Dopo l’incendio: le domande dei cittadini sul TMB Salario
Autore : Redazione
manifestazione al TMB Salaria 3 ottobre 2018 (foto ambm)
Proponiamo l’articolo pubblicato da L’Espresso il 3 gennaio 2019 di Christian Raimo – giornalista e, da luglio, anche assessore alla cultura del III Municipio – che riferisce la situazione dopo l’incendio del TMB Salario e pone alle istituzioni alcune domande avanzate dai cittadini che ci sembrano più che legittime, e alle quali sarebbe doveroso rispondere rapidamente (AMBM)
A Roma c’è un quartiere che respira diossina. E nessuno risponde alle domande dei cittadini
Martedì 11 dicembre sono stato svegliato verso le sei e mezza da una telefonata. Era il coordinatore dell’asilo in via Cortona a Villa Spada, a Roma,
che mi chiedeva se sapevo qualcosa
del fumo che veniva fuori dal Tmb e cosa doveva fare lui con l’asilo, se tenerlo aperto o dire ai genitori di non venire nemmeno a lasciare i bambini. Non avevo ancora idea che tre ore prima
era scoppiato un incendio all’interno dell’impianto di via Salaria 981. Durante la mattinata successiva, mentre il fumo dell’incendio aveva invaso la città, e la puzza tossica di immondizia andata a fuoco si poteva sentire dal Gianicolo a San Giovanni, Andrea non sapeva ancora cosa fare, nessuno del Comune gliel’aveva detto, finché aveva deciso –
di sua iniziativa – di chiudere l’asilo e di mandare a casa i bambini che erano arrivati, con il rischio di commettere un’interruzione di pubblico servizio. Intanto noi, lì accanto all’impianto, respiravamo diossina.La storia di questi diciassette giorni
dal momento dell’incendio a oggi
è una storia di questo tipo: allarmi inascoltati, comunicazione inesistente,
preoccupazione per la salute di cui nessuno si prende carico.
Sull’Espresso a settembre scrivevo che la situazione dell’impianto di trattamento meccanico-biologico era così degradata che esisteva, clamoroso, il rischio di un incendio. Non ero un veggente, avevo soltanto ascoltato le considerazioni dei sindacalisti della Cgil e della Usb che hanno continuato per anni a segnalare come nell’impianto avvenissero molto spesso piccole combustioni spontanee, determinate da una gigantesca quantità di rifiuti (includeva anche bombole e bombolette per esempio), e un impianto che lavorava sempre “in rottura”, ossia oltre il limite delle capacità. (E questo ovviamente vale anche se si scoprirà
che l’incendio è stato di tipo doloso).
A certificare in modo inappellabile il disastro della gestione del Tmb, il 16 novembre veniva pubblicata una relazione dell’Arpa Lazio, trenta pagine
in cui si dice che è una discarica di fatto (non si riusce a trattare come si deve
i rifiuti ma al massimo li sposta), che manca di molti requisiti per continuare
a essere autorizzato, che etichetta rifiuti in modo scorretto (pag. 26: «In virtù delle considerazioni riportate nel presente parere, l’identificazione del rifiuto costituito dal citato scarto effettuata dal Gestore tramite il codice CER 19 12 12 non appare corretta»), che produce più scarto che rifiuto lavorato, che fa trasferenza di rifiuti in modi che sono completamente fuori norma, che i rifiuti risultanti sarebbero dovuti essere ritrattati, tanto funziona male l’impianto, che i rifiuti stazionano nell’impianto oltre qualunque tempo consentito, che non riesce a riciclare nulla, nemmeno i metalli (0,4 per cento contro i 5-7 per cento che dovrebbe essere la norma), che non può essere fatta manutenzione regolarmente a causa della permanenza di quantità enormi di rifiuti, che non si tiene in alcun modo conto dell’impatto sul territorio della putrescenza (4 volte e passa il livello consentito), che moltissime attività di scarico e carico avvengono in modo scorretto, che i flussi di rifiuti dove si riscontrano criticità gravi nell’anno 2016 erano risultati pari a ben il 73,2 per cento, che non c’è di fatto distinzione tra aree di lavorazione e aree di stoccaggio. Come recitano le ultime righe, «la valutazione della documentazione
allo stato attuale agli atti non può che determinare un parere negativo di Arpa Lazio a riscontro della medesima».Nonostante questo quadro il 23 novembre assistevo alla seduta finale
di una conferenza dei servizi dove la dirigente tecnica Flaminia Tosini liquidava la relazione dell’Arpa senza nemmeno averla letta (ha detto di averle dato un’occhiata sbrigativa) e di fatto concedeva un prolungamento dell’autorizzazione. Ero incredulo.
E continuo a esserlo.
La distanza dal minimo principio di realtà non è stata e non viene colmata da chi, almeno di fronte a un disastro, dovrebbe sentirsi una responsabilità da public servant. La sindaca Virginia Raggi,
in una delle pochissime dichiarazioni
che ha rilasciato sull’incendio, ha detto che da quelle ceneri sorgerà un repair café. Intanto nell’area del Tmb stazionano ancora le tonnellate di rifiuti che erano dentro la fossa al momento dell’incendio. Le persone che vivono
a Villa Spada e Fidene, in molti casi
non hanno dormito nelle proprie case
in queste due settimane, nessuno
del resto gli ha fornito informazioni chiare, il coordinatore dell’asilo ha tenuto aperto perché non poteva fare altrimenti.E così le domande continuano a circolare, come i pm10 e le diossine.
Se l’unica cosa buona che è nata intorno a questo luogo mefitico, è un piccolo movimento ambientalista, questo
è accaduto perché abbiamo cominciato
a farci domande e a insistere nel riproporle. Non smettiamo di farlo ora.
Le domande
L’impianto, è stato detto non riaprirà,
ma esiste un documento ufficiale?
La conferenza di servizi regionale
che a novembre aveva di fatto dato parere positivo al prolungamento dell’autorizzazione dell’impianto,
si è chiusa? Se ne riaprirà un’altra?
Ci sono ancora camion che entrano
ed escono da via Salaria 981?
Questo significa che il sito invece continuerà a funzionare?
E in che modo? Come parcheggio?
Come centro di trasferenza?
La Tari per la città di Roma aumenterà? Anche per le persone che da anni continuano a subire i pesantissimi
disagi della coabitazione con il Tmb?
Qual è il destino dei lavoratori che operavano nell’impianto?
Quello che è accaduto all’impianto di via Salaria 981 non c’è il rischio che possa riaccadere anche all’impianto gemello di Rocca Cencia? Cosa si sta facendo per scongiurare questa eventualità?
Quale sarà il futuro di quel sito?
Ci sono già progetti di riconversione?
La sindaca, senza consultare la cittadinanza, ha parlato della costruzione di un repair café, è convinta di voler procedere autonomamente o è disposta ad ascoltare la voce di chi ha subito
e continua a subire l’impatto tossico dell’impianto?
Quanto tempo ci vorrà per bonificare l’area?
Christian Raimo
L’Espresso 03 gennaio 2019