A pochi giorni dall’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Ddl “Spazza Corrotti”, che tra le altre cose accoglie alcune delle proposte che Riparte il futuro ha presentato personalmente al ministro Alfonso Bonafede agli inizi di agosto (pentiti di corruzione, trasparenza sui finanziamenti alle fondazioni politiche), il report giunge a dimostrare una tesi cruciale: non solo la lotta alla corruzione “farà risparmiare miliardi di euro allo Stato”, come ha affermato il vicepremier Luigi Di Maio, ma potrebbe aumentare l’afflusso di investimenti, le opportunità di lavoro specialmente per i giovani e contribuire a rendere il nostro Paese più competitivo e prospero. Come evidenziato dal premier Conte, lo sviluppo economico dell’Italia passa anche da misure che contrastino la corruzione.
Il report, oltre a fornire una panoramica dei fenomeni corruttivi in Italia, approfondisce tre aspetti chiave: la relazione tra corruzione e Investimenti diretti esteri (IDE) in entrata; la relazione tra corruzione e occupazione, in particolare giovanile, e, infine, l’esistenza di una relazione tra corruzione e sviluppo digitale. Un Paese prospero, infatti, è capace di attrarre capitali, di creare lavoro per i giovani e di stare al passo con l’innovazione mentre la corruzione indebolisce questo processo virtuoso compromettendo in primis la fiducia degli investitori.
“Nello studio lo abbiamo ribadito con forza: la corruzione è deleteria perché tarpa le ali alla competitività del Paese – osserva il presidente di I-Com, Stefano da Empoli – Investimenti esteri e digitalizzazione sono due driver fondamentali per la crescita economica e dunque anche per l’occupazione, a cominciare da quella dei più giovani. La corruzione scoraggia sia gli investitori che le startup ma la digitalizzazione può essere un importante antidoto al malaffare, perché rende le relazioni più trasparenti e tracciabili, riducendo quella discrezionalità che nel nostro Paese si trasforma spesso in arbitrio”.
Investimenti esteri e corruzione
Negli ultimi anni l’Italia ha messo in campo diverse politiche per incentivare l’attrazione di investimenti esteri; tuttavia, soprattutto in alcune regioni, la corruzione e la scarsa qualità delle Istituzioni impattano negativamente sull’afflusso di capitali. Si pensi che mentre per l’anno 2016 il Regno Unito è risultato 4° al mondo per flusso di investimenti stranieri (1.196 miliardi di dollari), l’Italia si è piazzata solo 18esima con 346 miliardi.
In che misura questa scarsa performance è dovuta agli alti livelli di corruzione del nostro Paese e alla bassa qualità delle nostre Istituzioni?
Per rispondere a questa domanda lo studio mette in relazione l’afflusso di investimenti esteri con l’European Quality of government Index (EQI) per i 28 Paesi dell’Unione europea arrivando a dimostrare che un aumento del 10% di questo indice si otterrebbe una crescita degli investimenti del 18,3%.
A livello globale ed europeo i risultati sono ribaditi dalla comparazione del Corruption perception Index (CPI) di Transparency International con l’afflusso di investimenti: per 172 Stati considerati, a un ipotetico aumento del CPI del 10% si otterrebbe una crescita degli investimenti esteri del 21,4%. Allo stesso modo, per l’Ue, a un miglioramento del 10% del CPI corrisponderebbe una crescita degli investimenti esteri del 28,1%.
Per valutare la dimensione italiana, il report compara l’EQI con ilnumero di multinazionali presenti nelle varie regioni e con la quota di multinazionali sul totale delle imprese attive in ogni regione. Si ricava che se la qualità delle Istituzioni migliorasse del 10% si otterrebbe un incremento della presenza delle multinazionali sul totale delle imprese dell’11,6%.
Occupazione e corruzione
Il report analizza inoltre la relazione tra corruzione e occupazione, in particolare quella giovanile. Gli alti livelli di disoccupazione giovanile nel nostro Paese, infatti, sono un grave sintomo dello stallo economico. Si pensi solo che un quarto dei giovani italiani fanno parte della categoria dei NEET ovvero non sono occupati, non studiano né sono coinvolti in percorsi di formazione.
Dallo studio emerge che la corruzione ha un potente effetto sull’occupazione di un Paese: se associato a un aumento della qualità delle Istituzioni, un minore livello di corruzione porterebbe a una crescita dell’occupazione, diminuendo anche il numero dei NEET.
Puntando il faro sull’Italia, nelle regioni dove è più alta la qualità dell’amministrazione e minore il livello di corruzione, troviamo tassi di occupazione giovanile più elevati. Analogamente, a un valore dell’EQI maggiore corrispondono tassi di disoccupazione più bassi, sia generali che per la fascia 25-34 anni. Inoltre, nelle regioni con un più alta qualità delle Istituzioni è inferiore il numero di NEET nella fascia d’età 15-34 anni. Infine il report dimostra che, nelle regioni in cui è presente un maggior numero di multinazionali, l’occupazione giovanile è più elevata.
Digitalizzazione e corruzione
Come è noto i Paesi con un alto livello di digitalizzazione subiscono meno il peso deleterio della corruzione. A primeggiare sono i Paesi del Nord Europa, sia da un punto di vista infrastrutturale sia per la penetrazione dei servizi digitali. In Italia invece lo sviluppo digitale è ancora scarso, sebbene negli ultimi anni il gap si stia riducendo, soprattutto grazie ai miglioramenti dell’offerta digitale fissa. Nell’I-Com Broadband Index (IBI), che fotografa il livello di sviluppo della banda ultra larga in Europa e fornisce informazioni sull’offerta e la domanda di digitale, siamo ancora 22esimi ma con segnali di miglioramento. Ciò che continua a preoccupare però è il lato della domanda che posiziona l’Italia al 25esimo posto, seguita solo da Grecia, Bulgaria e Romania. Ciò significa che le competenze digitali sono ancora limitate come lo è è l’utilizzo che cittadini e imprese fanno degli strumenti digitali.
Ma cosa accadrebbe in termini di diffusione della corruzione se aumentasse il livello di digitalizzazione italiano e viceversa?
Andando a comparare i dati del DESI (Digital Economy and Society Index) con l’indice di percezione della corruzione (CPI) si nota che la correlazione è forte e positiva (+88,6%). Stesso risultato (+80%) si ottiene confrontando l’I-Com Broadband Index (IBI) e il CPI. In sostanza un incremento del 10% nello sviluppo digitale ridurrebbe la corruzione di circa il 14%.
Nel complesso l’Italia presenta un grado di sviluppo dei servizi pubblici digitali (SPD) piuttosto basso, simile a quello dei Paesi dell’Est Europa.
Anche in questo caso il report rileva che se migliorasse del 10% la digitalizzazione dei servizi offerti dalla Pa, otterremmo una riduzione della corruzione di circa il 9,2%.
Non è esclusa, inoltre, la possibilità di un legame inverso: la corruzione stessa, cioè, limiterebbe la capacità di un Paese di svilupparsi nel digitale. Ancora una volta lo studio dimostra che un incremento del 10% nella qualità delle Istituzioni di un Paese potrebbe far aumentare dell’8,5% la domanda di servizi pubblici digitali.
La corruzione in Italia
Da un’analisi dei fenomeni corruttivi In Italia emerge che nel 2017 sono stati più di due al giorno i casi di corruzione riportati dai media. Inoltre, il 97% degli italiani crede che la corruzione sia diffusa nel Paese e ostacoli la competizione d’impresa. Il Corruption Perception Index (CPI) ci colloca al 54° posto su 180 Paesi. Un dato in netto miglioramento rispetto al 2015 e 2016 ma ancora distante dai maggiori Paesi europei, come Regno Unito e Germania, (8° e 12° posto).
I settori maggiormente interessati o sono quello lavorativo, sanitario e degli uffici pubblici; la regione più colpita il Lazio: qui una famiglia su cinque dichiara di aver avuto a che fare con la corruzione. Più virtuoso il Nord, in particolare Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Piemonte e Friuli Venezia Giulia.
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