale, in maniera diffusa e nel consolidato, a favore dei ceti medio-bassi e di categorie quali studenti, giovani coppie, fuorisede etc.. A supporto di questo bisogna istituire, con sedi dislocate nella città, l’agenzia degli affitti (prevista dalla delibera 110/05 mai attuata), in modo da convogliare, indirizzare e monitorare la domanda di case a canone calmierato verso l’offerta man mano che si viene a determinare.
CONCLUSIONE
Quindi oggi, a seguito dell’importante affermazione di Zingaretti in Regione Lazio, dobbiamo imprimere uno stesso cambiamento anche nel Comune di Roma nella consapevolezza che solo una forte coesione d’intenti delle due amministrazioni potrà produrre i risultati auspicati. Non vi sarà nessun cambiamento se le nuove normative regionali non intersecheranno la pianificazione e l’attuazione comunale in un fare condiviso.
Alla Roma che vuole guardare al futuro serve la piena operatività e l’efficienza delle due Amministrazioni, l’esercizio delle reciproche prerogativa istituzionale con serietà e coerenza, una classe dirigente capace e determinata a confrontarsi nel merito ed in piena trasparenza: alla Roma futura serve un’unica strategia.
Luigi Tamborrino
TerritorioRoma- 5 Marzo 2013