Abbiamo un’Acea? di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 26 marzo 2016.
C’è uno sketch di Gigi Proietti nei panni dell’avvocato azzeccagarbugli e del cliente contadino. Il legale soppesa, carte alla mano, le ragioni e i torti dell’assistito e dei suoi avversari: “Qui se li inculamo… Ehhh, qui je lo mettemo ar culo… Qui se li stra-inculamo… Però qui quelli te s’enculano eh!? Qui se l’inculamo noi, qui invece te s’inculano a te!”. Il villico, scarpe grosse cervello fino, lo interrompe: “Ferma ‘n po’, avvoca’. Ma perché quando se l’inculamo semo sempre in due e quando lo devo pijà ‘n culo so’ sempre solo? No, per sapè, così me regolo”. La storiella dev’essere tornata alla mente l’altroieri a qualche lettore del Messaggero, il quotidiano romano del palazzinaro e finanziere Francesco Gaetano Caltagirone, davanti al titolo di prima pagina “Il caso Acea. La Raggi parla e i romani perdono 71 milioni”. L’articolo a doppia firma sosteneva che, “dopo le imprudenti dichiarazioni della candidata-sindaco, le azioni Acea crollano del 4,7%. Bruciati 142 milioni. Il danno maggiore è per il Campidoglio, azionista al 51%”. E metteva in guardia i lettori-elettori dal pericolo mortale di una vittoria della Raggi alle Comunali: nel malaugurato caso, i romani avrebbero un sindaco che pronuncia “parole demagogiche e irresponsabili”, di cui “non comprende assolutamente la portata distruttiva”, un’ignorante “inesperta” che non sa che le società quotate hanno l’“unico scopo di realizzare quei profitti che a lei fanno sorridere”, una “candidata che non ha nessuna esperienza amministrativa o finanziaria” e “parla senza rendersi conto dei danni che fa, quando ancora non è eletta”. Figurarsi “che succederà se diventerà sindaco”.
Nella fretta, gli zelanti giornalisti dimenticavano di indicare gli altri azionisti di Acea (l’Azienda Comunale Energia e Ambiente di Roma, primo gruppo idrico italiano) oltre al Comune: forse perché il principale, col 15,8%, è lo stesso Caltagirone che paga loro lo stipendio. Il che avrebbe subito qualificato l’articolo agli occhi dei lettori per quello che era: una marchetta all’editore. Ma che ha detto di così devastante la Raggi? Domenica, intervistata da Maria Latella su Sky, ha preannunciato che se diventerà sindaco “cambierò il management di Acea”, che è “un’accozzaglia di nomi in gran parte scelti da Caltagirone col lasciapassare del suo amico Renzi”. L’ad, per dire, è il caltarenziano Alberto Irace: a Firenze, nel Cda di Publiacqua partecipata da Acea, sedeva la Boschi non ancora prestata al governo e alla nuova Costituzione.
Ora, se anche fosse vero che le parole della Raggi han fatto crollare il titolo Acea, non ci sarebbe nulla di scandaloso: ogni candidato sindaco ha il dovere non di occuparsi di Borsa, ma di dire cosa intende fare delle società municipalizzate e partecipate dal Comune. Invece è dovere dei giornalisti informare i lettori in modo imparziale, mentre è una grave violazione deontologica mescolare la cronaca con gli interessi dell’editore e arrotolare il giornale a mo’ di manganello per darlo in testa ai politici sgraditi al padrone. Questa, e solo questa, è una turbativa del mercato finanziario e di quello elettorale. In ogni caso, tra le parole della Raggi e l’andamento del titolo Acea non può esserci alcun nesso. L’intervista è di domenica 20 marzo (a mercati chiusi), il crollo in Borsa è di mercoledì 23: difficile che in Piazza Affari se ne stiano tre giorni a compulsare le frasi di una candidata prima di organizzare la fuga dal titolo. Ma soprattutto: il calo in Borsa non è costato un euro (figurarsi 71 o 142 milioni) al Comune né tantomeno ai “romani”: a meno che non abbiano venduto titoli Acea proprio in quei giorni. Del resto non risulta che, quando il titolo sale, il Messaggero sia solito invitare i romani a presentarsi in redazione per ritirare degli utili. Dunque perché, quando il titolo va su, Caltagirone è solo e, quando va giù, a prenderlo in quel posto sono i romani e la colpa è della Raggi?
Fin qui la classica storia di editoria all’italiana, infestata da conflitti d’interessi talmente macroscopici che non c’è più occhio umano in grado di notarli. Ma c’è di più, perché l’articolo del Messaggero viene preso per oro colato dai renziani capitolini, ormai ridotti a fattorini del gruppo Caltagirone. Al segnale convenuto, gli stessi traditori dell’ambientalismo che fanno campagna per l’astensione al referendum No Triv, si scatenano a tweet unificati in difesa del compagno Francesco Gaetano, con lo squisito hashtag #raggiamari. Il Messaggero tiene ferma la Raggi e i pidini la menano. Roberto Giachetti: “Si candidano a governare Roma ma pensano di giocare a Monopoli. 71 milioni persi per una frase di #raggi su Acea. Dilettanti allo sbaraglio”. Stefano Esposito: “Le dichiarazioni di Raggi su Acea sono una strabiliante dimostrazione, nel migliore dei casi, di incapacità personale e della maniera pressappochista con cui i 5 stelle pensano di gestire il bene pubblico”. Matteo Orfini: “Frasi a caso e incompetenza: la Raggi parla di Acea e fa perdere ai romani 70 milioni di euro. Un pericolo pubblico a 5 stelle”. Il comandante Francesco “Che” Gaetano può star tranquillo: se, come il suo giornale auspica tra le righe, le elezioni a Roma le vincerà il solito Pd, i suoi affari non corrono pericoli. I piani regolatori continuerà a disegnarseli lui su misura, i dirigenti di Acea seguiterà a nominarseli lui a sua immagine e somiglianza e il nuovo sindaco di Roma perpetuerà l’antico rito del bacio della sua pantofola. Con i più vivi complimenti del Messaggero e, se tutti fanno i bravi, anche del Mattino e del Gazzettino di venezia. Caltagirini di tutto il mondo, unitevi. (Marco Travaglio)