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Finanziare gli spazi civici come infrastrutture culturali: gli esempi di Bratislava, Rotterdam e Lisbona

spazi foto da art patti che fare 29 1 2019(da Eddyburg – Che fare)

Finanziare gli spazi civici come infrastrutture culturali: Bratislava, Rotterdam e Lisbona

 di Daniela Patti e Levente Polyak   

che-fare.com, 29 gennaio 2019. Un estratto da  Fare spazio alle attività culturali a cura di Mauro Baioni (Quodlibet) spiega come in Europa si stiano moltiplicando civiche che riattivano spazi alla scala di quartiere, in cui l’inclusione sociale è promossa attraverso attività socio-culturali

In molte città europee, come conseguenza della crisi politica ed economica del passato decennio, il settore pubblico ha gradualmente ridotto l’erogazione di alcuni servizi, in particolare quelli legati alla sfera sociale e culturale. In alcuni casi, organizzazioni e gruppi di cittadini si sono impegnati a fornire quei servizi che non erano più offerti dalla pubblica amministrazione. Il crescente bisogno di infrastrutture e servizi alternativi che fossero autosufficienti e comunitari ha avuto un impatto significativo sullo sviluppo della nuova città pubblica. Questi spazi comunitari sono diventati nuovi centri culturali e sociali in quartieri spesso carenti nell’offerta pubblica in termini di educazione, attività culturali ed inclusione sociale. Questo tipo di iniziative esistono in varie città europee, con sfumature diverse a seconda del contesto specifico, e variano dalla gestione di spazi verdi a spazi per eventi, da mense sociali a luoghi di educazione auto-organizzata. L’articolo indaga alcuni casi sviluppati a Bratislava, a Rotterdam e a Lisbona, mostrando il trend crescente in Europa e mettendo in luce i diversi rapporti delle comunità con altri attori locali, siano essi il settore privato o l’amministrazione pubblica.

La contrazione del welfare in combinazione con la crisi economica ha creato in molti contesti una grande vivacità di iniziative civiche sul territorio che forniscono una serie di servizi spesso integrati, perché di varia natura, e spesso su scala del quartiere, perché unità socialmente riconoscibile.
Guardando la realtà poliedrica che ci troviamo di fronte, vedremo una commistione di attività culturali e sociali che si alternano nel corso della giornata per animare spazi vissuti da diversi segmenti della società. Corsi di lingua per stranieri, yoga per giovani genitori, concerti a costi accessibili, gruppi di acquisto solidale ma anche educazione ad un’alimentazione sana o doposcuola sono solo alcune delle varie attività che troviamo negli spazi di aggregazione.
Questi spazi civici non sono né strettamente culturali né sociali, ma una fusione di vari significati che consente a gruppi diversi di potersi riconoscere. Se questi spazi creano inclusione sociale tramite le proprie attività socio-culturali è anche vero che molti di loro stanno esplorando nuovi modelli di impiego, creando posti di lavoro all’interno di una visione dell’economia più inclusiva.
Le attività sul territorio sono di varia natura, ma quelle più stabili tendono ad essere quelle che dispongono di uno spazio di azione, non necessariamente esclusivo, e di risorse economiche che consentano la retribuzione del personale e la copertura dei costi vivi. Detto questo, i Beni Comuni di Napoli o gli spazi auto-gestiti di Ghent offrono servizi al quartiere di grande rilievo, ma al momento esulano dalle regole del mercato grazie alla collaborazione delle amministrazioni pubbliche o di proprietari privati, una circostanza difficilmente replicabile in tutti i contesti.

L’articolo completo, anche in pdf, è disponibile qui.
Il numero 16 de I quaderni di U3, edito da Quodlibet, può essere acquistato qui.
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