Via Ticino non è che l’inizio: arrivano gli effetti del Piano casa della Regione Lazio
Autore : Redazione
Rendering della nuova palazzina di Via Ticino, che andrà a sostituire una palazzina degli anni ’30 abbattuta nel II Municipio
di Paolo Gelsomini
Le recenti vicende della demolizione del villino di via Ticino con il progetto di sostituzione approvato, e di altri casi di progetti di demolizione e ricostruzione (la lista si annuncia purtroppo lunga) come effetti nefasti del “Piano casa” della Regione Lazio, ci hanno indotto a profonde riflessioni sul destino dei contesti urbani della nostra Città che presentano una identità storico-culturale definita da particolari qualità, e sollevano degli interrogativi seri sull’insufficienza dei vincoli architettonici, archeologici e paesaggistici di fronte a legislazioni regionali sovraordinate rispetto a tutte le normative comunali, ivi comprese quelle del Piano Regolatore Generale di Roma Capitale, della Carta della Qualità ecc.
Ci riferiamo soprattutto al Piano Casa della Regione Lazio, oramai scaduto per la presentazione dei progetti (esattamente il 1 giugno 2017) ma in piena attuazione degli interventi per cui è stata presentata richiesta. Come è noto, il cosiddetto “Piano Casa” nato nel 2009 e modificato successivamente durante la presidenza Polverini e ancora dal Presidente Zingaretti nel 2014, che ne ha prorogato gli aspetti edilizi, mantendendone sostanzialmente inalterato l’impianto dopo averlo liberato da alcuni aspetti oggettivamente illegittimi legati alle premialità, agisce in deroga al PRG del 2008 introducendo criteri, ambiti di applicazione, regole, premialità non sottoposti alle decisioni dei Comuni.
Proprio all’interno dell’articolo 2 riguardante gli Ambiti di applicazione per gli interventi di ampliamento, ristrutturazione e di sostituzione edilizia degli edifici, è specificato che il Piano Casa non si applica, oltre che per gli edifici abusivi, anche per gli edifici situati nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal PTPR (Piano Territoriale Paesistico Regionale del Lazio) il quale, a sua volta, all’art. 43 esclude il centro storico di Roma dall’obbligo di richiedere per gli interventi edilizi l’autorizzazione paesaggistica in quanto nelle “parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco è prescritta la redazione del Piano Generale di gestione per la tutela e la valorizzazione previsto dalla Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale”.
Il Piano Casa non si applica quindi agli edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
Secondo il D.lgs.vo 42/2004 art.146 c.5 “sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la Regione dopo aver acquisito il parere vincolante del Soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla Legge”.
Ma nel PTPR, si legge all’art.5 c.3 che “non sono beni paesaggistici quelli derivanti da individuazioni di natura urbanistica ovvero originati da destinazioni degli strumenti urbanistici comunali”.
Sembra quindi che la salvaguardia del vincolo paesaggistico in insediamenti urbani storici sia alquanto debole, senza un intervento deciso della Soprintendenza che riconosca una valenza storico-architettonica a particolari aree della città storica.
Il Piano casa non si applica neanche per gli immobili vincolati ai sensi della parte II del D. Lgs.vo 42/2004 dove gli interventi sono consentiti previa autorizzazione dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo secondo quanto previsto dall’art.146 dello stesso Decreto.
Ebbene, è accertato che queste aree e questi immobili vincolati sono pochi e male distribuiti, rispetto all’omogeneità dei contesti urbanistici e storico-architettonici, di fronte alle esigenze di tutela dell’area storica più grande e più pregiata del mondo ed alle impellenti urgenze derivanti proprio da strumenti come i Piani Casa.
A questo aggiungiamo il fatto che nel 2012 il Comune di Roma – allora era Sindaco Gianni Alemanno – non sfruttò pienamente la possibilità che veniva offerta dal Piano Casa del 2011, che all’art.2 comma 4 accordava ai Comuni la facoltà di individuare, entro il termine perentorio del 31 gennaio 2012, “ambiti del proprio strumento urbanistico ovvero immobili nei quali, in ragione di particolari qualità di carattere storico, artistico, urbanistico e architettonico, limitare o escludere gli interventi previsti dal presente articolo…”.
Allora con una Delibera (9/2012) “Disposizioni in ordine all’attuazione del Piano Casa della Regione Lazio“, l’Assemblea Capitolina escluse dall’applicazione del Piano casa, in ragione delle particolari qualità di carattere storico i tessuti di origine medievale (T1), i tessuti di espansione rinascimentale e moderna preunitaria (T2), i tessuti di ristrutturazione urbanistica otto-novecentesca (T3), e i Nuclei storici isolati (T10) pur se esterni all’insediamento urbano storico individuato nel PTPR ed anche alcune aree comprese nella Carta per la Qualità. Proprio riguardo alla Carta per la Qualità, nelle more della sua revisione, la delibera 9/2012 dispose di evitare l’applicazione incondizionata ed indiscriminata della Legge Casa per quegli edifici, per i quali permaneva comunque l’esigenza della loro tutela, ancorché subordinata ad una valutazione tecnica circa l’attualità del loro valore artistico ed architettonico.
Insomma questa facoltà concessa allora al Comune di controllare e limitare l’applicazione del Piano Casa venne sfruttata molto parzialmente ed i fatti dei villini da abbattere che oggi vengono alla luce, lo stanno a dimostrare.
Il nuovo Codice degli Appalti, contenuto nel D. Lgs.vo 50/2016, riporta a 50 anni la soglia di vincolo, o meglio di presunzione di interesse culturale, per beni immobili pubblici o privati senza fine di lucro, rendendo impossibile l’alienazione dell’immobile prima della procedura di verifica della sussistenza o meno di un interesse culturale e rendendo necessario il preventivo parere positivo del Ministero prima di avviare qualsiasi intervento edilizio. Anche gli immobili di proprietà privata sono considerati Beni Culturali quando interviene un espresso provvedimento di vincolo che dovrebbe essere avviato dalla Soprintendenza ed emesso dal Segretariato Regionale del Ministero con una dichiarazione di interesse culturale che riconosca la sussistenza dell’interesse architettonico, artistico, storico in conformità all’art.13 del Codice dei Beni Culturali di cui al D.Lgs.vo 42/2004.
Compito della Soprintendenza, oltre quello di condurre la fase istruttoria di una dichiarazione di interesse culturale, è quello di curare l’aggiornamento dell’elenco dei beni per cui è intervenuta tale dichiarazione e di avviare il procedimento anche su motivata richiesta della Regione e di ogni altro Ente territoriale interessato o su richiesta del proprietario.
Tra gli immobili oggetto di presunzione di interesse culturale sono compresi, secondo l’art.136 del Codice dei Beni Culturali, anche “le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza” (comma b); “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale inclusi i centri e i nuclei storici” (comma c); le bellezze panoramiche ed i punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze” (comma d).
In considerazione di questi presupposti, anche per una corretta applicazione della nuova Legge Regionale n. 7 del 18 luglio 2017 sulle Disposizioni per la Rigenerazione urbana ed il recupero del patrimonio edilizio, alla quale dovrebbe essere impedito di usufruire di deroghe indiscriminate nei nuclei storici, come già accaduto per il Piano Casa, Italia Nostra ha chiesto alla Soprintendenza e al Ministero un aggiornamento con estensione dell’elenco dei Beni di interesse culturale, includendo tra questi l’intero Centro Storico di Roma compreso entro le Mura Aureliane ma anche le aree della Città Storica (esclusi quegli edifici realizzati successivamente al PRG del 1883 che hanno impropriamente alterato attraverso sostituzioni e completamenti le regole tipomorfologiche e compositive del tessuto storico) come definita dallart.24 delle NTA del PRG del Comune di Roma del 2008:
“ L’insieme integrato costituito dall’area storica centrale interna alle mura, dalle parti urbane dell’espansione otto-novecentesca consolidata, interne ed esterne alle mura, e dai singoli siti e manufatti localizzati nell’intero territorio comunale, che presentano una identità storico-culturale definita da particolari qualità, riconoscibili e riconosciute dal punto di vista dei caratteri morfogenetici e strutturanti dell’impianto urbano e di quelli tipo-morfologici, architettonici e d’uso dei singoli tessuti, edifici e spazi aperti, anche in riferimento al senso e al significato da essi assunti nella memoria delle comunità insediate”.
Quindi non ci resta che augurarci che il Mibact e la Soprintendenza Speciale Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Roma estendano l’elenco dei Beni d’interesse culturale negli ambiti storici della Capitale e che il Comune faccia valere le prerogative ad esso assegnate dalla nuova Legge Regionale n.7 del 18 luglio 2017 sulla Rigenerazione Urbana e sul Recupero Edilizio e che aggiorni ed adegui rapidamente la Carta della Qualità prevista dal PRG anche se il suo potere di tutela è purtroppo limitato.
Si deve assolutamente mantenere vivo il discorso della tutela del patrimonio architettonico, urbanistico, archeologico e paesaggistico spingendo tutte le istituzioni ad operare in questa direzione almeno per il futuro prossimo, a cominciare dall’applicazione della citata Legge Regionale sulla Rigenerazione Urbana.
Per quanto riguarda gli esiti del Piano Casa regionale che sono in corso per le domande avanzate fino al 1 giugno, il rischio di assistere impotenti a una serie di demolizioni e ricostruzioni a fini speculativi nel cuore di quartieri ottocenteschi e novecenteschi è purtroppo assai consistente.
Paolo Gelsomini