Infuria la polemica sul Grab, il Grande Raccordo Anulare delle Bici: il tracciato deve attraversare Villa Ada come propongono gli ideatori (Legambiente, Touring Club, Velolove), o è meglio che gli giri al largo, come sostengono Italia Nostra, WWF e numerosi comitati locali? La ciclabile rischia davvero di «peggiorare la qualità della vita, rinnegando alla radice quegli intenti di riqualificazione che dovevano ispirare la filosofia di mobilità alternativa», come sostiene l’amico Lorenzo Grassi, animatore del meritorio Osservatorio Sherwood su Villa Ada? Siamo sicuri che escludere l’attraversamento della villa significhi «negare l’idea stessa del Grab, un circuito che vuole riconnettere i luoghi più belli con le periferie», come scrivono gli amici Roberto Della Seta e Francesco Ferrante? È vero che il Grab è solo «un’operazione di marketing con l’imposizione dall’alto di un intervento impattante (sia dal punto di vista infrastrutturale che dei flussi)»? O, piuttosto, opporsi al transito nella villa in nome dell’ambiente è solo «una follia che gli ambientalisti non possono permettersi»? Il crescendo di accuse ricorda l’escalation della battaglia del burro tra Zighi e Zaghi nel paese del Dr. Seuss. Meglio sarebbe mettersi a discutere intorno a un tavolo senza mandarsi a quel paese. Riconoscendo che il Grab è un bel progetto, che l’attraversamento delle ville storiche richiede necessariamente delle accortezze, che conciliare interessi diversi è possibile, che la partecipazione dei comitati locali è strategica (anche) in vista della manutenzione del tracciato, e che forse la vera sfida non è l’attraversamento di Villa Ada ma il mantenimento del percorso tra Tor Fiscale e il Quadraro. Spinti dalla foga, Della Seta e Ferrante si spingono perfino ad attribuire a mio padre la paternità del Grab («Nato da un’idea di Antonio Cederna, il Grab è una bella storia cresciuta dal basso»), mentre Grassi si dice sconcertato «che qualcuno ‘tiri per la giacchetta’ il grande ambientalista, che fu proprio il più combattivo artefice dell’esproprio della parte privata del parco». Sono andato a controllare: il primo articolo su Villa Savoia (la futura Villa Ada) appare il 21 giugno 1955: «Un quinto dei beni complessivi dei Savoia deve passare allo stato: è augurabile che in esso rientri la villa romana, e che il Comune riesca a destinarla a parco pubblico. Intanto se ne va la fetta in vista dell’Acqua Acetosa, tra il piazzale delle Muse e le vie Tommaso Salvini e San Filippo Martire. Essa era naturalmente destinata a parco privato ma Vittorio Emanuele III riuscì a ottenere una variante che la destinava a villini e palazzine, e a venderla a un istituto bancario: oggi vi costruiscono cooperative, di cui fan parte grossi papaveri, politici e funzionari» (Le ville distrutte). Da allora ci torna quasi ogni anno. «Il destino di Villa Savoia è pregiudicato dalle pretese degli eredi e dalla vaghezza del Comune» (Distruggere i parchi, 13 agosto 1957). «Per la sua posizione e per la sua notevole estensione, Villa Savoia, mediante appropriati lavori di sistemazione, potrà assolvere non soltanto la funzione di parco di quartiere, ma anche a quello di parco collettivo a largo raggio di attrazione, con caratteristiche e funzioni particolari» (Il Fronte del verde, 27 maggio 1958). «Il pericolo di una prossima invasione edilizia di Villa Savoia è gravissimo» (I parchi distrutti, 23 dicembre 1958). «Gli eredi di Vittorio Emanuele III hanno già bell’e pronto, ben disegnato e rifinito nei particolari, il piano di sfruttamento edilizio degli 84 ettari a loro rimasti… In esso è previsto un insediamento di alta qualità, ville, alberghi, ambasciate (I Savoia contro Roma, 4 luglio 1961). Nel frattempo Italia Nostra, ha lanciato la prima grande campagna in difesa del verde, «per promuovere un grande movimento di opinione capace finalmente di fare pressione sui politici, sulle amministrazioni statali e comunali. Difesa del verde: il termine corrisponde solo in parte allo spirito di questa azione, che chiama a raccolta i tecnici illuminati e le persone di cultura. La tutela del verde superstite delle città, delle ricchezze naturali della campagna, delle foreste, eccetera, non è che uno dei termini della lotta intrapresa: l’altro, il più difficile e importante, è la creazione di nuovi spazi liberi e aperti, che possano garantire a tutti un’alternativa alla vita di città, e ristabilire quell’equilibrio fisico e psicologico che è uno degli impegni più urgenti che oggi si pongono al sociologo e all’urbanista». (L’uomo e il verde, 27 dicembre 1960). I tempi sono maturi affinché dalla denuncia si passi alla proposta. Alla difesa di Villa Savoia, e al rilancio delle politiche per i parchi urbani, partecipano Ludovico Quaroni, Italo Insolera, Manlio Manieri Elia, Manfredo Tafuri, Vieri Quilici. L’anno successivo Mario Ghio e Vittoria Calzolari pubblicano il fondamentale ‘Verde per la città’, «in cui è raccolta una ricchissima documentazione sulla situazione italiana e straniera. Sono descritti l’uso, la qualità, la funzione, la dimensione, il costo, la manutenzione, delle varie categorie di verde pubblico. Vengono presentate concrete proposte urbanistiche per far compiere all’Italia un primo passo in avanti. Insomma, un vero trattato sull’argomento, indispensabile agli urbanisti come agli studenti, alle amministrazioni pubbliche come all’uomo di cultura». (Verde per la città, 12 giugno 1962). Il 28 maggio 1961 Italia Nostra organizza un convegno, presieduto da Cesare Brandi, «sulle sorti del più grandioso parco di Roma» e presenta «un piano di massima che, oltre ovviamente all’intera destinazione della villa a parco pubblico, prevede l’abolizione della strada in costruzione… e indicazioni generali per la creazione di tutte quelle attrezzature, sia per il gioco che per lo sport, compatibili con l’integrità del parco, e nelle quali sono maestri i paesi civili» (Un loculo per abitante, 13 giugno 1961). È questo movimento di opinione e di idee a rendere possibili le prime grandi conquiste ambientaliste a Roma: la destinazione a parco pubblico dell’Appia Antica (1965), l’acquisizione e l’apertura al pubblico di Villa Pamphili (1966-1972), l’acquisizione e il restauro di Villa Torlonia (1975). Ed è in questo quadro che, già a partire dalla prima metà degli anni Sessanta, l’attenzione della stampa libera comincia a spostarsi dall’area centrale a Villa Gordiani, a Pietralata, a Centocelle, al Tuscolano (memorabili le inchieste di Giuliano Prasca sulle colonne dell’Unità e di Paese Sera). Per l’ampliamento di Villa Ada, invece, bisognerà attendere ben quarant’anni: Antonio Cederna tornerà più e più volte sull’argomento alla fine degli anni Ottanta. Per sventare l’estremo assalto compiuto dall’ex presidente della Lazio Renato Bocchi che nel 1987 acquista 54 ettari dai Savoia, «l’ennesimo scandalo di un privato che si compra un parco pubblico». E per rivendicare il decreto (poi legge) di Roma Capitale, che egli stesso, eletto parlamentare nelle file del PCI, ha contribuito a scrivere: «L’intervento per cui ci si è dovuti battere in innumerevoli riunioni della Commissione Ambiente e territorio riguarda Villa Ada Savoia… L’articolo 8-bis stabilisce l’esproprio degli 84 ettari su 150 ancora di proprietà privata e quindi la loro effettiva integrale destinazione a parco pubblico, nell’interesse di tutti i romani… Per l’esproprio vengono stanziati 30 miliardi, il costo di un chilometro e mezzo di autostrada. Quello che conta è che il comune entri in possesso dell’intero parco: tra qualche anno nessuno avrà da ridire sul prezzo pagato di fronte all’enorme vantaggio di avere a disposizione un parco così straordinario» (E Villa Ada raddoppia, 5 giugno 1989). Per completare l’acquisizione ci vorranno ancora sette anni (l’operazione sarà conclusa dalla giunta Rutelli nel 1996) e il nuovo parco da 136 ettari sarà inaugurato solo il 24 dicembre del 1999, tre anni dopo la morte di mio padre. Se questo è il recente passato, per il futuro ci auguriamo che la contrapposizione frontale sul Grab lasci il posto al dialogo, alla ricerca di soluzioni ragionevoli e partecipate, capaci di conciliare tutela e svago, bambini e ciclisti, ville storiche e biciclette. Perché questo si avveri, è fondamentale che cessi subito il gioco al massacro della reciproca delegittimazione: gli amanti delle due ruote non sono necessariamente emuli di Pantani in tenuta arlecchino, e gli attivisti dei comitati sono ambientalisti veri che esercitano un ruolo fondamentale per la manutenzione dei parchi (e per la futura tenuta del Grab). Sarebbe bello poter attraversare un giorno Villa Ada o Villa Borghese in bici, a un’andatura ragionevole, su una ciclovia leggera e regolamentata, come accade, dove è possibile, al Bois de Boulogne, a Richmond Park, o nel Bosco di Amsterdam. E sarebbe ancora più importante vedere ricompattarsi il fronte del verde a Roma, perché c’è ancora tanto da fare: «la lezione dei paesi civili è che tutto il territorio è un bene comune al servizio della salute pubblica: e che quindi non serve salvaguardarne solo gli aspetti salienti, ma è necessario, per venire incontro alle sempre maggiori esigenze della collettività, continuare a crearne ex novo, inventare nuova natura e nuovo verde» (La distruzione della natura in Italia, 1975).
Postilla di Carteinregola: condividiamo completamente le riflessioni e le conclusioni di Giulio Cederna, e speriamo che contribuiscano a ripristinare il clima adatto a un dialogo costruttivo e rispettoso di tutte le istanze e opinioni.