Piùculture: Invisibili ma necessari. Immigrati e lavoro agricolo
Autore : Redazione
Pubblichiamo da Piuculture.it un articolo di Vincenzo Lombardo a margine dell’iniziativa Invisibili ma necessari. Immigrati e lavoro agricolo che si è tenuto martedì 25 agosto 2020.
“Invisibili ma necessari. Immigrati e lavoro agricolo”, è l’evento organizzato da Mediterranean Hope in collaborazione con la Diaconia valdese che si è tenuto martedì 25 agosto 2020. L’incontro fa parte di “Generazioni e rigenerazioni. Avere cura di persone, memorie e territori”, una serie di appuntamenti, dal 24 al 30 agosto, su importanti temi quali Covid, sanità, giustizia sociale e migrazioni. La settimana di iniziative si svolge a Torre Pellice (TO), nel periodo nel quale solitamente si teneva il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, annullato per emergenza coronavirus.
Agricoltura e lavoro irregolare
Maurizio Ambrosini, docente di sociologia alla Statale di Milano, ci tiene a precisare che l’impiego di immigrati in agricoltura è un fenomeno antico e persistente, risalente almeno al XIX secolo. Col tempo l’agricoltura è diventata un “bacino” per il lavoro irregolare, e questo non solo in Italia. Negli Stati Uniti, ad esempio, quasi la metà dei prodotti agricoli viene raccolta da immigrati irregolari, prevalentemente messicani. Oggi in Italia, secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Ministero del Lavoro, un occupato su dieci è immigrato (10,7%), ma in agricoltura il numero sale a quasi due su dieci (18,3%). Tuttavia, secondo il professore, i numeri sono ampiamente sottostimati, poiché comprendono solo in parte il lavoro stagionale.
Lo sfruttamento non è inevitabile
Secondo Ambrosini, quello del bracciante agricolo è un tipico esempio di uno dei “lavori delle 5p” destinati agli immigrati: lavori precari, pesanti, pericolosi, poco pagati e penalizzati socialmente, ovvero caratterizzati da un basso prestigio sociale. Ma per il docente lo sfruttamento del lavoro di raccolta in agricoltura, dovuto a scarsi investimenti e arretratezza tecnologica, non è inevitabile. Esso è un fenomeno che non riguarda solo il Mezzogiorno ed è troppo spesso tollerato sia socialmente che politicamente, come dimostrato dalla presenza delle baraccopoli. Alle volte coinvolge anche gli stessi immigrati, come accade per intermediari e trasportatori. Solitamente le condanne morali riguardano solo il caporalato, lasciando indenni i proprietari agricoli.
Sfruttamento diretto e indiretto
Vi sono inoltre molti stereotipi che generano confusione, come l’idea che lo sfruttamento coincida sempre con la mancanza di permesso di soggiorno: in realtà vi è un crescente coinvolgimento di manodopera con cittadinanza europea, soprattutto proveniente dall’Est Europa. Oltre allo sfruttamento diretto, vi è quello indiretto che comprende intermediari commerciali, grossisti e distributori, fino ad arrivare ai consumatori, che cercano solo la convenienza del prodotto: “noi consumatori ci siamo silenziosamente abituati a considerare tollerabile questo sistema, ed è anche questo il punto sul quale bisogna lavorare”. Anche per Alberto Revel, segretario alla Camera del Lavoro della CGIL Torino, è necessaria un’analisi morale “perché siamo noi il primo problema, in quanto consumatori. Fino a quando pretenderemo dal mercato la frutta e la verdura con prezzi bassi tutto il sistema sarà compromesso. Infatti è evidente che in agricoltura i contratti non sono rispettati, sia a livello salariale che normativo”.
La sanatoria dei lavoratori irregolari
Con 207mila domande, anche se per l’85% nel lavoro domestico e assistenziale e solo per il 15% in agricoltura, per Ambrosini la sanatoria dei lavoratori irregolari promossa dal Governo non è stata un “flop”, come spesso raccontato dai media. Anzi essa è da considerarsi come un esempio per gli altri Paesi, essendo quasi unica al mondo, preceduta solo da quella, di dimensioni più contenute, del Portogallo. A differenza del professor Ambrosini, per il sindacalista Soumahoro la regolarizzazione dei lavoratori è stata un fallimento, perché “207mila pratiche inviate non corrispondono a 207mila permessi rilasciati”.
Gli invisibili e l’agricoltura
“Oggi in Italia vi sono uomini e donne ‘invisibili’– dichiara Soumahoro –, che non possono rendere evidente la loro condizione di sfruttamento. Essi sono portati a nascondersi e a vergognarsi di dire: ho fame, sono sfruttato, questo non lo accetto”. “Durante la pandemia di Covid-19, mentre il governo chiedeva alla filiera agricola di continuare a produrre, gli ‘invisibili’ ci hanno aiutato, ma adesso sono tornati nuovamente nell’ombra. La politica si è preoccupata della verdura e della frutta ma non delle ‘braccia’ di chi le raccoglieva”. Da qui si pone la necessità di come dovrebbe essere oggi la filiera agricola. Ad esempio la questione sulla proprietà intellettuale dei semi: “Di chi sono oggi i semi – si domanda il sindacalista – e chi impone i meccanismi produttivi, all’interno dei quali vi è una sorta di modello standardizzato? È possibile rimettere al centro del dibattito l’essere umano e uscire dalla logica del pensiero razzializzante che continua a caratterizzare la vita di donne e uomini?”.
Il destino dei lavoratori
“Il pensiero e la coscienza sono in regressione rispetto alle necessità del mondo attuale – ricorda Soumahoro, citando il filosofo francese Edgar Morin –. Seguire la ragione dell’utilitarismo della necessità impoverisce la nostra dimensione interiore, la sola in grado di analizzare i processi fuori dalla prospettiva materialista”. Per l’attivista è necessario interrogarsi sull’attuale modello economico ancorato allo sfruttamento dell’uomo sulla natura e dell’uomo sull’uomo: “perché non si può slegare il destino dei lavoratori migranti dal destino del resto dei lavoratori”.
I diritti nella terra delle arance
La sindacalista Celeste Logiacco apre il suo intervento con un video, “La tutela dei diritti nella terra delle arance”, dove si mostrano i numerosi insediamenti irregolari della Piana di Gioia Tauro, alcuni dei quali nati dopo la “rivolta di Rosarno” del 7 gennaio 2010, quando i lavoratori migranti si ribellarono allo sfruttamento e alle condizioni che la ‘ndrangheta imponeva. “Nella Piana ci sono stati numerosi incendi – dichiara Logiacco – , perché durante la stagione di raccolta invernale i migranti vivono in tende, baracche o casolari abbandonati senza acqua, corrente o riscaldamento e accendono fuochi di fortuna che spesso provocano incidenti e la morte di persone. Come FLAI CGIL abbiamo chiesto al Governo il superamento dei ghetti e delle tendopoli, abbiamo chiesto soluzioni abitative alternative che diano sicurezza e dignità alle persone e che li rendano in grado di non sottostare ai ricatti dei caporali. Ma la Calabria si può salvare solo se sono i calabresi a cambiarla, rendendo ‘visibili gli invisibili’ e creando migliori condizioni di vita sia per chi è nato nella Piana di Gioia Tauro, sia per chi lì ha deciso di lavorare”.
Lavorare “sotto caporale”
Per Logiacco il caporalato non è un fenomeno solo del Mezzogiorno e non colpisce solo l’agricoltura. Nella Piana lavorare “sotto caporale” vuol dire essere pagati o 25 euro a giornata o a cottimo, ovvero 1 euro per una cassetta di mandarini, 50 centesimi per una di arance. Vi sono poi le “tasse” da corrispondere al caporale: 5 euro per un panino e dell’acqua o per il trasporto, perché una delle difficoltà del territorio è la mancanza di un trasporto pubblico. Infatti “chi ha visitato Rosarno è rimasto sorpreso dal numero consistente di biciclette, il mezzo che i migranti utilizzano per raggiungere le campagne”.
Per entrare in Italia devi perdere la dignità
“Io parlo a nome di tutti gli invisibili – annuncia Ibrahim Diabate, mediatore culturale a Rosarno –. A Lampedusa e negli altri hotspot inizia l’invisibilità delle persone che scappano dalla fame e dalla guerra. Perché per poter entrare in Italia devi tenere lo sguardo basso e perdere la dignità. Anche se a Lampedusa non sono stati fatti sufficienti tamponi, in Italia l’immigrato viene considerato portatore di malattia. Per questo è necessario far cadere il muro linguistico che esiste in Italia fra noi e loro”, conclude.
Schiavitù e lotta nelle campagne
La giornalista e scrittrice Sara Manisera ha colto l’occasione per presentare il suo libro “Racconti di schiavitù e di lotta nelle campagne”. Seguendo il ciclo delle stagioni, l’autrice racconta lo spostamento dei braccianti stranieri, non solo al Sud ma anche al Nord Italia. “L’autunno”, ad esempio, è dedicato al Piemonte, in particolare a Saluzzo e agli altri “comuni della frutta” che ogni anno, da ormai diverso tempo, sono al centro delle cronache nazionali per le difficili condizioni di vita dei lavoratori: storie di vita reali, dialoghi di persone che l’autrice ha incontrato e intervistato, lavoratori che vivono lo sfruttamento ma che resistono e lottano assieme, proponendo un nuovo modello di agricoltura. La giornalista ricorda associazioni che, da anni, si sono messe al fianco dei lavoratori stranieri nelle campagne di tutta Italia: da SOS Rosarno, a SfruttaZero fino al Comitato Antirazzista Saluzzese.
Sfruttamento del lavoro e dell’ambiente
Per Manisera il modo in cui oggi produciamo il cibo comporta due tipi di sfruttamento: quello dei lavoratori e quello dell’ambiente. Il voler a tutti i costi massimizzare la produzione e la ricerca dell’estetica del prodotto vuol dire, in realtà, utilizzare sempre più diserbanti distruggendo l’ambiente. Così questo tipo di produzione agricola danneggia non solo i diritti dei lavoratori, ma anche il nostro diritto alla salute.
La soggettività politica dei braccianti
La “primavera” è il capitolo finale del libro ed è dedicato alla Sicilia. Un viaggio nella memoria delle lotte bracciantili, che dalla fine dell’800 fino alla metà del ‘900 hanno “fatto la storia”, portando alla riforma agraria del 1950: una riforma incompiuta, ma che rappresenta il primo segno tangibile della soggettività politica dei braccianti agricoli. “Infatti – conclude la giornalista – prima che Corleone divenisse tristemente noto per essere il ‘paese dei mafiosi’ fu il paese di strenui difensori della giustizia sociale, come Bernardino Verro e Placido Rizzotto”.
Qui il link al video dell’evento.
Vincenzo Lombardo
(27 agosto 2020)