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Referendum trivelle: noi andiamo a votare

no triv referendumPubblichiamo in questa pagina materiali per un voto consapevole al referendum del 17 aprile, anche se Carteinregola è da sempre critica verso molti punti del cosiddetto decreto “Sblocca Italia” (vedi il libro “Rottama Italia”), compresi quelli  sulle trivellazioni. Ma  soprattutto non possiamo condividere la linea di chi invita i cittadini a non esercitare il proprio diritto di scelta e a disertare le urne. Sicuramente una scelta limitata – dei tanti quesiti sollevati è rimasto solo quello relativo alla durata delle estrazioni(1) – ma che, in caso di vittoria del SI’, darebbe un forte segnale per le politiche ambientali ed energetiche di cui il  Governo  sarebbe costretto a tenere conto. E troviamo inaccettabile la decisione dello stesso Governo, che con l’evidente intenzione di boicottare il referendum, ha deciso di non accorpare la consultazione referendaria alle elezioni amministrative, bruciando così 300 milioni di soldi pubblici.

Pubblichiamo un articolo di Repubblica che sintetizza le ragioni del SI’ e del NO , un intervento riportato da Il fatto quotidiano  del Presidente della Regione Puglia Emiliano (PD)  e un “a futura memoria” con il doppio standard rispetto alle trivellazioni nell’Adriatico di Debora Serracchiani, Presidente del Friuli e vicesegretaria PD.  (AMBM)

> Vai al sito dei movimenti NO TRIV con le ragioni  del SI’

Repubblica 18 marzo 2016 Sì o no alle trivelle, cosa sapere per votare al referendum Il 17 aprile si vota sul quesito voluto da Regioni preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Ecco le ragioni dei due schieramenti di ANTONIO CIANCIULLO  (2)

F. Q. | 17 marzo 2016 Referendum trivelle, Emiliano: “Astensione è strumentale. Vero scopo è impedire raggiungimento quorum” “Se il Governo avesse voluto discutere la materia con la Regioni avremmo potuto certamente evitare il referendum sin dall’inizio” ha detto l’ex sindaco di Bari. Che poi ha aggiunto: “Stasera non sono contento del mio partito e del panico in cui cade troppo spesso nei casi in cui la coscienza si divide dalla verità” (3)

serracchiani tweet trivelle

(1) (da Ediltecnico) Con il Referendum Trivelle del 17 aprile i cittadini devono pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni solo per le parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. La norma sottoposta a referendum abrogativo si trova nella legge di stabilità 2016.

Referendum Trivelle: il quesito
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”

Referendum Trivelle: analisi del quesito
L’oggetto del referendum del 17 aprile sono solo le trivellazioni che effettuate entro le 12 miglia marine (che corrispondono a circa venti chilometri). Non sono quindi la maggior parte delle trivellazioni in acque italiane, complessivamente 66 e collocate soprattutto oltre le 12 miglia, e dunque fuori dal referendum.
Parliamo solo di quelle localizzate entro le 12 miglia. In tutto sono 21:
7 in Sicilia,
5 in Calabria,
3 in Puglia,
2 in Basilicata,
2 in Emilia Romagna,
1 nelle Marche,
1 in Veneto.
Queste vengono effettuate da compagnie estrattive diverse, sulla base di una concessione che dura inizialmente 30 anni, poi prorogabile per due volte, cinque anni ciascuna. In totale: 40 anni. Più altri cinque possibili.
Cosa succede dopo i 40/45 anni? Secondo la normativa vigente oggi scaduta la concessione finisce la trivellazione.
Il provvedimento del governo Renzi, cioè la norma inserita nella legge di stabilità, dice che anche quando il periodo concesso finisce, l’attività può continuare fino a che il giacimento non si esaurisce.
I referendari chiedono che questa novità sia cancellata e si torni alla scadenza “naturale” delle concessioni.
Il quesito del referendum del 17 aprile oltre a non riguardare le trivellazioni oltre le 12 miglia, non riguarda neanche possibili nuove trivellazioni entro le 12 miglia che rimangono vietate per legge. Si decide il destino di 21 trivellazioni già esistenti e in funzione nel nostro mare, entro le 12 miglia. Il decreto legislativo 152 prevede già il divieto di avviare nuove attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi gassosi o liquidi entro le 12 miglia, per cui il referendum agisce solo su quelle già in essere.

(2) Repubblica 18 marzo 2016 Sì o no alle trivelle, cosa sapere per votare al referendum Il 17 aprile si vota sul quesito voluto da Regioni preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Ecco le ragioni dei due schieramenti di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA – Il 17 aprile si voterà sulle trivelle. Il referendum è stato voluto da 9 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Non propone un alt immediato né generalizzato. Chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Come è accaduto per altri referendum, il quesito appare di portata limitata ma il significato della consultazione popolare è più ampio: in gioco ci sono il rapporto tra energia e territorio, il ruolo dei combustibili fossili, il futuro del referendum come strumento di democrazia.

La domanda che si troverà stampata sulle schede è “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?” Dunque chi vuole – in prospettiva – eliminare le trivelle dai mari italiani deve votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no.

I due schieramenti sono rappresentate da comitati. Da una parte c’è il Comitato Vota sì per fermare le trivelle “Il petrolio è scaduto: cambia energia!”) a cui hanno aderito oltre 160 associazioni (dall’Arci alla Fiom, da quasi tutte le associazioni ambientaliste a quelle dei consumatori, dal Touring Club all’alleanza cooperative della pesca). Dall’altra un gruppo che si definisce “ottimisti e razionali” e comprende nuclearisti convinti come Gianfranco Borghini (presidente del comitato) e Chicco Testa, il presidente di Nomisma energia Davide Tabarelli, la presidente degli Amici della Terra Rosa Filippini. Ecco, punto per punto, le ragioni dei due schieramenti.

Quanto petrolio è in gioco?

Le ragioni del sì
Secondo i calcoli di Legambiente, elaborati su dati del ministero dello Sviluppo economico, le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per coprire l’intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi.

Le ragioni del no
Secondo i calcoli del Comitato Ottimisti e razionali la produzione italiana di gas e di petrolio – a terra e in mare- copre, rispettivamente, l’11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. (Visto che questo dato comprende anche le piattaforme che non rischiano la chiusura perché non sono oggetto di referendum, su questo punto le stime dei due schieramenti non si allontanano: l’85% del petrolio italiano viene dai pozzi a terra, non in discussione, e un terzo di quello estratto in mare viene da una piattaforma oltre le 12 miglia, non in discussione).

Qual è l’impatto del petrolio in mare?

Le ragioni del sì.
A preoccupare non sono solo gli incidenti ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo: in mare aperto la densità media del catrame depositato sui nostri fondali raggiunge una densità di 38 milligrammi per metro quadrato: tre volte superiore a quella del Mar dei Sargassi, che è al secondo posto di questa classifica negativa con 10 microgrammi per metro quadrato.
Inoltre il mare italiano accanto alle piattaforme estrattive porta l’impronta del petrolio. Due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati sono stati forniti da Greenpeace e vengono da una fonte ufficiale, il ministero dell’Ambiente: si riferiscono a monitoraggi effettuati da Ispra, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Ambiente, su committenza di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.

Le ragioni del no
L’estrazione di gas è sicura. C’è un controllo costante dell’Ispra, dell’Istituto Nazionale di geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia. C’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell’Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Il gas non danneggia l’ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.
I limiti presi a riferimento per le sostanze oggetto di monitoraggio e riportati nel rapporto di Greenpeace non sono limiti di legge applicabili alle attività offshore di produzione del gas metano. Valgono per corpi idrici superficiali (laghi, fiumi, acque di transizione, acque marine costiere distanti 1 miglio dalla costa) e in corpi idrici sotterranei.

Fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?

Le ragioni del sì
Dopo il rilascio della concessione gli idrocarburi diventano proprietà di chi li estrae. Per le attività in mare la società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque: il 90-93% degli idrocarburi estratti può essere portato via e venduto altrove. Inoltre le società petrolifere godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. I posti di lavoro immediatamente a rischio (calo del turismo, diminuzione dell’appeal della bellezza del paese) sono molti di più di quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man mano che scadono le licenze.

Le ragioni del no
L’industria del petrolio e del gas è solida. Il contributo versato alle casse dello Stato è rilevante: 800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni. Le attività legate all’estrazione danno lavoro diretto a più di 10.000 persone.

Non fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?

Le ragioni del sì
Sì, perché le trivelle mettono a rischio la vera ricchezza del Paese: il turismo, che contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà lavoro a 1 milione e 400.000 persone.

Le ragioni del no
L’attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo e le altre attività. Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell’alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari e artistiche, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha lamentato danni.

Insistere sulle trivelle è compatibile con gli impegni a difesa del clima?

Le ragioni del sì
Alla conferenza sul clima di Parigi 194 Paesi si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un taglio radicale e rapido dell’uso dei combustibili fossili. Per mettere il mondo al riparo dalla crescita di disastri meteo come alluvioni, uragani e siccità prolungate, due terzi delle riserve di combustibili fossili dovranno restare sotto terra. In questo quadro investire sul petrolio potrebbe rivelarsi un azzardo economico.

Le ragioni del no
Il futuro sarà delle rinnovabili, ma vanno integrate perché la loro affidabilità è limitata. Sole, acqua e vento non sono elementi che possiamo “gestire” a nostro piacimento. Non siamo pertanto in grado di prevedere quanta energia elettrica sarà, in un dato periodo, prodotta dal fotovoltaico, dall’eolico o dalle centrali idroelettriche. E quindi, senza i combustibili fossili, non possiamo programmare liberamente i nostri consumi, come siamo abituati e talvolta obbligati a fare.

I referendum servono?

Le ragioni del sì
“Si deve comunque andare a votare – afferma il presidente della Camera Laura Boldrini – perché il referendum é un esercizio importante di democrazia, tanto più quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi senza filtri. Il mio è un invito al voto. Dopodiché ognuno vota come ritiene più opportuno”.

Le ragioni del no
Diciamo agli italiani: “Non andate a votare, non tirate la volata a chi vuole soltanto distruggere”.

E quanto costano?

Le ragioni del sì
Il mancato abbinamento alle imminenti elezioni amministrative, deciso per rendere più difficile il raggiungimento del quorum, ha comportato uno spreco di oltre
360 milioni – l’equivalente degli introiti annuali dalle royalties dalle trivellazioni attualmente presenti nel Paese.

Le ragioni del no
Questo referendum non ha senso e non si doveva fare: è uno spreco di 400 milioni.

(3) F. Q. | 17 marzo 2016 Referendum trivelle, Emiliano: “Astensione è strumentale. Vero scopo è impedire raggiungimento quorum” “Se il Governo avesse voluto discutere la materia con la Regioni avremmo potuto certamente evitare il referendum sin dall’inizio” ha detto l’ex sindaco di Bari. Che poi ha aggiunto: “Stasera non sono contento del mio partito e del panico in cui cade troppo spesso nei casi in cui la coscienza si divide dalla verità”

La segreteria del Pd dice che il referendum contro le trivelle è inutile, decide di fare campagna elettorale per l’astensionismo senza passare da nessuna riunione di partito e all’interno dei democratici scoppia la rivolta della minoranza. Tra le varie posizioni contrarie alla scelta dei vertici dem non può passare inosservata quella del governatore della Puglia Michele Emiliano, capofila delle 9 Regioni che hanno proposto e ottenuto la consultazione popolare. “È sbagliata e ingiusta la posizione espressa dai vice segretari del Partito che addebita ai promotori del referendum la responsabilità per le spese del referendum”, e la prima ragione è che “se il Governo avesse voluto discutere la materia con la Regioni avremmo potuto certamente evitare il referendum sin dall’inizio” ha detto l’ex sindaco di Bari. Che poi ha aggiunto: “La seconda ragione è che non è certo colpa delle Regioni se il governo non è tecnicamente riuscito a neutralizzare con il suo intervento legislativo anche il sesto quesito sopravvissuto”
Per il presidente della Regione e segretario uscente del Pd Puglia l’astensione del Pd è strumentale “perché il vero scopo è impedire ad ogni costo il raggiungimento del quorum e negare alla maggioranza del popolo italiano di ripristinare le norme precedentemente in vigore che, evidentemente, non dovevano essere così assurde e demagogiche – ha sottolineato Emiliano – se è vero che applicando queste ultime sono state avviate e svolte con utile gestione tutte le coltivazioni di idrocarburi attualmente in atto in Italia”. Nella lunga nota inviata alle agenzie di stampa, inoltre, il presidente della Puglia ha spiegato che “la maggioranza del Pd, alla quale appartengo essendo stato uno dei sostenitori della attuale segreteria, lunedì voterà a schiacciante maggioranza in direzione – è il parere dell’ex sindaco di Bari – senza nemmeno aver inserito il punto all’ordine del giorno (avremmo potuto farlo in assemblea solo pochi giorni fa) per sanare la posizione di astensione del Pd nel referendum del 17 aprile improvvidamente anticipata”. “Stasera – ha concluso Emiliano – non sono contento del mio partito e del panico in cui cade troppo spesso nei casi in cui la coscienza si divide dalla verità”.

Emiliano, poi, ha ripercorso l’origine cronologica del referendum, ricordando che il motivo dell’azione è stata una “porta inutilmente sbattuta in faccia a tante Regioni che hanno investito per anni nella tutela del mare”. “I Consigli Regionali sono stati costretti a richiedere un referendum contro una legge dello Stato per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana” ha detto. Per poi aggiungere: “I primi a voler evitare il referendum sono stati i presidenti delle regioni referendarie che delegarono il sottoscritto e il presidente della Basilicata Pittella a chiedere al governo, nella persona del sottosegretario Vicari, un incontro tra Regioni e Governo sulla materia delle trivellazioni, che aveva scatenato l’ira popolare di sindaci, cittadini, operatori turistici e determinato la presa di posizione di molti esponenti della stessa Chiesa Cattolica a seguito della Enciclica di Papa Francesco ‘Laudato Sì’. Durante questo incontro svoltosi nell’agosto del 2015 – ha raccontato Emiliano – il sottosegretario con grande gentilezza prese atto delle nostre rimostranze di fronte al gran numero di permessi di prospezione di ricerca di idrocarburi nello Ionio e nell’Adriatico e si impegnò a convocarci entro la settimana successiva per definire il da farsi. Lo stesso sottosegretario Vicari dopo qualche tempo – è l’attacco finale di Emiliano – ci comunicò che il governo non aveva interesse a effettuare l’incontro con le Regioni”.

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