Le due più importanti questioni urbanistiche all’attenzione della giunta capitolina riguardano le Olimpiadi del 2024 e il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Su entrambe non è chiara la posizione di Virginia Raggi e della sua giunta. Il problema delle Olimpiadi è noto ai lettori di eddyburg, basta rileggere i recenti articoli di Salvatore Settis e Tomaso Montanari e di Giovanni Caudo con postilla del direttore. Meno nota è la vicenda dello stadio, un clamoroso esempio di urbanistica contrattata, cioè di una trasformazione dell’assetto urbano, di rilevante impatto e in contrasto con il piano regolatore, proposta da un privato e accettata (o subita) dall’amministrazione comunale.
All’origine c’è la cosiddetta legge sugli stadi, che però non è una legge ma sono tre commi della legge di stabilità del 2014 (147/2013, cc 303, 304 e 305) inseriti all’ultimo momento, dopo un percorso lungo e controverso, grazie al tradizionale maxiemendamento governativo (governo Letta) e quindi approvata con voto di fiducia. Il comma 303 tratta di questioni finanziarie, il 304 prevede che il soggetto interessato, d’intesa con una o più società sportive, presenti un progetto preliminare che “non può prevedere altri tipi d’intervento, salvo quelli funzionali alla fruibilità dell’impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici e comunque con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale”. Il Comune, se d’accordo, dichiara “il pubblico interesse della proposta”. L’approvazione definitiva spetta alla Regione Lazio a seguito di un’apposita conferenza dei servizi. Il comma 305 auspica che gli interventi siano realizzati mediante recupero di impianti esistenti o in aree già edificate.
Nel marzo 2014, tre mesi dopo l’approvazione della legge di stabilità, il presidente della Roma James Pallotta presenta il progetto del nuovo stadio a Tor di Valle, un’ansa del Tevere a Ovest dell’Eur, al posto dell’ippodromo costruito nel 1959 e dismesso nel 2013 proprio per la costruzione dello stadio. L’intervento dovrebbe essere realizzato dalla società Eurnova di proprietà dell’imprenditore Luca Parnasi proprietario anche dell’ex ippodromo. Su circa 90 ettari, che il piano regolatore destina a verde sportivo attrezzato (con un’edificabilità di circa 350 mila metri cubi), il progetto prevede due complessi immobiliari: quello destinato allo stadio (fino a 60 mila posti), impianti sportivi, spazi pubblici e attrezzature per il tempo libero; e quello formato da tre grattacieli alti fino a più di 200 metri e altri edifici destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali (non residenze, che la legge non permette).
Nell’insieme, circa un milione di metri cubi, pari a dieci hilton, l’unità di misura della speculazione edilizia inventata sessant’anni fa da Antonio Cederna quando denunciava lo scandalo dei 100 mila metri cubi del famigerato hotel Hilton realizzato a Monte Mario dalla Società generale immobiliare. Del milione di mc, quelli destinati allo stadio e ad attività connesse ammontano a circa il 20 per cento, il resto corrisponde agli interventi – privi di rapporto funzionale con lo stadio – previsti dal comma 304 per compensare il costo delle opere infrastrutturali necessarie per la fruibilità dell’impianto sportivo (che è comunque un’opera privata). Insomma, che vi piaccia o non vi piaccia, con il pretesto dello stadio si aggiunge alla capitale un nuovo centro direzionale, non lontano dall’Eur, per iniziativa di un privato costruttore. Tra l’altro, senza che nessuno abbia spiegato che fine fanno lo stadio Olimpico e il vecchio stadio Flaminio ormai abbandonato. Per non dire della difficoltà a negare lo stesso trattamento a un eventuale richiesta di altri costruttori apparentati alla squadra della Lazio o ad altre società sportive.
Riguardo all’accessibilità, accanto a interventi di riorganizzazione e potenziamento della rete stradale e a vaste superfici a parcheggio, il progetto prevede una diramazione della metro B dalla stazione Eur Magliana alla nuova stazione di Tor di Valle. Una soluzione improvvisata, non giustificata da un’adeguata pianificazione e con difficoltà tecniche che ne rendono improbabile la realizzazione. Previsto anche il potenziamento della ferrovia Roma Lido, di competenza regionale, che già dispone di una fermata a Tor di Valle.
Il 22 dicembre 2014 l’assemblea capitolina, con il voto favorevole della maggioranza che sostiene il sindaco Marino, delibera l’interesse pubblico dell’intervento – subordinatamente al rispetto di un certo numero di condizioni – fra le proteste del M5S, del comitato Salviamo Tor di Valle dal cemento e di altri. I mesi successivi sono quelli della crisi dell’amministrazione Marino brutalmente troncata dal Pd nel novembre 2015.
Ed eccoci ai giorni nostri. Nel giugno scorso Pallotta consegna a Comune e Regione il progetto definitivo. Ma la sindaca Raggi, invece di revocare come ci si aspettava la deliberazione di pubblico interesse, concorda con la Regione l’avvio della conferenza dei servizi, rischiando di restare intrappolata in un percorso imprevedibile. Chi scrive queste righe sperava che il conclamato impegno per la trasparenza del M5S somigliasse al precetto evangelico “il vostro parlare sia sì sì no no, il di più viene dal maligno”, e fosse così per le Olimpiadi, il nuovo stadio della Roma, gli avvisi di garanzia. Ma non è così.