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Andrea Segre: SORRENTINO, PIAZZA VITTORIO E LA CRISI DI ROMA

foto-ambm-da-video-piazza-vittorioProponiamo  un’intensa riflessione pubblicata il 20 novembre  dal documentarista Andrea Segre sul  suo blog 

E’ possibile rivitalizzare un quartiere senza creare esclusione?

Ho letto l’intervista-appello di Paolo Sorrentino su Il Messaggero di ieri, sabato 19 Novembre.

Da due anni vivo a Piazza Vittorio e leggendo le parole di Sorrentino vivo un certo spaesamento.
Da una parte condivido la sua preoccupazione per alcune evidenti e inaccettabili non-curanze degli spazi pubblici (pulizia sommaria, lavori in corso mai terminati, nessuna riqualificazione degli spazi verdi della piazza, illuminazione non costante…solo per citarne alcuni), ma dall’altra il suo appello un po’ mi preoccupa e mi aiuta a riflettere su quale sia la vera crisi della città in cui vivo.

Per parlarne parto da ciò che amo del quartiere in cui vivo: pur attraversato da problemi e carenze, Piazza Vittorio costituisce una rarità sociale per le capitali europee, un’area molto centrale della città dove classi sociali e appartenenze culturali diverse si incontrano e si intrecciano. Quando cammino sotto i portici o quando attraverso la piazza o quando vado al mercato mi piace poter incontrare stili e storie di vita, popoli, provenienze culturali e sociali infinitamente diverse tra loro. Non parlo solo di multiculturalità sia chiaro, il mio non è un ingenuo entusiasmo per l’estetica del melting pot (che molti danni ha fatto anche in questa città), mi riferisco al fatto che fino ad oggi Piazza Vittorio pur essendo a poche centinaia di metri dal Colosseo o da Santa Maria Maggiore non è stata ancora ripulita e appiattita dall’omologazione degli aspetti più scontati e negativi della gentrification, fenomeno ben noto che in gran parte sconvolge il rapporto tra quartieri e loro abitanti, favorendo le componenti più abbienti della società e spingendo ai margini chi ha minore potere d’acquisto. Sorrentino nel suo articolo parla di Monti come esempio positivo di quartiere che “ce l’ha fatta”. Non sono d’accordo. Monti a mio avviso è uno dei quartieri piallati dalla gentrification. Come Trastevere o Testaccio. Come sarebbe stato per il Pigneto se non fosse scoppiata la crisi che ne ha castrato l'”esplosione”. Ovviamente sto generalizzando ed è vero che ci sono eccezioni anche in questi quartieri, ma la forte tendenza in quei contesti è quella della parte peggiore della gentirifcation. Luoghi dove quasi non esistono persone “normali”, dove tutto è costruito ed offerto per una classe sociale medio-alta di professionisti spesso totalmente esterni alla storia del quartiere, se non addirittura in transito per lavoro o peggio ancora per turismo. Luoghi dove quasi non si incontrano vite di persone il cui lavoro e la cui esistenza è connessa al tessuto sociale e storico di quel quartiere, che lentamente difatti è diventato un susseguirsi di vinerie, ristiorantini, localini tendenzialmente cari, se non esclusivi.
Piazza Vittorio nella sua indubbia crisi di cura, è ancora vissuta da persone che hanno bisogno del quartiere e che lo vivono non per venderlo o consumarlo. Mi riferisco ai ragazzi che giocano tutti i giorni a calcio o a basket in piazza, alle mamme cinesi che tutte le mattine fanno ginnastica, tai-chi o lezioni di tango, alle signore anziane che al pomeriggio quando c’è sole scendono in piazza accompagnate dalle badanti, alle decine di lavoratori del mercato, ai venditori ambulanti di cibo bengalese per i lavoratori del mercato, agli studenti delle tante scuole dell’obbligo del quartiere che all’uscita di scuola attraversano il parco, ai fornai, calzolai, alimentari, librai, barbieri che provano a resistere. Insomma alle persone che non vanno a fare gli aperitivi, ma che vivono. E tra loro c’è anche chi non sta bene, ma che in questo mondo reale si sente in qualche modo accolto: homeless, migranti in transito, persone sole, storie e biografie difficili che attraversano il cuore delle metropoli contemporanee. Tra di loro si annida spesso anche l’illegalità, pronta a sfruttare quelle solitudini e quelle difficoltà per interessi ben altri (non che l’illegalità, soprattutto dello spaccio, non ci sia anche nei quartieri trendy che “ce l’hanno fatta”, anzi). L’illegalità va combattuta (e sinceramente mi sembra che la presenza in Piazza delle forze dell’ordine sia già molto  consistente), ma non va utilizzata la lotta all’illegalità in una direzione di pulizia omologante. Nella pagina de Il Messaggero che ha ospitato l’intervista a Sorrentino la foto principale ritrae un signore africano all’entrata della metro con le caratteristiche tipiche di un homeless, cappotto sporco, barba lunga, valigia al seguito e davanti a lui le gambe di due carabinieri. Conosco quel signore, si siede spesso davanti al portone di casa mia con una cartone al collo in cui spiega al mondo come “il Signore ci punirà” . Insieme a lui c’è spesso una signora che taglia e cuce pezzi di tessuti vari e quando sta male urla. Poco più in là un uomo cinese che beve sempre del succo di laime e raccoglie sigarette da terra per fumarle una dietro l’altra. I bar intorno offrono loro caffè, panini o brioche. Sono figure presenti in tutte le città e culture del mondo, che ovviamente gli interessi economici che soffiano sulle vele della gentrification vorrebbero far sparire. Anche in questo caso non sto plaudendo alla retorica che consegna ai “barboni” una mitologia quasi magica o saggia. Sto raccontando pezzi di vita reale che quartieri ripuliti non vogliono e non possono ospitare, ma che preferiscono espellere, escludere. Ecco, questa è la parola chiave: io non voglio che Piazza Vittorio diventi un luogo esclusivo, perché credo fermamente che i luoghi esclusivi di Roma, quelli da cui sono state escluse le persone vere, normali siano quelli che stanno scavando inesorabilmente la crisi e la ferita della città. Quando cammino a Monti, a Trastevere, per non parlare del centro storico, sento l’assenza della città. Sento che intorno a me ho quasi solo persone che usano la città per consumare e poi scomparire. E son contento di tornare a Piazza Vittorio, o a TorPignattara o a Villa Certosa o a  Centocelle, quartieri in cui anche ho vissuto e che continuo a frequentare.
Ciò, sia chiaro, non significa che non riconosco le enormi mancanze di servizi e cura presenti in questi quartieri. Così come riconosco anche che nei quartieri che “ce l’hanno fatta” ci siano esperienze importanti e positive di economia sostenibile o circolare, che però, e lo sanno, hanno il grande problema di essere vincolate ad una comunità elitaria, progressista ma per ora profondamente elitaria.
Penso e spero che anche Sorrentino non voglia trasformare Piazza Vittorio in un’altra Trastevere. Penso che la sfida vera per questo spazio sociale ibrido e complesso, ma ancora vero e normale, sia quello di ridargli servizi, dignità, legalità e pulizia, senza svenderlo nelle mani aride e avide del turismo e degli interessi più spietati della gentrification.  Credo anch’io, per fare un esempio, che vada trovato un modo per ridare varietà ai negozi che stanno sotto i portici. L’eccessiva presenza di negozi outlet gestiti da cittadini di origine cinese toglie ricchezza e varietà. Ma chi riuscirà a convincere i proprietari di quei negozi (spesso italiani) a guadagnare meno da attività che non possono garantire le stesse entrate? Perché, se non si interviene sui costi di quegli affitti, a sostituire gli outlet cinesi potranno essere solo vinerie esclusive e il risultato omologante sarà simile. Credo insomma che a Piazza Vittorio ci sia una grande occasione che spero non venga sprecata, quella di provare a rivitalizzare un quartiere senza consegnarlo alle logiche del puro commercio (cinese o italiano o indiano che sia) e provando a non trasformarlo in una vetrina trendy e ripulita per upper class di professionisti e per distratti turisti omologati, da cui tener fuori le tante persone vere che ancora lo vivono. Piazza Vittorio può essere un laboratorio di incontro tra le sperimentazioni più innovative e attente dei soggetti tipici della gentrification e la vita reale di persone con minore potere d’acquisto. E’ una sfida intensa, nella quale coinvolgere le associazioni culturali italiane, ma anche le persone reali, indipendentemente dalla loro provenienza e appartenenza.
Fin qui, concordo con Sorrentino, il silenzio dell’amministrazione è assordante.
Speriamo qualcosa cambi.

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