Apertura domenicale dei negozi: la Politica, i “posti di lavoro” e la qualità della vita
Autore : Redazione
Porta di Roma (foto AMBM)
Tiene banco da due giorni la discussione sul ventilato ripristino della chiusura domenicale dei negozi. Verrebbe da dire, con le ben più gravi urgenze ed emergenze, che si tratti della solita “arma di distrazione di massa”. Titoloni sui giornali, interviste TV, sondaggi tra il popolo di clienti ed esercenti. Ma ben pochi media hanno ricordato che in realtà questo Disegno di legge era stato già approvato dalla Camera nel 2015 (Governo Renzi) e non era poi approdato al voto del Senato. E un discorso serio sul tema non può ridursi, come sempre, a minacce sulla ipotetica perdita di posti di lavoro o all’invocazione della presunta “modernità” di centri commerciali sempre aperti. Un discorso serio riguarda i diritti dei lavoratori, il rapporto con il territorio, e, sì, anche il tempo libero delle famiglie.
Ormai la misura di valutazione di qualsiasi provvedimento è sempre sostanzialmente economica, con la solita quantificazione dei “posti di lavoro”. Ora, a parte che sarebbe più umano che si tornasse a parlare di “lavoratori” – persone in carne ed ossa – la categoria, prettamente statistica, è assai fumosa, dato che le stime dei posti persi o guadagnati restano sempre nel limbo delle ipotesi, senza che nessuno vada a “vedere le carte” a posteriori. E guarda caso chi invoca i posti di lavoro è spesso nella zona – o dalla parte – di chi vuole cementificare, liberalizzare o imporre nuove regole che riducono i diritti dei lavoratori o sfasciano l’ambiente.
Ma una Politica degna di questo nome, per difendere il diritto al lavoro, deve affrontare una serie di questioni assai complesse che non possono ridursi al computo numerico dei “posti di lavoro”, ma che comprendono la dignità del lavoratore/cittadino e il suo diritto al benessere e alla felicità, oltre che all’interesse di tutta la comunità.
Si tratta quindi sempre di una scelta politica e culturale, che ancora una volta si deve collocare nella scala di opzioni tra la totale resa alle leggi del mercato – cioè alla legge del più forte – e una regolamentazione pubblica – con dei limiti definiti – delle attività private.
Offriamo in calce alcuni materiali di approfondimento – com’è la situazione normativa attuale, quali modifiche si vogliono introdurre, le posizioni pro e contro, come funziona nel resto dell’Europa – affinchè ognuno possa fare una sua valutazione.
Questa è quella – personale – di chi scrive.
L’introduzione della regolamentazione delle chiusure richiede diverse valutazioni, che riguardano piani diversi. La prima è quella degli aspetti economici e delle ripercussioni sui lavoratori, ma va preliminarmente posta una domanda, cioè se a un orario più esteso corrispondano proporzionalmente più posti di lavoro. Così affermano in molti, io non ho trovato dati attendibili, ma in questi anni ho letto spesso di rivendicazioni sindacali di dipendenti dei centri commerciali, che mi inducono a pensare che le grandi catene per coprire il monte ore, più che a un aumento del personale, ricorrano all’aumento gli straordinari e alla turnazione dei dipendenti. Anche perchè in molti casi le aperture festive non incrementano le vendite ma sottraggono clientela ad altri giorni della settimana.
Ma il discorso dovrebbe andare al di là del singolo esercizio allargando lo sguardo a tutto il sistema commerciale di un territorio.
La gente non ha “portafogli a fisarmonica”. Se escludiamo l’indotto del turismo (che interessa prevalentemente il centro città con altre logiche e percorsi), il budget che le famiglie hanno a disposizione per gli acquisti è sempre lo stesso (anzi, sempre meno, se guardiamo le statistiche della povertà nel nostro Paese): se lo spendono nei mega centri commerciali che possono permettersi aperture domenicali, non lo spendono più (o lo spendono meno) nei negozi di prossimità.
Se mi compro un paio di scarpe in un centro commerciale la domenica, non le comprerò più nel negozio sotto casa. E se continua la moltiplicazione dei centri commerciali, se vado a comprare le scarpe nel nuovo centro commerciale X, non le comprerò più nel centro commerciale Y. Non c’è espansione del consumo, solo cannibalizzazione dei punti vendita.
E assistiamo ogni giorno a nuove chiusure – per sempre – di negozi di prossimità nei quartieri, a causa della crisi e degli affitti troppo alti, ma anche della concorrenza spietata dei centri commerciali , che possono permettersi prezzi più bassi, quantomeno su certi “articoli civetta”, e di offrire la comodità degli acquisti nei giorni festivi.
Difendere i negozi di prossimità non vuol dire difendere la “lobby” dei negozianti, ma difendere la qualità della vita dei territori e dei cittadini, dato che il negozio di vicinato è un importante ganglio dei rapporti sociali dei quartieri, soprattutto per le persone anziane. Ed è anche un presidio importante per la sicurezza, con la presenza di persone e le vetrine accese lungo le strade. Se guardiamo il triste spettacolo delle saracinesche abbassate da mesi o da anni lungo i marciapiedi del centro e soprattutto delle periferie, che peggiora ogni giorno, forse i pochi euro risparmiati all’ipermercato non ci sembrano più un grande risparmio.
Ma anche dal punto di vista dei “posti di lavoro” non è detto che i grandi centri commerciali offrano più occupazione. Anzi, le statistiche indicano che questi colossi commerciali distribuiscono meno personale su una superficie di vendita assai più estesa, mentre i punti vendita medi e piccoli occupano in proporzione molti più commessi e addetti.
E in ogni caso io credo che anche nel commercio siano necessarie delle regole, quelle regole che servono a tutelare i più deboli (lavoratori, commercianti meno competitivi) e anche quei bisogni della cittadinanza non quantificabili economicamente.
Perchè la politica non può essere solo un semaforo che regola gli interessi privati, deve perseguire un modello sociale. E considerare non solo i bisogni consumistici dei cittadini, ma anche le ricadute umane, sociali e culturali delle scelte economiche.
E’ stato sbeffeggiato l’accenno alle famiglie del vicepremier Di Maio, paradossalmente proprio da esponenti di quei partiti che la qualità della vita e la coesione sociale dovrebbero mettere al centro del proprio progetto politico. Ed è Politica anche porsi il problema dell’impiego del tempo libero da parte delle tante famiglie che nei giorni festivi si recano a visitare templi del consumismo anzichè fare una gita o una passeggiata al parco. Fare una riflessione sulla crescente vampirizzazione del tempo personale e familiare in un’unica direzione, collegata alla dimensione consumistica e commerciale. Alle Gru di Torino hanno installato una piscina, a Porta di Roma c’è sempre un florilegio di iniziative per bambini, concerti, strutture ludiche, per attirare sempre più clientela in una rete in cui il consumo è diventato la cifra principale dei rapporti sociali . Come ricorda spesso Giovanni Caudo, anzichè portare i bambini a vedere i monumenti dell’Antica Roma, li si porta nei centri commerciali dove vedono prima i capitelli romani di plastica del kitsch che addobba queste brutte copie della realtà. Certamente i megacentri commerciali suppliscono a una contrazione degli spazi pubblici vivibili e collettivi, ma chi governa dovrebbe correre ai ripari, creando alternative e anche ponendo delle regole a tutela del benessere degli individui della solidità/solidarietà della comunità. Altrimenti il nostro mondo diventa (o meglio, resta) un cortile dove elefanti e pulcini hanno lo stesso diritto di giocare.
Post scriptum: i detrattori del provvedimento agitano lo spauracchio dell’e-commerce. Anche in questo caso non ho dati a disposizone – quindi posso sbagliarmi – ma penso che poichè frequentare i centri commerciali non obbliga nessuno all’acquisto, è probabile che sempre più persone vadano a farsi una passeggiata domenicale per guardare i prodotti che poi ordinano dal computer di casa a qualche euro in meno. Ma questa è un’altra storia, che va affrontata urgentemente…
Anna Maria Bianchi Missaglia
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
In calce:
- Di cosa parliamo: decreto legge chiusure domenicali esercizi commerciali
- Chi è PRO e chi è CONTRO
- Negozi aperti di domenica: come funziona in Europa
Bufalotta Foto AMBM
Di cosa parliamo: decreto legge chiusure domenicali esercizi commerciali
Nel 2011, quando a Palazzo Chigi c’era Mario Monti e ministro dello Sviluppo economico era Corrado Passera, è stata emanata una norma contenuta nel decreto “Salva Italia”, che liberalizza gli orari di apertura dei negozi. E che è tuttora vigente. Ad oggi le attività di commercio individuate dal D.lgs 114/98 e le attività di somministrazione di alimenti e bevande non sono quindi tenute a rispettare alcuni obblighi e tra questi vi sono gli orari di apertura e chiusura e gli obblighi di chiusura domenicale e festiva (1).
Il 25 settembre 2014 (Governo Renzi) viene approvato alla Camera dei Deputati il Ddl 1629 a firma Michele dell’Orco (M5S), che propone una revisione degli articoli del “Salva Italia”, prevedendo 12 chiusure festive l’anno con possibilità di derogare per il singolo esercente a 6 giornate previa segnalazione al Comune competente per territorio. Il D.Lgs però non viene poi approvato al Senato (2).
Le forze che vorrebbero oggi circoscrivere le aperture fanno riferimento a questo disegno di legge, che vorrebbero venisse ripreso: l’attuale Governo pentaleghista Conte ha annunciato di voler reintrodurre l’obbligo di chiusura la domenica e nei giorni festivi per i negozi, fatta eccezione per le domeniche di dicembre e altre 4 a scelta durante l’anno, per un totale dunque di 8. Secondo la proposta di legge presentata dal sottosegretario allo Sviluppo Economico Davide Crippa, le aperture straordinarie non potranno superare i 12 giorni all’anno e potranno essere introdotti turni a rotazione definiti nelle realtà locali, come accade già per le farmacie. Ogni Comune dovrà attenersi ad un limite di un negozio aperto su quattro dello stesso settore merceologico, ma le aperture festive durante il corso dell’anno non potranno superare i 12 giorni. Da questa proposta saranno però esclusi gli esercizi commerciali delle località turistiche, ma toccherà agli enti locali, e in particolare a regioni e comuni il compito di stabilire una rotazione tra le attività e regolamentarne la disposizione sul territorio.(3)
Chi è PRO e chi è CONTRO
(da quifinanza 10 settembre 2018) (…)
CHI CI RIMETTE – Chiudere il commercio la domenica, che secondo gli esercenti è diventata il secondo giorno per incasso dopo il sabato, avrebbe un “effetto negativo sui consumi, già fermi”, mentre “i posti di lavoro a rischio, per l’intero settore, sarebbero tra i 30 e i 40 mila“, ha detto Claudio Gradara, presidente di Federdistribuzione, al Corriere della Sera.
“Sugli investimenti abbiamo già i primi segnali di grandi gruppi che, prima di andare avanti, vogliono capire come finirà questa storia. Avevamo già chiesto un incontro al ministro Luigi Di Maio ma finora – rileva – non siamo riusciti a parlare con lui”. E ancora: “La società moderna ha bisogno di servizi e sono 12 milioni gli italiani che fanno acquisti la domenica”.
CHI CI GUADAGNA – Chiudere per legge i i centri commerciali la domenica finirebbe per far crescere il commercio online. “Chiudere la domenica farebbe crescere ancora di più il commercio online. Un settore che già corre di suo e che ha grandi vantaggi rispetto alla rete di vendita fisica, sia dei piccoli sia dei grandi, non solo sul fisco ma anche sugli orari, sui saldi, su tante cose” ha concluso Claudio Gradara.
OK DI CGIL E CONFESERCENTI – Sono d’accordo con la linea del governo Filcams Cgil e Confesercenti. “Intervenire sul decreto Salva Italia e le liberalizzazioni delle aperture e degli orari nel commercio” è “una priorità” per la Filcams Cgil che ha più volte avanzato proposte di modifica, richiesto un incontro con il ministro del Lavoro Di Maio e promosso iniziative, mobilitazioni e campagne di comunicazione in occasione delle festività”, afferma la segretaria generale Maria Grazia Gabrielli. ”Apprendiamo con soddisfazione la presentazione in Commissione Attività Produttive della proposta di legge della Lega, a prima firma dell’onorevole Barbara Saltamartini, che disciplina gli orari di apertura degli esercizi commerciali. Era tempo di dare un segnale a migliaia di italiani, imprenditori e lavoratori, che aspettano un intervento correttivo sulla deregulation totale oggi in vigore”. Così Confesercenti in una nota.
SODDISFAZIONE DELLA CEI – “Sarebbe una scelta di qualità di vita, che finalmente si rimette a tema”, commenta monsignor Pietro Fragnelli responsabile della Cei aggiungendo che “era sicuramente un argomento da riaprire, non solo per la comunità cattolica ma per l’intera società civile. Non tanto e non solo per la riuscita limitata o il mancato successo di una iniziativa che pure era stata accompagnata dalla dizione di ‘Salva Italia’, quanto per la qualità delle relazioni umane e sociali che metteva in discussione”. “Questa proposta non può dunque che trovare molta attenzione da parte della Chiesa italiana”, sottolinea.
vedi anche: Repubblica 18 luglio 2018 La guerra delle aperture festive divide la Gdo Coop decide di appoggiare la linea grillina sulle 12 chiusure obbligatorie l’anno. Ma Cooperative Dettaglianti Ancd/Conad e Federdistribuzione partono all’attacco: “Un grave danno al settore e ai consumatori”di CATERINA MACONI
Negozi aperti di domenica: come funziona in Europa
(da quifinanza 10 settembre 2018) In 16 dei 28 Stati membri dell’Unione europea non è presente alcuna limitazione di orario o apertura domenicale. Altre nazioni concedono deroghe ed eccezioni