Elezioni regionali: gli interessi dei costruttori e le scelte della classe politica
Autore : Redazione
Una riflessione a margine del dibattito elettorale della Regione Lazio, su una richiesta che è per noi una cartina di tornasole per giudicare il programma e la linea politica di chi si candida alla guida della Regione.
di Anna Maria Bianchi Missaglia
Uno spettro si aggira per Roma, anche se la stragrande maggioranza dei cittadini ne ignora l’esistenza: è un piccolo articolo di una legge regionale che può cambiare irreversibilmente i connotati dei quartieri storici della Capitale. La legge è quella regionale della “Rigenerazione urbana”, termine alla moda che evoca scenari di tristi palazzoni e zone degradate che possono rinascere per migliorare la vista e la qualità della vita degli abitanti. E così dovrebbe essere, effettivamente, e così speriamo che prima o poi accada.
Quello che è accaduto invecefinora nella nostra città – e che se non corriamo ai ripari è destinato a diventare devastante – è che gli articoli che riguardano la vera rigenerazione urbana, edilizia, sociale, che la legge regionale sottopone a piani comunali, non sono mai stati attuati, mentre nel silenzio generale, interrotto solo da qualche volenteroso comitato cittadino, hanno cominciato a venire giù villini e palazzine d’epoca nei quartieri più remunerativi dal punto di vista immobiliare: Trieste, Prati, Nomentano, Monteverde, Città giardino.
Eh già, perchè il combinato disposto di quell’articolo della legge regionale (*) che consente “sempre” demolizioni e ricostruzioni con un aumento della cubatura del 20% – un quinto del volume precedente – , con il fatto che si tratta di interventi in deroga a quanto prescrive il Piano regolatore comunale, su richiesta dei costruttori e senza nessuna programmazione e valutazione preventiva da parte degli uffici comunali, insieme all’esclusione della sua applicazione unicamente nell’area individuata dal Piano paesistico – sempre regionale – solo all’interno delle Mura aureliane e non della “Città Storica” che comprende anche i tessuti storici otto novecenteschi esterni alla cinta muraria, ha già prodotto, ma soprattutto produrrà su larga scala, l’interesse prevalente ad abbattere e ricostruire edifici con uno solo o pochi proprietari, in zone centrali dove il costo delle case è più alto, cioè appunto nei quartieri con strade bordate di villini o di palazzine omogenee, spesso con giardini e giardinetti alberati a contorno.
Il primo danno che ne deriva è al paesaggio urbano: si salvano solo singoli edifici o spazi circoscritti che siano stati vincolati per il loro interesse storico architettonico, ma non si proteggono quei “tessuti” urbani costituiti da tante unità che singolarmente non hanno un particolare pregio o valore culturale, ma che tutte insieme costituiscono un paesaggio unico e caratteristico, un patrimonio per la storia, la memoria e l’identità della nostra città e non solo.
Ne è un esempio un intervento ancora in corso (**) sulla collina dei Parioli antistante lo Stadio Flaminio, dove tra due villini dell’inizio del novecento, in sostituzione di un edificio di pochi piani dell’inizio degli anni ’70 senza particolari pregi architettonici, è spuntato un massiccio e ben più alto palazzone che ha alterato completamente lo storico sky line precedente. E rischiano di essere condannate a analoghi sfregi moltissime strade e quartieri in cui si trovano scuole, conventi, e altri edifici storici dismessi, spesso di proprietà di enti ecclesiastici, su cui si possono organizzare facilmente operazioni speculative.
Ma esiste anche un danno per “omissione”: con tali incentivi di legge, quale imprenditore, potendo investire in operazioni immobiliari di semplice “rinnovamento edilizio” – magari con la foglia di fico della “riqualificazione energetica” -, nelle zone che offrono maggiore profitto, si rivolgerebbe a quei quartieri che da decenni attendono un’autentica rigenerazione?
Attenzione, però: il nostro grido di allarme non va nella direzione di fermare le trasformazioni, nè di impedire le demolizioni e ricostruzioni, neanche nella Città storica, dove peraltro il Piano regolatore, a certe condizioni, già le prevede.
Quello che chiediamo è che le trasformazioni siano sottoposte al fondamentale presidio della regia pubblica, unica garanzia della prevalenza dell’interesse generale sul pur legittimo profitto privato, e che gli incentivi come gli aumenti di cubatura siano utilizzati per indirizzare gli interventi nei quartieri dove sono necessari.
E se i cittadini possono ignorare o non comprendere appieno le circostanze e le ricadute della legge regionale di rigenerazione, i politici, nei partiti e nelle istituzioni regionali, sanno benissimo di cosa parliamo.
Lo vogliamo ribadire con estrema fermezza : tutti i partiti che si presentano a queste elezioni regionali sono consapevoli del tema. Soprattutto quei candidati che hanno già ricoperto il ruolo di consigliere regionale durante la prima Giunta Zingaretti (dal 2013 al 2018) quando è stato prorogato il famigerato “Piano Casa” e poi approvata la Legge di rigenerazione urbana di cui parliamo ( LR 7/2017 del luglio 2017 ): consiglieri, anche assessori oggi candidati, che abbiamo sollecitato decine di volte, da allora e negli anni successivi, perchè intervenissero per modificare quell’articolo della legge e mettessero in atto contromisure a tutela della Città storica. Senza alcun risultato(***)
E, badate, non stiamo parlando di una tematica “radical chic” che riguarda dei privilegiati residenti dei quartieri bene, ma di un patrimonio storico di tutta Roma. E non solo di questo: in gioco c’è una scelta tra due linee politiche che mai come in questo caso appaiono inconciliabili: da una parte l’interesse pubblico, che è quello della rigenerazione nella “Città da ristrutturare” e anche, dove necessario, nella “Città consolidata”; dall’altra l’interesse privato, che chiede mani libere per fare interventi molto impattanti, utili solo per gli investitori, nella “Città storica”.
Nessun partito finora si è espresso esplicitamente per la cancellazione dalla legge regionale di quell’articolo che introduce deroghe anche rispetto ai cambi di destinazione, che affronteremo in un altro approfondimento. Se la classe politica non avrà il coraggio di difendere gli interessi della città e dei cittadini dall’ingordigia speculativa delle categorie che da sempre chiedono facilitazioni immobiliari alle politiche della Regione e della Capitale, sarà la conferma che Roma non ha nessuna speranza di cambiamento.
E assisteremo a una roulette russa per interi pezzi della nostra città, la cui conservazione e valorizzazione non dipenderà dalle scelte urbanistiche di chi è stato eletto dai cittadini, ma dalle ragioni della rendita che gli operatori privati possono estrarre dal patrimonio storico di Roma.
Anna Maria Bianchi Missaglia
20 gennaio 2023
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
Comma 1 Per il perseguimento di una o più delle finalità di cui all’articolo 1, previa acquisizione di idoneo titolo abilitativo di cui al d.p.r. 380/2001, sono sempre consentiti interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20 per cento della volumetria o della superficie lorda esistente ad eccezione degli edifici produttivi per i quali l’incremento massimo consentito non può superare il 10 per cento della superficie coperta. (2a)
Comma 2 Nell’ambito degli interventi di cui al comma 1 sono consentiti i cambi di destinazione d’uso nel rispetto delle destinazioni d’uso previste dagli strumenti urbanistici generali vigenti, indipendentemente dalle percentuali previste dagli strumenti urbanistici comunali per ogni singola funzione nonché dalle modalità di attuazione, dirette o indirette, e da altre prescrizioni previste dagli stessi. Sono, altresì, consentiti incondizionatamente i cambi all’interno della stessa categoria funzionale di cui all’articolo 23 ter del d.p.r. 380/2001 e successive modifiche. (8)
(…)
Comma 6 Le disposizioni di cui al presente articolo non possono riferirsi ad edifici siti nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal PTPR.
(**) l’intervento ci risulta rientrare in quelli consentiti dal “Piano casa” regionale, che è l’antesignano e l’ispiratore dell’art. 6 della Legge di rigenerazione urbana, perchè ne riproduce le stesse condizioni: aumenti di cubatura indiscriminati, interventi in deroga alle norme stabilite dai piani regolatori comunali
(***) Il M5S regionale, all’epoca del dibattito in Consiglio si era battuto, dall’opposizione, presentando vari emendamenti, sia contro la proroga del Piano casa, sia successivamente contro alcune parti della Legge di rigenerazione che abbiamo descritto; anche in occasione della prima approvazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, nel luglio 2019, sia il M5S (Marco Cacciatore), sia alcune forze politiche di maggioranza (Paolo Ciani del Centro Solidale – Demo. S, Marta Bonafoni della Lista civica Zingaretti , Alessandro Capriccioli di + Europa Radicali, MartaLeonori del Pd) avevano rilanciato le nostre richieste a tutela della Città Storica, che però erano stati tutti bocciati