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Lexambiente: sentenza del TAR per Palazzo Nardini con commento

Nota a sentenza del Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, Sez. II-quater, 5 giugno 2019, n. 7308,  di Caterina PELAGALLI

  1. Il fatto

Nel centro storico di Roma è ubicato “Palazzo Nardini”, un agglomerato di unità, site rispettivamente in via del Governo Vecchio, in via del Corallo, in via di Parione e in via della Fossa. Il palazzo veniva dichiarato bene culturale nel 1954, a conferma del proprio pregio storico-artistico già accertato negli anni 1909 e 1939, ed entrava a far parte del demanio culturale nel 1980 quando passava in proprietà al Comune di Roma.

Acquistato, successivamente, dalla Regione Lazio, quest’ultima decideva di destinarlo nel Fondo comune di investimento immobiliare, gestito da INVIMIT SGR. A tal fine e ai sensi dell’art. 55 d.lgs. 42/2004, l’ente regionale chiedeva l’autorizzazione all’alienazione al MiBaCT e il parere sulla stessa rispettivamente alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, alla Provincia di Roma e a Roma Capitale.

Il 23 dicembre 2014 il MiBaCT autorizzava l’alienazione dei manufatti siti in via del Governo Vecchio e in via Parione, ad esclusione del plesso c.d. “Casa delle donne”. Quest’ultima presentava, secondo la Commissione Regionale per la tutela del Patrimonio Culturale del Lazio, un rilevante interesse storico-culturale, pertanto appariva opportuno che rimanesse nel demanio culturale. A seguito di tale parere il Ministero adottava un nulla osta preventivo all’alienazione e apriva un procedimento volto alla ridefinizione del vincolo culturale, da concludere entro il 27 aprile 2016.

Palazzo Nardini, dopo essere trasferito, nella sua interezza, nel fondo immobiliare il 31 marzo 2016, veniva aggiudicato e ceduto a un privato il 22 ottobre 2017.

L’11 settembre 2018 la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Roma dichiarava Palazzo Nardini di particolare interesse culturale, ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 42/2004.

INVIMIT impugnava l’atto di avvio del procedimento e quello di certazione, proponendo due censure.

Ad avviso della ricorrente entrambi gli atti violano la legge, ai sensi dell’art. 21octies L. 241/90, in quanto l’amministrazione, contrariamente agli artt. 53 e 54 d.lgs. 42/2004 apponeva il vincolo di inalienabilità a un bene che non appartiene più a un ente pubblico, ma a un soggetto di diritto privato.

Inoltre, l’INVIMIT lamenta il vizio dell’eccesso di potere e quello di violazione di legge, in quanto la dichiarazione di interesse culturale è un ripensamento dell’autorizzazione ad alienare, quindi costituisce una forma di autotutela amministrativa, impropriamente esercitata ai sensi dell’art. 21nonies L. 241/90.

  1. La decisione

Il Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio annulla la parte della dichiarazione di interesse culturale riguardante le unità site in via Parione e in via del Governo Vecchio, in quanto contrasta con l’art. 21 nonies L. 241/1990.

L’amministrazione, in luogo di annullare le autorizzazioni ad alienare secondo i canoni dell’art. 21nonies L. 241/90, ovverosia entro un termine di diciotto mesi e con rivalutazione degli interessi e dei controinteressi, adotta una nuova dichiarazione di interesse culturale.

Ex adverso , la parte di dichiarazione di interesse culturale, che concerne la porzione immobiliare “Casa delle donne” è valida, piuttosto sono illegittimi l’atto di apporto al Fondo di investimento e il connesso contratto di alienazione.

Per la “Casa delle donne”, differentemente dagli altri plessi immobiliari, il MiBaCT non ha rilasciato l’autorizzazione ad alienare, bensì un nulla-osta preventivo di natura interlocutoria, essendo in corso un procedimento di ridefinizione del vincolo. L’atto di conferimento al fondo è viziato, perché, viola gli artt. 54 e 55 d.lgs. 42/2004, in quanto la Regione Lazio, non attendendo la conclusione del procedimento, ha ceduto l’immobile senza la necessaria autorizzazione con le relative prescrizioni.

Pertanto, è nullo il conseguente contratto di alienazione stipulato tra INVIMIT e il terzo, ai sensi dell’art. 164 d.lgs. 42/2004.

  1. I beni culturali “per riferimento” o “per testimonianza identitaria”

Il pronunciamento del tribunale capitolino fornisce occasione per riflettere sui beni culturali “per riferimento” o “ per testimonianza”.

Sono beni culturali “per riferimento” ovvero “ di interesse storico indiretto”, ai sensi dell’art. 10, comma III, lett. d), d.lgs. 42/2004, quelli che, « rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere ».

Si tratta di beni che, seppure non dotati di per sé di uno spiccato valore artistico, archeologico o etnoantropologico, sono di interesse culturale essendo testimonianza di accadimenti storici, oppure di correnti artistico-letterarie, ovvero della scienza, dell’industria o della tecnica. Ciò che rileva, quindi, non è il loro intrinseco pregio artistico, archeologico o etnoantropologico, ma la loro colleganza col contesto storico o il ricordo di civiltà che essi riaccendono nella memoria della collettività.

A titolo esemplificativo, si immagini una penna stilografica priva di interesse tecnico-industriale con la quale, però abbia scritto un celeberrimo poeta, oppure ancora, un immobile sprovvisto di interesse artistico o architettonico, ma nel quale sia stato stipulato un importante armistizio.

Sono beni culturali “per testimonianza”, ai sensi dell’art. 10, comma III, lett. d) d.lgs. 42/2004, quelli che « rivestono un interesse particolarmente importante (…) quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose».

Sono tali quei beni che per l’uso che ne è stato fatto nel corso del tempo sono diventati simboli di una storia culturale. Pertanto, il loro valore culturale non è intrinseco, ma estrinseco, determinato dalla funzione ch’essi hanno svolta.

Si prenda per esempio un immobile privo di valore artistico e architettonico, però da illo tempore sede dell’amministrazione comunale o dell’attività cinematografica.

La specie dei beni culturali “per riferimento” o “per testimonianza” ricomprende oltre ai beni dall’interesse culturale solo estrinseco, anche quelli dal valore estrinseco ed intrinseco 1.

Quest’ultima ipotesi avviene quando il bene presenta delle caratteristiche strutturali, che non rilevano in sé, ma quali espressione di un movimento culturale radicato nella società in un determinato arco temporale. In tale caso la storia influenza il bene sul piano intrinseco, determinandone la struttura e sul piano estrinseco, essendone la chiave di lettura e la ragione della rilevanza culturale.

Orbene, quest’ultima ipotesi non va confusa col bene culturale per solo valore intrinseco, di cui all’art. 10, comma III, lett. a), d.lgs. 42/2004, ovverosia col bene connotato da sé da un accentuato interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Qui, il valore culturale è un’attitudine propria e interna del bene e non un riflesso dell’esterno. È vero che il genio dell’artista, dello scienziato o del letterato è condizionato dal periodo storico in cui vive, ma l’opera da esso realizzata ingloba tali influenze al punto da farne una circostanza marginale.

Ne consegue che la categoria dei beni culturali per solo valore intrinseco è diversa e non sovrapponibile a quella dei beni culturali “per riferimento” o “per testimonianza”.

La distinzione tra le due categorie non è mero esercizio dommatico, riflettendosi essa sul regime circolatorio quando il bene culturale sia immobile e appartenga alla pubblica amministrazione.

In particolare, il bene culturale “per riferimento” o “per testimonianza” soggiace al vincolo di inalienabilità assoluta, ai sensi dell’art. 54, comma I, lett. d-bis), d.lgs. 42/2004, pertanto esso è vendibile solamente al venire meno dell’interesse culturale.

Mentre, il bene culturale per solo valore intrinseco, appartenente al demanio culturale e non riconducibile alle ipotesi di cui all’art. 54, comma I, d.lgs. 42/2004, è alienabile con autorizzazione del Ministero, ai sensi dell’art. 55, comma I, d.lgs. 42/2004; dunque, la vendita non è subordinata alla perdita dell’interesse culturale e provoca come effetto la sdemanializzazione del bene, ai sensi dell’art. 55, comma III- quinquies, d.lgs. 42/2004, ancorché quest’ultimo continua ad essere sottoposto alle disposizioni sulla tutela di cui al Titolo I del d.lgs. 42/2004.

Non si ravvisa un diverso regime di circolazione quando la proprietà dei beni culturali è privata, in quanto sia il bene culturale per riferimento o per testimonianza, che quello per valore intrinseco possono essere alienati, salvo il diritto di prelazione a favore dello Stato, di cui all’art. 60 d.lgs. 42/2004.

1 Vd . Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, Sez. II-quater, 07.03.2017 n. 3208; Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, Sez. II-quater, 5.10.2015 n. 11477

———————————————-

Pubblicato il 05/06/2019

N. 07308/2019 REG.PROV.COLL.

N. 05274/2018 REG.RIC.

N. 11098/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5274 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da INVIMIT SGR (INVIMIT SGR S.p.A. – Investimenti Immobiliari Italiani SGR S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzo Fortunato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Santa Maria in Via, 12;

contro

Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

sul ricorso numero di registro generale 11098 del 2018, proposto dalla Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Stefania Ricci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

MiBACT, Soprintendenza Speciale Archeologica Belle Arti e Paesaggio, non costituiti in giudizio;

nei confronti

INIVIMIT SGR S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzo Fortunato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Lemon Green, non costituita in giudizio;

per l’annullamento:

quanto al ricorso n. 5274 del 2018:

– della comunicazione del 10 aprile 2018 n. 0004035 del MIBACT Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma con la quale è stato comunicato l’avvio del procedimento per la ridefinizione del vincolo storico-artistico su Palazzo Nardini;

quanto ai motivi aggiunti presentati da INVIMIT SGR S.P.A. il 18 maggio 2018:

– della nota del 04/05/2018 n. 0006385 Cl.34.19.04/1156.1 del MIBACT Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma;

quanto ai motivi aggiunti presentati da INVIMIT SGR S.P.A. l’11 settembre 2018:

– del decreto del MIBACT -Segretariato Regionale del Lazio – Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio – del 27 luglio 2018, pervenuto in data 30.7.2018, con cui – a seguito della comunicazione di avvio del procedimento del 10.4.2018, e della successiva nota del 04/05/2018- si dichiara, in via definitiva, che l’immobile denominato Palazzo Nardini, sito in via del Governo Vecchio da 36 a 42, in via del Corallo 9, in via della Fossa 13 e in via di Parione da 34 a 39, riveste interesse storico-artistico, ai sensi dell’art.10, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004, ed è conseguentemente sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto decreto legislativo;

– nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ivi compreso il verbale della riunione decisoria del 2.7.2018 della Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio;

Quanto ai motivi aggiunti presentati da INVIMIT SGR S.P.A. l’8 ottobre 2018:

– del decreto del MIBACT -Segretariato Regionale del Lazio Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio- del 27 luglio 2018, pervenuto in data 30.7.2018,

nonché per il risarcimento del danno patrimoniale da quantificare in corso di causa.

Quanto al ricorso n. 11098 del 2018 presentato dalla Regione Lazio, per l’annullamento:

del decreto n. 48/2018 del Segretariato Regionale del Lazio – Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale.

Visti i ricorsi, gli atti di motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione nel giudizio n. 5274/2018 R.G. del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma;

Visto l’atto di costituzione nel giudizio n. 11098/2018 R.G. di Invimit Sgr S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2018 la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I. Con il ricorso n. 5274/2018 R.G., indicato in epigrafe, notificato e depositato il 2 maggio 2018, la INVIMIT SGR (INVIMIT SGR S.p.A. – Investimenti Immobiliari Italiani SGR S.p.a.), impugna l’atto emanato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma in data 10 aprile 2018 con il quale veniva comunicato l’avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990 e dell’art. 14 del d.lgs. n. 42/2004 per la dichiarazione di interesse culturale di un immobile sito in Roma, e denominato “Palazzo Nardini” in via del Governo Vecchio da nn. 36 a 42; Via del Corallo, 9; Via della Fossa, 13; Via di Parione, da 34 a 39, distinto al N.C.E.U. del Comune di Roma con Foglio 485: part. 283 sub. 507, S1-5, cat. B/4 (F/4), con ingresso da Via del Governo Vecchio 39 (ex sub. 4); part. 284 sub. 501, 51-5, cat. B/4 (F/4), con ingresso da Via del Governo Vecchio 39 (ex sub. 6); part. 285 subb. 1, 508 (ex subb. 2,4, 505), 509 (ex sub. 3), 510 (ex sub. 5), 6, 7, 8, 9, 10, 504 (ex subb. 11, 12, 503), 13, 501, 502, 507 (ex sub. 506); part. 279 subb. I, 501, cat. B/4 (F/4), con ingresso da Via del Governo Vecchio 39.

In particolare l’immobile riferito al Foglio 485, particelle 283 e 284, risulterebbe già tutelato ai sensi del D. Lgs. 22.01.2004 n. 42 e ss.mm.ii., Parte Seconda; con D.M. 14.04.1954 “Palazzo con tutte le sue decorazioni esterne ed interne in Via del Governo Vecchio 36-42 Vicolo del Corallo”.. L’immobileriferito al Foglio 485 part 285, sarebbe invece tutelato ai sensi del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 e ss.mm.ii, Parte Seconda; con D.M. 28.05.1954 “Palazzo nel suo complesso con tutti i suoi elementi decorativi in Via di Parione, 34A-39”.

II. Con tale atto l’Ufficio comunicava di avere avviato l’istruttoria, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii. e dell’art. 7 della L. 241/1990 e ss.mm.ii., per la ridefinizione dei due precedenti e sopracitati provvedimenti di tutela del Palazzo Nardini (partt. 283-284 e part. 285), da estendersi anche alla part. 279, ritenuta di interesse particolarmente importante in considerazione della sua appartenenza al nucleo storico dell’immobile (come da verbale della seduta del 24.02.2016 della Commissione Regionale per la tutela del Patrimonio Culturale del Lazio – Segretariato Regionale del MiBAC per il Lazio), ai sensi dell’art. 10, c. 3, lett. d) del D. Lgs. 42/2004.

III. In particolare, la Soprintendenza motivava la propria attività procedimentale alla luce della rilevanza storica del complesso che ha rivestito nei secoli la funzione di istituzione pubblica e che “dovrà mantenere la destinazione d’uso compatibile con il carattere storico e artistico, che non arrechi pregiudizio alla conservazione e che garantisca la fruizione pubblica del bene”.

IV. Parte ricorrente, premessi brevi cenni sull’autonoma impugnabilità dell’avviso di avvio del procedimento, in quanto atto idoneo a produrre effetti immediati e lesivi delle posizioni soggettive dei destinatari, si duole per i seguenti motivi:

1. Violazione di legge e errata interpretazione del codice dei beni culturali.

Con tale motivo si intende far valere l’erronea interpretazione data dagli Uffici ministeriali all’art. 53 del d.lgs. 42/2004 in combinato disposto con l’art. 54 commi 1 e 2.

In particolare, l’art. 53, comma 1, stabilisce che “i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all’articolo 822 del codice civile, costituiscono il demanio culturale”; l’art. 54, comma 1, stabilisce che sono inalienabili i beni del demanio culturale espressamente indicati dalle lettere da a) a d-ter).

Il successivo comma 2, lettera a), estende il regime della inalienabilità anche ad altri beni del patrimonio culturale ovvero, in particolare, a quelli “ appartenenti ai soggetti di cui all’art. 10, comma 1”, ossia “allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”.

Dalla lettura fattane da parte ricorrente risulterebbe che la tutela apprestata dal codice per i beni culturali posseduti da soggetti privati in senso stretto, diversi da quelli non aventi fine di lucro, non comprenderebbe in nessun caso l’inalienabilità.

Seguendo tale ragionamento, poiché Palazzo Nardini è stato trasferito dalla Regione Lazio sin dal 31 marzo 2016 a un fondo di investimento immobiliare gestito da una SGR, esso non sarebbe soggetto al regime della inalienabilità che la Soprintendenza ha inteso attivare con l’atto in contestazione.

Non sarebbe, infatti, revocabile in dubbio che il nuovo proprietario è un soggetto distinto dalla Regione Lazio, operante in totale autonomia: i fondi operano in regime di libero mercato ai sensi dell’art. 33 ter del D.L. 6/7/2011 n. 98, inserito dall’art. 3, comma 2 bis, D.L. 30 novembre 2013 n. 133 convertito dalla L. 29/1/2014 n. 5, sotto la vigilanza della Banca d’Italia e della Consob.

Pertanto, dal 31 marzo 2016 Palazzo Nardini sarebbe pienamente alienabile in ambito nazionale e non sarebbe neanche più soggetto al diritto di prelazione dello Stato, come chiarito dall’Ufficio Legislativo del Ministero preposto alla tutela, con la nota del 19 marzo 2015 prot. n. 0006328.

2. Eccesso di potere e violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990.

Parte ricorrente ritiene altresì che, anche ove si ritenesse corretta l’interpretazione delle disposizioni del codice sopra indicate fornita dalla Soprintendenza, l’atto sarebbe comunque illegittimo poiché costituirebbe una forma di autotutela dell’amministrazione rispetto al provvedimento di autorizzazione alla vendita del 26 febbraio 2016 emesso dal MiBAC – Segretariato regionale per il Lazio: autotutela impropriamente esercitata oltre il termine di diciotto mesi previsto dalla disposizione rubricata –

V. In data 18 maggio 2018 venivano depositati i primi motivi aggiunti, proposti per l’annullamento della nota del 4 maggio 2018 prot. n. 0006385 Cl. 34.19.04/1156.1 del MIBACT, Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma.

Con tale nota, indirizzata in primo luogo alla Regione Lazio oltre che alla ricorrente, la Soprintendenza ha diffidato la Regione a presentare – entro il termine di novanta giorni dalla notifica dell’atto – un progetto di misure preventive e manutentive indispensabili in considerazione del cattivo stato di conservazione dell’immobile, e ciò in ragione dei vincoli di tutela diretta a cui esso è già stato sottoposto, nonché dell’applicazione in via cautelare – in forza della comunicazione di avviso di avvio del procedimento – delle disposizioni previste dal Capo II (in particolare le norme degli artt. 18, 19, 20, 21), dalla sezione I del Capo III e dalla sezione I del Capo IV del Titolo I della parte II del d.lgs. 42/2004.

A tale atto parte ricorrente estende le medesime censure già proposte per richiedere l’annullamento dell’avviso di avvio del procedimento.

1. In particolare, essa censura il vizio di violazione di legge ed errata interpretazione delle disposizioni del codice dei beni culturali, giacché l’amministrazione avrebbe apposto un vincolo di inalienabilità in violazione del combinato disposto degli artt. 53, 54, 55 d.lgs. 42/04, in quanto il bene non sarebbe più in mano pubblica (Regione Lazio) dal 31 marzo 2016, ma apparterrebbe a un fondo immobiliare gestito da una SGR.

Il nuovo proprietario è da considerarsi quale soggetto completamente distinto dalla Regione Lazio, operante secondo logiche di mercato (art. 33 ter del D.L. 6/7/2011 n. 98, inserito dall’art. 3, comma 2 bis, D.L. 30 novembre 2013 n. 133 convertito dalla L. 29/1/2014 n. 5) e sotto la vigilanza della Banca d’Italia e della Consob.

2. Viene, inoltre, prospettato il vizio di eccesso di potere e di violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990,giacché, ove il vincolo di inalienabilità venga interpretato come una forma di provvedimento assunto in via di autotutela dall’amministrazione, esso avrebbe dovuto essere emanato entro un termine ragionevole o comunque entro il termine massimo di diciotto mesi prescritto dall’art. 21 nonies della L. 241/1990.

VI. Con memoria del 9 giugno 2018 si è costituito in giudizio il Ministero dei beni e delle attività culturali, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale e comunque il suo respingimento unitamente all’istanza cautelare e ai motivi aggiunti.

VII. Con ordinanza cautelare n. 3510/2018, resa all’esito della camera di consiglio del 12 giugno 2018, la Sezione fissava l’udienza pubblica ai sensi dell’art. 55 comma 10 c.p.a. e disponeva incombenti istruttori a carico della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma e del Ministero dei beni e delle Attività culturali, volti ad acquisire documentati chiarimenti relativi all’attività istruttoria svolta dall’Amministrazione nel procedimento relativo alla nota del 10/04/2018 e nel procedimento concluso con il provvedimento del 26 febbraio 2016 di nulla osta all’alienazione dell’immobile.

La Soprintendenza ottemperava all’ordine istruttorio depositando documenti in data 8 agosto, 1 settembre e 3 settembre 2018.

VIII. Con i secondi motivi aggiunti depositati l’11 settembre 2018, la società ricorrente impugnava il provvedimento del MiBACT – Segretariato generale del Lazio – Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio del 27 luglio 2018, con il quale è stato dichiarato in via definitiva che l’immobile di via del Governo Vecchio da n. 36 a n. 42, via del Corallo n. 9, via della Fossa n. 13 e via di Parione da n. 34 a n. 39, riveste carattere storico-artistico ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. 42/2994 ed è conseguentemente sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto decreto legislativo.

Espone parte ricorrente, in punto di fatto, che:

– “Palazzo Nardini” venne dichiarato di notevole interesse storico-artistico con provvedimento del 14 aprile 1922, confermato con provvedimento notificato il 22 novembre 1931;

– una volta entrata in vigore la legge 1089/1939, il vincolo venne confermato dall’allora Ministro della pubblica istruzione con provvedimento notificato all’allora proprietario del bene, ossia il Pio Istituto del Santo Spirito;

– successivamente il Palazzo passò alla comunione delle ASL e con atto trascritto il 13 gennaio 2004 fu acquistato dalla Regione Lazio;

– ai sensi della legge 490/1999 il trasferimento venne sottoposto alla condizione sospensiva del mancato esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato e, con atto del 4/12/2006, è stata annotata la cancellazione poiché lo Stato non ebbe a esercitare il diritto di prelazione;

– nonostante la proprietà fosse ancora della Comunione delle ASL (il passaggio alla proprietà regionale avverrà con rogito del 24/12/2003 rep. n. 98590, trascritto il 13 gennaio 2004 ai sensi della legge regionale 18/1994), il 22 novembre del 2002 è stata approvata una bozza di Protocollo d’Intesa tra la Regione Lazio e il MiBACT, avente ad oggetto la concessione al medesimo dell’uso gratuito dell’immobile, ad eccezione di una porzione riservata alla ASL per uso istituzionale;

– il Protocollo d’Intesa (unitamente ad altra bozza redatta nel 2009) non è mai giunto alla formale sottoscrizione;

– la Regione Lazio, in data 28 dicembre 2015, ha richiesto al Segretariato generale del MiBACT l’autorizzazione alla vendita del Palazzo;

– in data 11 gennaio 2016 il Segretariato ha avviato l’istruttoria per la concessione dell’autorizzazione richiesta;

– in data 19 gennaio 2016 la Città metropolitana di Roma capitale ha dato il nulla osta all’alienazione;

– in data 24 febbraio 2016 la commissione regionale del MIBACT ha rilasciato il nulla osta all’alienazione sulla base dei pareri favorevoli degli organi interni;

– in data 26 febbraio 2016 il MiBACT ha rilasciato l’autorizzazione alla vendita;

– il 31 marzo 2016 la Regione Lazio ha trasferito la titolarità del compendio a un fondo immobiliare;

– il gestore del fondo immobiliare ha avviato una procedura di dismissione del bene secondo le procedure che regolano l’attività del fondo medesimo, e quindi l’immobile è stato pubblicizzato con varie modalità e ha ricevuto l’interesse di vari potenziali acquirenti;

– il 22 ottobre 2017 il Consiglio di Amministrazione della Società ha deliberato l’aggiudicazione al prezzo di euro 26.945.000.900 e comunicato formalmente all’aggiudicatario la conclusione della procedura, accettando la sua proposta e quindi concludendo il contratto di cessione ai sensi dell’art. 1326 c.c. e incamerando la cauzione del 10% del prezzo di aggiudicazione;

– il 10 aprile 2018, con la nota impugnata con il ricorso introduttivo, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma ha ritenuto di avviare un nuovo procedimento per la “dichiarazione di interesse particolarmente importante dell’immobile in oggetto, ai sensi dell’art. 10 comma 3, Lettera D) del d.lgs. 22 gennaio 2014 n. 42 e ss.mm.” nonché per il mantenimento “della destinazione d’uso compatibile con il carattere storico-artistico, che non arrechi pregiudizio alla conservazione e che garantisce la funzione pubblica del bene” e con l’espressa precisazione che “i beni del demanio culturale dichiarati d’interesse particolarmente importante ex art. 10, comma 3, lettera D) sono inalienabili”;

– il 4 maggio 2018 è stata trasmessa alla ricorrente la nota che conferma l’applicazione in via cautelare della Disposizioni di cui al Capo II (artt. 18, 19, 20, 21), della sezione I del capo III e della sezione I del Capo IV del titolo I della parte II del Codice dei beni culturali, tra i quali vi è la disposizione che sancisce l’inalienabilità del bene (art. 54).

Con i II motivi aggiunti viene impugnato il provvedimento che ha dichiarato in via definitiva che l’immobile riveste interesse storico-artistico ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 4272004 e che è conseguentemente sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto decreto legislativo, ivi compresa quella che sottopone il bene al regime di inalienabilità.

Avverso tale ultimo provvedimento parte ricorrente si duole per i seguenti motivi:

1. Violazione di legge ed errata interpretazione delle disposizioni del codice dei beni culturali. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di adeguata istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità.

L’apposizione del vincolo di inalienabilità assoluta sarebbe frutto di una errata interpretazione delle disposizioni del d.lgs. 42/2004. In particolare, l’art. 53 stabilisce che costituiscono “demanio culturale” i beni culturali appartenenti “allo Stato, alle Regioni e a altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie di cui all’art. 822 del codice civile”. Il comma 1 dell’art. 54 stabilisce che sono assolutamente inalienabili, tra quelli appartenenti al demanio culturale, solo i beni espressamente ivi indicati.

Con l’art. 55 il legislatore individua i limiti e le modalità di alienazione degli immobili appartenenti al demanio culturale, non rientranti tra quelli indicati all’art. 54, comma 1, e precisa che tali beni non possono essere alienati senza l’autorizzazione del Ministero.

L’art. 56 del d.lgs. 42/04 contiene disposizioni relative alle modalità con le quali devono essere autorizzate le alienazioni dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali diversi da quelli di cui all’art. 54 commi 1 e 2 e all’art. 55 comma 1, nonché all’alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli sopra indicati ovvero a persone giuridiche private senza scopo di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

Ancora, con l’art. 57 bis è stato previsto che le disposizioni degli articoli 54, 55, 56 si applicano ad ogni procedura di dismissione o di valorizzazione o di utilizzazione anche a fini economici di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente ed attuata, rispettivamente, mediante l’alienazione, la concessione in uso e la locazione.

Secondo la tesi di parte ricorrente, dalla lettura combinata delle suindicate disposizioni risulterebbe incontestabile che la tutela che il codice appresta per i beni culturali posseduti da soggetti privati in senso stretto non comprende, in nessun caso, la possibilità di sottoporli al regime giuridico della inalienabilità, per cui, poiché l’immobile per cui è causa appartiene dal 31 marzo 2016 a un fondo immobiliare gestito da una SGR, esso non è più in mano pubblica e quindi è pienamente alienabile in ambito nazionale.

Inoltre, essendo detto immobile stato sdemanializzato, le ulteriori alienazioni del medesimo non sono più soggette al diritto di prelazione dello Stato.

Alla luce di tale ricostruzione normativa, l’applicazione all’immobile in oggetto del vincolo di inalienabilità assoluta sarebbe illegittimo non trovando alcun fondamento giuridico. Ove, poi, dovesse ritenersi che l’amministrazione, con il provvedimento impugnato sia partita dal presupposto che l’immobile sia ancora di proprietà della Regione Lazio, sarebbe incorsa in un evidente difetto di motivazione, contraddittorietà con precedente provvedimento e illogicità, non essendo tale circostanza stata menzionata nell’atto stesso.

2. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, manifesta irragionevolezza e difetto di motivazione. Violazione di legge per inosservanza dell’art. 21 nonies della legge 241/1990.

Nell’ipotesi in cui si volesse ritenere legittima l’imposizione del vincolo di inalienabilità assoluta sul bene in questione, il provvedimento impugnato si presenterebbe comunque viziato da illogicità manifesta, irragionevolezza e difetto di adeguata motivazione.

Infatti, l’autorità preposta alla tutela del vincolo dapprima avrebbe autorizzato, in data 31 marzo 2016, la dismissione dal patrimonio pubblico dell’immobile in questione mediante alienazione e poi, a distanza di due anni, avrebbe invece imposto un vincolo di inalienabilità assoluta mediante la dichiarazione di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. D).

Da qui una evidente contraddizione con il precedente provvedimento e un palese difetto di motivazione, giacché non è neanche fatto cenno, nel provvedimento impugnato, alla precedente autorizzazione alla dismissione dal patrimonio pubblico mediante alienazione; mancherebbero, inoltre, le caratteristiche del provvedimento di autotutela implicita della precedente autorizzazione mediante dismissione, per cui lo stesso provvedimento risulterebbe illegittimo, in quanto l’autotutela è stata esercitata oltre il termine fissato in diciotto mesi dall’articolo 21 nonies della Legge 241/1990.

3. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, irrazionalità, erroneità dei presupposti e difetto di adeguata istruttoria e motivazione.

In via subordinata rispetto ai precedenti motivi, la ricorrente censura anche l’illegittimità della presupposta dichiarazione di interesse particolarmente importante dell’immobile, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera d) per il mancato rispetto dei presupposti previsti da tale disposizione. L’art. 10, infatti, intende tutelare il valore storico dell’immobile richiedendo che si tratti di “d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose”.

Secondo la tesi di parte ricorrente, avallata dalla relazione tecnica allegata in atti, l’immobile in questione non possiederebbe detti requisiti, bensì solamente un interesse storico- urbanistico importante e un interesse architettonico che si può definire marginale: valori che sarebbero già ampiamente protetti dal vincolo preesistente, che assicura all’amministrazione la potestà di controllo su ogni progetto e realizzazione dovesse eseguirsi sull’immobile, mentre il nuovo vincolo finirebbe con l’incidere esclusivamente sulla titolarità del bene.

Vi sarebbe, in altri termini, la carenza di un interesse storico-identitario che è il quid richiesto dalla norma per l’apposizione del vincolo in questione, la cui mancanza rende quindi illegittimo il provvedimento impugnato.

4. Relativamente alla particella 279, la ricorrente deduce l’eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, l’erroneità dei presupposti, e il difetto di adeguata istruttoria.

L’amministrazione ha esteso il vincolo anche alla particella 279, Fg. 485, in quanto “ritenuta di interesse particolarmente importante in considerazione della sua appartenenza al nucleo storico dell’immobile”. Si tratterebbe di un evidente errore atteso che l’immobile in questione è una costruzione autonoma rispetto al compendio del palazzo, è stato realizzato in epoca recente, è adibito ad alloggio del custode, ad esso si accede da via della Fossa mediante ingresso autonomo, ha una superficie di 54,88 mq. e ha da sempre avuto una destinazione popolare; esso è inoltre in uno stato di abbandono e fatiscenza. L’apposizione del vincolo anche su tale particella 279 è dunque priva di qualsiasi fondamento e giustificazione.

IX. Il 24 settembre 2018 si costituiva in giudizio la Regione Lazio, la quale, con successiva memoria, chiedeva l’accoglimento del ricorso proposto dalla società ricorrente.

X. Con un ulteriore atto di motivi aggiunti depositato il giorno 8 ottobre 2018, la società ricorrente riproponeva le censure già sollevate con riguardo al decreto definitivo del 27 luglio 2018 di dichiarazione dell’interesse storico-artistico ai sensi dell’art. 10, comma 3 del d.lgs. 42/2004 e, quindi, di apposizione del vincolo.

XI. Seguiva una memoria di replica da parte dell’Amministrazione statale, nella quale essa, rilevata l’infondatezza della interpretazione delle disposizioni citate da parte ricorrente, affermava:

– la natura ancora prevalentemente pubblica dell’immobile, riconducibile alla Regione Lazio, in quanto proprietaria della quota maggioritaria della Società ricorrente;

– la mancanza di autorizzazione all’alienazione, non potendosi configurare come tale il “nulla osta” preventivo rilasciato dal Ministero, poiché mancante delle prescrizioni previste dall’art. 55, comma 3, del Codice e concretante quindi un mero atto interlocutorio tra le amministrazioni coinvolte.

L’amministrazione, inoltre, confutava la carenza di valenza storica e identitaria del Palazzo, il quale “dà addirittura il nome a una delle più importanti vie del centro storico cittadino”; cita anche fonti accademiche che fanno riferimento al valore identitario dell’edificio e alla sua lunghissima e nobile storia.

Inoltre, veniva spiegata dall’amministrazione, sempre nella stessa memoria, domanda in via riconvenzionale ai sensi dell’art. 42 comma 5 c.p.a. al fine di sentire “-condannare la Regione Lazio, previa chiamata in causa della stessa, al risarcimento dei danni subiti dal MiBACT per la ristrutturazione dell’edificio secondo l’uso concordato nelle trattative poi non coltivate per violazione della buona fede da parte della Regione Lazio, nella misura che sarà accertata in corso di causa; -dichiarare la nullità dell’accordo intervenuto di dismissione del complesso immobiliare di Palazzo Nardini tra Regione Lazio e INVIMIT, perché in mancanza delle autorizzazioni di legge; – dichiarare la nullità dell’accordo intervenuto per la vendita dell’immobile con la società Lemon Green, in quanto non intervenuta secondo le modalità dell’evidenza pubblica”.

XII. Le deduzioni del MiBACT sono state oggetto di replica da parte della ricorrente, la quale ha sollevato l’eccezione di tardività della memoria depositata dall’amministrazione statale il 19 novembre 2018 e quindi oltre il termine di cui all’art. 73 c.p.a..

XIII. Con il ricorso n. 11098/2018 R.G., notificato il 4 ottobre 2018 e depositato il 5 ottobre 2018, la Regione Lazio, ha, a sua volta, impugnato il decreto del MiBACT – Segretariato Regionale del Lazio Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio n. 48 dell’11 luglio 2018, notificato alla Regione Lazio il 30 luglio 2018, con il quale è stato dichiarato di interesse storico – artistico l’immobile in questione ed è stato conseguentemente sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel decreto legislativo n. 42/2004, nonché tutti gli atti connessi e consequenziali.

Le tesi della Regione sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle della ricorrente e concernono la impossibilità di apporre il vincolo di inalienabilità su un bene che non fa più parte del demanio culturale, in quanto uscito dal patrimonio della Regione, facendo leva sull’asserita violazione degli articoli 53, 54, 55 del d.lgs. 42/2004 da parte dell’amministrazione dei beni culturali.

Inoltre, la Regione sottolinea la contraddittorietà del comportamento ministeriale che da un lato, nel febbraio 2016, a mezzo della deliberazione della Commissione, ha autorizzato la vendita del compendio, dall’altra, in presenza delle medesime caratteristiche dell’immobile, nel 2018, ha apposto il vincolo di inalienabilità.

Ed ancora, la Regione rileva la violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge 241/1990, nonché del principio di proporzionalità e la lesione del legittimo affidamento da parte del decreto n. 48 dell’11 luglio 2018, giacché, ove gli organi competenti del Ministero avessero voluto apporre il vincolo di inalienabilità, avrebbero dovuto prima procedere all’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione alla vendita seguendo tutti canoni di cui all’art. 21 nonies l. cit. (termine ragionevole, comunicazione di avvio del procedimento, bilanciamento degli interessi etc.).

XIV. Nel presente giudizio si è costituita in giudizio la INVIMIT SGR S.p.a., che ha riproposto e puntualizzato gli argomenti già spesi nel ricorso R.G. n. 5274/2018, nel quale è parte ricorrente, chiedendo pertanto l’accoglimento del gravame della Regione Lazio.

XV. Alla pubblica udienza del 18 dicembre 2018 sono stati ascoltati gli avvocati delle parti presenti e le cause sono passate in decisione alla camera di consiglio riconvocata del 18 febbraio 2019.

DIRITTO

1. Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover disporre la riunione delle cause R.G. n. 5274/2018 e R.G. n. 11098/2018, sussistendo i presupposti di connessione oggettiva e soggettiva si sensi dell’art. 70 c.p.a., giacchè sono impugnati i medesimi atti e provvedimenti e le parti del giudizio sono le medesime, ad eccezione del MiBACT, non costituito nel ricorso intentato dalla Regione Lazio: tale circostanza, tuttavia, ai fini della riunione dei ricorsi, non appare rilevante giacché i provvedimenti impugnati e la vicenda della quale si controverte sono i medesimi.

2. Venendo all’esame del ricorso n. 5274/2018 e dei relativi motivi aggiunti, il Collegio ritiene di potere assorbire la questione preliminare circa l’ammissibilità del ricorso principale, per essere stato impugnato un atto ancora non produttivo di effetti giuridici lesivi per la parte ricorrente, giacché, con i successivi motivi aggiunti, l’impugnativa è stata estesa a tutti gli atti procedimentali, e in particolare a quelli conclusivi della sequenza, sicuramente idonei a ledere gli interessi della parte ricorrente.

Ad ogni buon conto, come rilevato dalla stessa ricorrente, l’atto di avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante deve essere considerato autonomamente, sotto il profilo della impugnabilità, rispetto al normale atto di avvio del procedimento, giacchè comporta l’applicazione in via cautelare delle disposizioni previste dal capo II, dalla Sezione I del Capo III e dalla Sezione I del Capo IV del Titolo I della parte II del D.lgs. 42/2004 per cui già si producono, fin da questa prima determinazione amministrativa prodromica, gli effetti lesivi che sono destinati a stabilizzarsi e a divenire definitivi con il decreto conclusivo del procedimento di dichiarazione.

3. Nel merito, la tesi di fondo della parte ricorrente si basa, da un lato, su un dato di fatto che si sarebbe realizzato in concreto nella fattispecie all’esame e, dall’altro, su un assunto giuridico, così individuabili:

a) il definitivo passaggio nella titolarità del fondo immobiliare privato del compendio oggetto di controversia e dunque l’impossibilità (e quindi l’illegittimità) della dichiarazione di interesse storico-artistico con la consequenziale, pure viziata, inalienabilità;

b) l’impossibilità giuridica di dichiarare l’interesse storico-culturale su un bene non più appartenente al demanio pubblico e oggetto delle procedure di cui al D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 e di predicarne, conseguentemente, la inalienabilità.

In particolare, si sarebbe realizzato un comportamento contraddittorio dell’amministrazione che ha, in una prima fase, autorizzato la vendita e, in un secondo momento, rimeditato la propria decisione, con l’apposizione del vincolo, e ciò, in ogni caso, al di fuori dei canoni del meccanismo procedimentale dell’autotutela disegnato dagli artt. 21 octies e 21 nonies della l. 241/1990 e senza considerare il legittimo affidamento indotto nei privati acquirenti e nei loro aventi causa, oltre che in assenza di bilanciamento degli interessi.

4. Occorre preliminarmente svolgere una sintetica rilettura delle disposizioni del d.lgs. 42/2004 sulle quali si fonda il decreto impugnato del 27 luglio 2018, che ha dichiarato l’interesse storico – artistico, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d), del Codice dei beni culturali, in relazione all’immobile denominato “palazzo Nardini” 36/37/38/39/40/41/42 via del Corallo 9, via della Fossa, 13, via di Parione, 34 A/35/36/37/38/39.

L’art. 10, comma 3, lett. d), afferma che “sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’art. 13 (…) d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose”.

Rilevante notare che il citato comma 3 segue il comma 1, il quale così dispone: “1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”.

L’art. 54, comma 1, del d.lgs. 42/2004, nel disciplinare il regime della inalienabilità dei beni culturali, stabilisce alla lettera d-bis) che gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera d) sono inalienabili, laddove il comma 4 stabilisce altresì che i beni e le cose indicati ai commi 1 e 2 possono essere utilizzati esclusivamente secondo le modalità e per i fini previsti dal Titolo II della presente Parte.

L’art. 55 prevede le modalità con le quali possono essere alienati i beni appartenenti al demanio culturale non rientranti tra quelli elencati nell’articolo 54 comma 1, tra i quali, alla lettera d-bis), vi sono quelli dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 10 comma 3) lettera d), che invece restano inalienabili.

Per completezza espositiva si richiama, inoltre, l’art. 14 che prevede le competenze, le fasi e le modalità del procedimento di dichiarazione di interesse culturale.

L’art. 57 bis sancisce che le disposizioni sopra citate degli articoli 54, 55 e 56 si applicano ad ogni procedura di dismissione o di valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente e attuata, rispettivamente, mediante l’alienazione ovvero la concessione in uso o locazione degli immobili medesimi.

5. Tale disciplina si interfaccia con quella – risultante in primis dal D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 – introdotta in una fase di crisi finanziaria internazionale nella quale è stato necessario reperire urgentemente fondi per la stabilizzazione finanziaria dei bilanci dello Stato e degli altri Enti pubblici: disciplina con la quale il legislatore ha previsto forme di cessione e di dismissione del patrimonio pubblico tramite una società di gestione del risparmio gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e con la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare promossi o partecipati da Regioni, Provincie e Comuni.

L’art. 33, comma 1, del menzionato D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111, in particolare, ha previsto la costituzione, con decreto del Ministro dell’Economia e della Finanze, di una società di gestione del risparmio per l’istituzione di uno o più fondi di investimento immobiliari chiusi promossi o partecipati da Regioni, Province, Comuni e altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti, con il fine della valorizzazione o della dismissione del patrimonio immobiliare disponibile.

Ai fondi comuni di investimento immobiliare promossi o partecipati dai predetti soggetti possono essere apportati ovvero trasferiti, beni immobili e diritti reali immobiliari a fronte dell’emissione di quote del fondo; tali apporti e trasferimenti devono avvenire sulla base di progetti di utilizzo o di valorizzazione approvati con delibera dell’organo di governo dell’ente, previo esperimento di procedure di evidenza pubblica volte alla selezione della Società di gestione del risparmio.

Con il comma 8 – ter aggiunto dall’art. 23 – ter comma 1 lett. g) del D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012 n. 135 e successivamente così modificato dall’art.56 – bis, comma 13, lett. a) e b) del D.L. 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2013 n. 98, è stato previsto che, allo scopo di ridurre il debito pubblico, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso la società di gestione del risparmio di cui al comma 1, promuove, con le modalità di cui all’articolo 4 del D.L. 25 settembre 2001 n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001 n. 410, la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire o conferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali nonché diritti reali immobiliari. Ai fondi possono conferire beni anche i soggetti di cui al comma 2, ossia Regioni, Provincie, Comuni, e altri enti pubblici o società interamente partecipate dai predetti enti.

La totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione e alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai fondi di cui al presente comma, è destinata alla riduzione del debito dell’Ente e, solo in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento.

In attuazione di tale articolato è stata costituita la società ricorrente (Decreto del Ministero dell’economia del 19 marzo 2013) e il correlativo fondo immobiliare gestito dalla SGR.

Il comma 5 del predetto art. 33 sancisce che “per gli immobili sottoposti alle norme di tutela di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, si applicano gli articoli 12 e 112 del citato decreto legislativo, nonché l’articolo 5, comma 5 del decreto legislativo 28 maggio 2010 n. 85.”

L’art. 12 del Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che ai beni indicati nell’articolo 10 comma 1, si applichi la Parte I del Codice fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell’interesse culturale (da intendersi come artistico, storico, archeologico, etnoantropologico), disciplinata dai commi successivi, e, in ogni caso, il comma 9 sancisce che le disposizioni dell’articolo si applichino alle cose di cui al comma 1 anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica.

L’art. 112 (anch’esso richiamato al comma 5 dell’art. 33 del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111), prevede la valorizzazione dei beni culturali pubblici e la possibilità di stipulare accordi tra lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, cosa che nel caso di specie è stata tentata con il Protocollo d’Intesa tra MiBACT e Regione Lazio, che avrebbe destinato il nucleo fondamentale del complesso in questione a nuova sede della biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte a Roma nonché a sede istituzionale regionale, senza tuttavia che si sia addivenuti alla effettiva sottoscrizione.

Una prima conclusione che si può trarre da tale articolato e stratificato complesso normativo, emanato in tempi diversi e al fine di soddisfare esigenze pubbliche talora tra loro distinte e difficilmente conciliabili (da un lato esigenze di tutela, di utilizzazione a fini istituzionali e di fruizione pubblica; dall’altro lato, esigenze di dismissione per le difficoltà di reperimento di risorse e per l’esosità del mantenimento del patrimonio immobiliare pubblico), è che i beni che abbiano un interesse particolarmente importante nei termini indicati dall’art. 10 comma 3 lett. d) a chiunque appartenenti e anche nell’ambito delle procedure di dismissione o di valorizzazione, possono essere oggetto della dichiarazione ivi prevista e conseguentemente essere oggetto del regime autorizzatorio all’alienazione di cui all’art. 55. Ciò è quanto si evince dal combinato disposto dell’art. 10 comma 3 lettera d) e dell’art. 57 bis d.lgs. 42/2004, la cui applicabilità non viene meno per effetto delle peculiari disposizioni del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111, come si evince dall’incipit dell’art. 33 comma 5 il quale reca “per gli immobili sottoposti alle norme di tutela di cui al d.lgs. 42/2004”.

Da tale ricostruzione si desume che è infondata la tesi di fondo cui sopra si è fatto cenno. Ne consegue che il bene del patrimonio pubblico sottoposto a tutela e oggetto di procedura di dismissione può essere oggetto della procedura di cui all’art. 10 comma 3 lettera d) d.lgs. 42/2004 con gli effetti di cui all’art. 55 dello stesso d.lgs. fin quando non è autorizzata la vendita da parte dell’Autorità ministeriale secondo le procedure di cui agli articoli 13 e ss. del Codice dei beni culturali.

Prova della correttezza di tale ricostruzione sono proprio le sequenze procedimentali che si andranno di seguito ad esaminare e dalle quali si evince che la Regione Lazio ha avviato con proprie istanze di autorizzazione rivolte al MiBACT i procedimenti per l’alienazione dei beni in questione, in tal modo implicitamente riconoscendo la potestà dell’amministrazione statale preposta alla tutela di pronunciarsi ancora in quella fase, prodromica della dismissione, in ordine all’“interesse particolarmente importante” del bene ai sensi dell’art. 10 comma 3 lettera d), con tutti gli effetti consequenziali.

6. Dopo aver così ricostruito e interpretato il quadro delle disposizioni che vengono in rilievo nella specie, al fine di valutare se si sia verificato il presupposto di cui al precedente punto 3 sub a), ossia il definitivo passaggio alla proprietà del fondo immobiliare privato del compendio oggetto di controversia, occorre sinteticamente esaminare la storia vincolistica del c.d. “palazzo Nardini” e la vicenda amministrativa sottostante i provvedimenti e gli atti per cui è causa per come risultanti dai depositi delle parti.

6.1. In primo luogo, il Collegio rileva come – nonostante la tesi ministeriale, supportata dalla Relazione intitolata “Caratteri del Palazzo e continuità del suo uso pubblico nella storia”, sottolinei e propugni una visione unitaria del “complesso palazzo Nardini” (indubbiamente sussistente sotto il profilo storico e identitario rispetto al luogo in cui esso è collocato e alle funzioni pubbliche storicamente assolte, delle quali si trova ampia menzione e approfondimento nella Relazione allegata al decreto impugnato) – i provvedimenti di vincolo pregressi e anche gli atti amministrativi successivi abbiano sempre considerato separatamente l’immobile di via del Governo Vecchio 36-42, individuato catastalmente al NCEU al foglio 485, part. 284 e l’immobile di via del Corallo 9, part. 283, rispetto all’immobile di via di Parione 34A-39, individuato catastalmente al foglio 485, part. 285 (diverso discorso vale per l’immobile di via della Fossa, individuato catastalmente al foglio 485, part. 279, non interessato da alcun provvedimento di tutela fino alla contestata delibera del 24 febbraio 2016 della “Commissione Regionale per la tutela del Patrimonio culturale del Lazio” del MIBACT).

6.2. In particolare, l’immobile di via del Governo Vecchio 36-42, individuato catastalmente al NCEU al foglio 485, part. 284 e l’immobile di via del Corallo 9, part. 283, di proprietà all’epoca del Pio Istituto di Santo Spirito, furono oggetto del provvedimento del Ministero della Pubblica Istruzione del 14 aprile 1954, notificato il 7 maggio 1954, che riconfermò l’interesse particolarmente importante del “Palazzo nel suo complesso e di tutte le sue decorazioni interne e esterne” ai sensi dell’art. 71 della legge 1 giugno 1939 n. 1089 e quindi la sottoposizione alla tutela prevista nella legge stessa, in continuità con il precedente vincolo già apposto ai sensi della legge 20 giugno 1909 n. 364.

6.3. L’immobile di via di Parione 34A-39, individuato catastalmente al foglio 485, part. 285, sempre di proprietà all’epoca del Pio Istituto del Santo Spirito, fu oggetto di analogo, ma distinto provvedimento di vincolo, del 28 maggio 1954, notificato il 28 agosto 1954 alla proprietà.

A loro volta i complessi immobiliari così catastalmente individuati erano già stati vincolati ai sensi della previgente disciplina recata dalla legge 20 giugno 1909 n. 364.

7. Passato successivamente alla proprietà del Comune di Roma, in esecuzione della deliberazione della Regione Lazio n. 2796 del 26 maggio 1980, ai sensi dell’art. 66 della legge 833 del 23 dicembre 1978 e degli artt. 73-76 della legge regionale 58 del 14 giugno 1980, dal titolo “Norme per la disciplina della contabilità delle unità sanitarie locali e per l’utilizzazione del patrimonio”, il complesso immobiliare veniva quindi trasferito dal patrimonio del Comune di Roma a quello delle Aziende Sanitarie Locali del Lazio con DPGR n. 57 del 5 febbraio 2001 e della determinazione della regione Lazio n. 1806 del 25 novembre 2003.

8. Infine, è stato acquistato dalla Regione Lazio con atto del 24 dicembre 2003 rep. 98590 ai sensi della Legge regionale 18 del 16 giugno 1994, modificata dalla legge regionale 37 del 7 agosto 1998 per una somma pari a euro 37.520.000,00.

9. Nonostante i tentativi di utilizzazione condivisa con il MiBACT, a mezzo del Protocollo d’Intesa di cui si è detto e di altra iniziativa di valorizzazione congiunta, destinati a non concludersi, la Regione Lazio avviava, con deliberazione della Giunta n. 513/2014, un progetto di valorizzazione mediante apporto a un Fondo immobiliare del proprio patrimonio immobiliare e individuava i compendi da destinare a tale operazione. Una volta costituito, con decreto del 22 aprile 2015 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Fondo comune di investimento immobiliare denominato “i3-Regione Lazio”, la Regione Lazio – Direzione Regionale Programmazione Economica Bilancio Demanio e Patrimonio, chiedeva al MiBACT – Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Lazio, con nota del 29/10/2014 prot. n. 600808, l’autorizzazione all’alienazione di n. 15 unità immobiliari site in Roma Via di Parione 35, 36, 37, 39 ai sensi degli artt. 55 e seguenti del D.lgs. 42/2004.

La Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Lazio con nota prot. n. 0017155 del 5 novembre 2014 chiedeva alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, alla Provincia di Roma e a Roma Capitale, di pronunciarsi nel merito della richiesta, ognuno per l’ambito di propria competenza, in ordine alla richiesta di autorizzazione alla alienazione ai sensi dell’art. 55 comma 3 del d.lgs. 42/2004.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma con nota del 23 dicembre 2014 prot. n. 19631 rilasciava il proprio parere favorevole esclusivamente in relazione alle porzioni in argomento, ossia a quelle indicate nell’oggetto, ed escludendo esplicitamente la porzione immobiliare denominata “Casa delle donne” (corrispondente al NCEU foglio 485, part. 284, sub 6, via del Governo Vecchio 39) e ciò in ragione dell’assenza delle planimetrie nella richiesta pervenuta.

Con Decreto del Direttore generale del 23 dicembre 2014 è stata autorizzata l’alienazione dei beni siti in via di Parione, 35, 36, 37, 39 distinti in catasto al foglio 485, p.lla 285, sub, 1, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 13, 501, 502, 503, 504, 505, 506, con le prescrizioni di mantenimento dell’attuale destinazione d’uso, della preventiva autorizzazione da parte del competente organo del MiBACT delle opere da eseguire, e con il divieto di utilizzo non compatibile con il carattere storico-artistico dei medesimi o comunque tale da recare pregiudizio alla loro conservazione.

10. La Regione Lazio – Direzione Regionale Programmazione Economica Bilancio Demanio e Patrimonio, chiedeva al MiBACT – Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Lazio, con nota del 27/10/2014 prot. n. 0016509, l’autorizzazione all’alienazione di n. 6 unità immobiliari site in Roma Via del Governo Vecchio 36, 37, 38, 40, 41, 42 NCEU foglio 485 part. 284, ubicate al piano terra, primo e seminterrato del Palazzo Nardini.

Analogamente rispetto alla precedente richiesta riguardante via di Parione, la Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, con nota del 30/10/2014 prot. n. 0061733, invitava la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, la Provincia di Roma e Roma Capitale, a pronunciarsi nel merito della richiesta, ognuno per l’ambito di propria competenza, in ordine alla richiesta di autorizzazione all’alienazione ai sensi dell’art. 55 comma 3 del d.lgs. 42/2004.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, con nota del 22/12/2014 prot. n. 0019629, rilasciava il proprio parere favorevole esclusivamente in relazione alle porzioni in argomento ossia a quelle indicate nell’oggetto ed escludendo esplicitamente la porzione immobiliare monumentale denominata “Casa delle donne” e ciò in ragione dell’assenza delle planimetrie nella richiesta pervenuta.

Con Decreto del Direttore generale del 23 dicembre 2014 è stata autorizzata l’alienazione dei beni immobili siti in Roma, via del Governo Vecchio 36, 37, 38, 40, 41, 42 distinti in catasto al foglio 485, p.lla 284, sub 1, 2, 3, 4, 5, 7 con le prescrizioni di mantenimento dell’attuale destinazione d’uso, della preventiva autorizzazione da parte del competente organo del MiBACT delle opere da eseguire, e con il divieto di utilizzo non compatibile con il carattere storico-artistico dei medesimi e in modo tale da recare pregiudizio alla loro conservazione.

11. Diversa sequenza procedimentale si è invece realizzata relativamente alla richiesta di autorizzazione (28/12/2015) alla alienazione da parte della Regione Lazio concernente le unità immobiliari individuate al NCEU foglio 485, partt. 279, sub 1,2; part. 283, sub 4 (graff.); part. 284, sub 6 (graff.); via del Governo Vecchio 39 e via della Fossa 13.

Il Segretariato Regionale del MiBACT, con nota dell’11 gennaio 2016 prot. n. 266, chiedeva alla Soprintendenza per le Belle Arti e il Paesaggio, alla Città Metropolitana di Roma Capitale (Assessorato Patrimonio e Demanio) di esprimersi in merito alla richiesta di autorizzazione all’alienazione precisando di dover concludere il procedimento entro 120 giorni dalla data di avvio ossia entro il 27 aprile 2016 ai sensi del D.P.R. 18 novembre 2010 n. 231.

La Commissione Regionale per la tutela del Patrimonio Culturale del Lazio, investita della questione, nella seduta del 24 febbraio 2016, deliberava che relativamente alla particella 279 del foglio 485 (non inserita nei precedenti decreti di vincolo), a differenza che per le particelle 283 e 284, la verifica dell’interesse culturale fosse da ritenersi positiva seduta stante, in considerazione dell’appartenenza della medesima al nucleo storico dell’edificio. La Commissione, quindi, demandava alla Soprintendenza il rinnovo del provvedimento di tutela la fine di stabilire in modo definitivo il perimetro catastale dell’immobile.

Lo stesso Organismo ministeriale ritiene che si possa concedere un “nulla osta preventivo” all’alienazione dei beni dell’Ente, ferme restando la continuità procedurale espressa dalla norma con il rispetto dei tempi relativi, come da regolamento, e conseguentemente le prerogative degli Enti chiamati in causa; precisa altresì la Commissione che il nulla osta preventivo non interrompe i termini procedurali.

Il Segretariato Regionale del MIBACT con nota del 26 febbraio 206 prot. n. 0001987, sulla scorta del parere della Commissione Regionale per la tutela del Patrimonio Culturale del Lazio, oltre che del nulla osta di Roma Capitale, esprimeva il proprio nulla osta preventivo all’alienazione facendo salivi tuttavia i diritti di terzi, nel caso di specie rappresentati dagli Enti e dagli istituti tenuti a pronunciarsi ai sensi dell’art. 55 e ss. entro i termini di 1320 giorni stabiliti dal DPR 231/2010 e quindi richiamando il termine del 27 aprile 2016 per l’espressione dei pareri da parte dei soggetti suindicati.

12. Così ricostruita nei suoi termini amministrativi la sequenza procedimentale contestata in entrambi i ricorsi, occorre in primo luogo sgombrare il campo da un assunto che si riscontra, in particolare, negli atti dell’Amministrazione, ossia la considerazione unitaria del bene “Palazzo Nardini”, assunto che sarebbe stato contraddetto a mezzo dell’operazione di dismissione e alienazione: la vicenda amministrativa per come sopra esposta dimostra, infatti, che la stessa amministrazione preposta alla tutela e ad effettuare le valutazioni storico-artistiche-identitarie dei beni, non ha smentito una visione frazionata degli immobili in questione, i quali sono sempre stati trattati partitamente in relazione alla loro identificazione catastale anche da parte dei provvedimenti ministeriali: impostazione, quest’ultima, comune anche ai provvedimenti più risalenti nel tempo.

13. L’Amministrazione, in particolare con le sequenze procedimentali sopra descritte ai punti 9 e 10, ha dato seguito con inequivoche determinazioni alle richieste di autorizzazione all’alienazione provenienti dalla Regione Lazio, ancora proprietaria dei beni: essa ha infatti istruito le pratiche, ha riconosciuto la tutela diretta sui beni ai sensi del d.lgs. 42/2004 e della legge 1089/1939 e ha trasmesso per il seguito di competenza agli uffici e organi preposti le richieste di alienazione, ravvisando, tra l’altro, la “necessità di ridurre al massimo i tempi di risposta”. Questo, come scritto, per quanto concerne gli immobili localizzati in via di Parione 35, 36, 37, 39, e di via del Governo Vecchio 36, 37, 38, 40, 41, 42.

Peraltro, le richieste di autorizzazione all’alienazione formulate dalla Regione attestano come vi fosse la piena consapevolezza che l’Ente proprietario fosse ancora l’Ente Pubblico, da ciò derivando l’applicazione delle diposizioni del d.lgs. 42/2004 riguardanti il patrimonio culturale pubblico e in particolare gli art. 55 ss. d.lgs. 42/2004.

Altrettanto inequivocabili appaiono essere i decreti del Direttore Generale sopra descritti emanati ai sensi dell’art. 55 d.lgs. 42/2004, nei quali si afferma che dall’alienazione non deriva un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento degli immobili medesimi. Le autorizzazioni all’alienazione appaiono, pertanto, essersi perfezionate.

14. Alla luce di tale ricostruzione, risultano fondate le censure proposte dalla ricorrente nel ricorso introduttivo n. 5274/2018 al punto 3 e nei motivi aggiunti al punto 2 (nonché dalla Regione Lazio nel ricorso n. 11098/2018 nella seconda censura), giacché una resipiscenza dell’amministrazione in ordine alla necessità di dichiarare l’interesse culturale ai sensi dell’art. 10 comma 3 lettera d) d.lgs. 42/2004, avrebbe implicato il previo esercizio dell’autotutela amministrativa, rispetto alle autorizzazioni all’alienazione già emanate, nei termini dell’annullamento d’ufficio secondo i canoni sanciti dall’art. 21 nonies della legge 241/1990 s.m.i., e quindi una rivalutazione motivata in punto di interesse pubblico, di interessi dei destinatari e dei controinteressati e nel termine temporale massimo dei diciotto mesi. Degli elementi richiesti dall’art. 21 nonies l. cit., non vi è traccia né nel provvedimento finale del 27 luglio 2018, né nell’avviso di avvio del procedimento del 10 aprile 2018 né nella nota del 4 maggio 2018 n. 6385 di applicazione delle disposizioni previste dal capo II della sezione I del capo III e della sezione I del capo IV del titolo I della parte II del d.lgs. 42/2004.

Sotto questo profilo pertanto i provvedimenti impugnati sono illegittimi e vanno annullati in parte qua.

15. Considerazioni di segno diverso valgono invece per la sequenza procedimentale che ha caratterizzato la richiesta di alienazione, presentata dalla Regione Lazio, della parte dell’immobile relativa a Via del Governo Vecchio 39 e via della Fossa 13 (Fg. 485, part. 279, sub 1, 2; 283, sub 4; 284 sub 6). Incidentalmente si rileva come i pareri favorevoli all’alienazione della Soprintendenza del 22 dicembre 2014, relativi agli altri due spezzoni procedimentali, abbiano sempre precisato che il parere favorevole escludeva la porzione immobiliare monumentale meglio nota come “Casa delle Donne”, ossia quella di via del Governo Vecchio 39: segno, questo, di un diverso intendimento dell’Autorità preposta alla tutela in ordine a tale parte (evidentemente ritenuta quella dal significato più pregnante sotto il profilo identitario, artistico e culturale) del “Complesso”.

Il Segretariato Generale rilasciava un nulla osta preventivo, che tuttavia faceva salvo il termine del 27 aprile 2016 per l’espressione delle ulteriori valutazioni da parte degli enti e dei competenti uffici del MiBACT. Conseguentemente tale nulla osta preventivo non è assimilabile ai decreti sopra visti che hanno autorizzato l’alienazione degli immobili ricadenti in via di Parione 35, 36, 37, 39 e via del Governo Vecchio 36, 37, 38, 40, 41 e 42, trattandosi di un atto interlocutorio, in attesa delle ulteriori determinazioni di Uffici e Organismi, tra i quali, in particolare, la Commissione che espresso il proprio parere il 26 febbraio 2016, riaffermando la necessità di pervenire a una ridefinizione del vincolo anche al fine di comprendervi l’unità immobiliare di via della Fossa 13.

Mancano, inoltre, per il perfezionamento dell’autorizzazione alla vendita, le prescrizioni previste dall’art. 55 comma 3 del d.lgs. 42/2004, ossia le condizioni in ordine alle misure di conservazione, le condizioni di fruizione pubblica del bene tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d’uso, nonché la congruità circa le modalità e i tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione.

Sotto questo profilo, il decreto del 27 luglio 2018 resiste alle censure delle parti ricorrenti, giacché, non essendosi perfezionata l’autorizzazione all’alienazione, non risultano fondate le censure relative al necessario esercizio dell’autotutela amministrativa ai sensi dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, non dovendo l’amministrazione rimuovere alcun provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, che nella specie non si è perfezionato.

Sotto un ulteriore profilo, rilevato anche nella relazione dell’amministrazione, l’“atto di apporto e vendita al Fondo comune di investimento immobiliare chiuso”, rogitato il 31 marzo 2016, non ha rispettato il termine procedurale previsto dal nulla osta preventivo ossia il 27 aprile 2016 per quanto concerne il conferimento della porzione di immobile rispetto alla quale non si era ancora perfezionata l’autorizzazione alla vendita, per cui, sotto questo profilo, deve trovare applicazione l’art. 164 del d.lgs. 42/2004, che sancisce la nullità delle alienazioni e degli atti giuridici in genere compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte.

16. Infondata è, in relazione alla particella all’esame, la deduzione circa la mancanza dei presupposti previsti dall’art. 10 comma 3 lettera d) per la dichiarazione dell’interesse storico artistico dell’immobile di via del Governo Vecchio 39.

In linea generale, il provvedimento di vincolo di particolare interesse storico e artistico è legittimamente motivato con la sussistenza sia dell’immedesimazione e compenetrazione dei valori storico – culturali con le strutture materiali, nonché del collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli eventi storico-culturali della città, sia del pregio artistico dell’immobile e di alcuni arredi in esso contenuti.

In particolare, nel caso della dichiarazione di interesse particolarmente importante, deve essere presente una forma di storica utilizzazione del bene immobile che sia connessa a particolari eventi della storia cittadina che possano giustificare adeguatamente l’imposizione di un tal vincolo.

Nel caso in questione, pur essendo evidente che il giudice amministrativo non può sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’Amministrazione con riferimento al valore identitario degli immobili rispetto al contesto e fermi i limiti del sindacato giurisdizionale sulla presente tipologia di provvedimenti, che può riguardare i profili della congruità dell’istruttoria compiuta e dell’adeguatezza e logicità della motivazione addotta, si ritiene che il provvedimento del 27 luglio 2018 (del quale è parte integrante la Relazione storico-artistica nella quale sono esplicitati i vari passaggi storici e le destinazioni d’uso a cui sono state adibite le varie parti del Complesso e la sua significatività anche per la stratificazione degli interventi edificatori e di restauro, risalenti all’epoca medievale) integri tali requisiti.

Dalla lettura della Relazione risalta in modo chiaro la rilevanza del bene sotto il profilo non solo culturale ed artistico, ma anche di collegamento identitario, per la funzione che lo stesso ha assolto di sede di rilevanti Istituzioni, prima dello Stato pontificio, poi dello Stato italiano, e la cui storia è dunque profondamente connessa con il contesto (pur mutevole nei secoli) politico-istituzionale romano.

17. Nei motivi aggiunti, al punto 4, la società ricorrente censura in modo specifico, l’estensione del vincolo anche alla particella 279 fg. 485, (via della Fossa), ritenendola priva “di qualsiasi fondamento e giustificazione, non potendo lo stesso rivestire il minimo interesse storico artistico”. Si tratterebbe di un evidente errore poiché l’immobile in questione è una costruzione autonoma e distinta rispetto al compendio del Palazzo, è stato realizzato in epoca recente e è stata adibita ad alloggio del custode, ha una superficie di mq. 54,88 e ha sempre avuto una destinazione ad abitazione popolare; inoltre, lo stato attuale sarebbe di assoluta fatiscenza.

17.1. La particella 279 sub 1 in questione (via della Fossa 13) non era soggetta agli originari provvedimenti di tutela emanati ai sensi della legge 364/1909 e della legge 1089/1939.

La Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio, con la sopra richiamata deliberazione, ha ritenuto necessario procedere alla ridefinizione del vincolo anche in relazione a tale particella, che è stata ricompresa nel decreto impugnato.

Le censure di parte ricorrente, sempre nei sopra richiamati limiti del sindacato del giudice amministrativo in ordine alla meritevolezza del vincolo, non colgono nel segno giacché, come emerge dalla relazione della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, che forma parte integrante del decreto impugnato, la parte relativa a Via della Fossa costituisce l’accesso al nucleo più antico del complesso immobiliare e presenta, quindi, una sua significatività nel contesto dei manufatti che costituiscono il complesso denominato “Palazzo Nardini” (pagine 3 e 8 ss. della Relazione formante parte integrante del decreto impugnato).

18. Alla luce delle dispiegate motivazioni, il ricorso R.G. 5274/2018 e i motivi aggiunti devono quindi essere accolti nella parte in cui – con i provvedimenti impugnati – è stato dichiarato l’interesse storico-artistico delle particelle n. 284, sub 1, 2, 3 4, 5,7 di via del Governo Vecchio 36, 37, 38, 40, 41, 42 nonché n. 285 di via di Parione 35, 36, 37, 39, sub 1, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 20, 13, 501, 502, 503, 504, 505, 506, salvi i poteri amministrativi non ancora esercitati; sono da respingere quanto alla restante parte.

19. In ordine alla richiesta risarcitoria di parte ricorrente nell’ambito del ricorso R.G. 5274/2018, la stessa non può essere accolta, in ragione: 1) dell’accoglimento solo parziale delle ragioni della medesima ricorrente in ordine alle parti sopra evidenziate dei beni oggetto di gravame, 2) della genericità della richiesta quanto alla deduzione degli elementi fondanti della fattispecie del danno risarcibile e di criteri idonei a una quantificazione.

20. In relazione al ricorso presentato dalla Regione Lazio (R.G. 11098/2018), che presenta motivi di ricorso analoghi a quelli prospettati nel ricorso e nei motivi aggiunti R.G. 5274/2018, valgono le stesse considerazioni sopra svolte per cui esso deve essere accolto in parte, con annullamento in parte qua del decreto del 27 luglio 2018.

21. La domanda riconvenzionale presentata dalla difesa erariale nell’ultima memoria del 18 novembre 2018 (R.G. 5274/2018) – nella quale è ricompresa anche una domanda risarcitoria – va dichiarata inammissibile poiché è stata proposta con memoria non notificata alle altri parti processuali ai sensi dell’art. 42 comma 5 c.p.a.; del resto, già anteriormente rispetto alla codificazione del 2010, la giurisprudenza amministrativa non ammetteva nessun ampliamento dell’oggetto del giudizio se non a mezzo di atti che devono essere notificati alle altre parti (Sent. C.d.S. Sez. V, 31 gennaio 2001 n. 353).

22. Le spese di entrambi i giudizi possono essere compensate tra le parti in ragione della complessità e novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sui ricorsi R.G. 5274/2018 e R.G. 11098/2018 e sui motivi aggiunti in epigrafe:

– li riunisce ai sensi dell’art. 70 c.p.a.;

– li accoglie in parte nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua i provvedimenti impugnati, salvi i poteri dell’amministrazione non ancora esercitati e, per il resto, li respinge;

– respinge la domanda di risarcimento del danno proposta dalla ricorrente nel ricorso R.G. 5274/2018;

– dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale presentata dall’amministrazione resistente nel ricorso n. 5274/2018.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i giudizi riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, nelle camere di consiglio dei giorni 18 dicembre 2018 e 18 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati: