Vezio De Lucia
Presidente associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli
Promemoria sull’area archeologica centrale
(Roma, 14 novembre 2014)
Com’è noto, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso, per impulso di Adriano La Regina, allora soprintendente archeologico di Roma, furono elaborate proposte imprescindibili per la sistemazione dell’area archeologica centrale. Partendo dalla denuncia dei drammatici effetti dell’inquinamento e del traffico sullo stato dei monumenti, il soprintendente introdusse, per la prima volta, una diretta connessione fra destino dell’area archeologica e assetto urbanistico della parte centrale della città. E, riprendendo lo studio di Leonardo Benevolo per il centro storico della capitale del 1971, propose l’eliminazione della via dei Fori Imperiali.
Mezzo secolo prima, dov’è adesso la via dei Fori, si trovava un grande quartiere formato nel corso dei secoli dopo la caduta dell’impero romano, proprio sopra i resti dei Fori di Traiano, Augusto, Nerva, Cesare, Vespasiano e di altri monumenti. A ridosso della basilica di Massenzio, si alzava la collina della Velia (che raccordava l’Esquilino al Palatino) sovrastata dallo splendido giardino di Palazzo Rivaldi. Tutto ciò fu spazzato via per volontà di Benito Mussolini che volle nel cuore di Roma una strada adatta alle grandi parate militari, in uno scenario che doveva celebrare la continuità fra l’impero romano e il regime fascista. I lavori furono condotti a ritmo di record (dall’ottobre 1931 all’ottobre 1932), riportando alla luce i Fori Imperiali, però subito dopo in gran parte sepolti sotto la nuova via dell’Impero (oggi dei Fori Imperiali). Da allora, il più importante complesso archeologico del mondo è spaccato in due da un incongruo nastro d’asfalto.
Con il soprintendente La Regina si schierarono subito il sindaco Giulio Carlo Argan, gli assessori Vittoria Calzolari e Renato Nicolini, insieme ad Antonio Cederna, Italo Insolera, al direttore del Messaggero Vittorio Emiliani e altri importanti studiosi e personalità. Ma fu l’elezione a sindaco di Luigi Petroselli (il 27 settembre 1979), quando Argan si dimise, a imporre al centro del dibattito politico e culturale il Progetto Fori, come da allora fu correntemente denominato lo studio per la sistemazione dell’Area archeologica centrale. L’idea-obiettivo che guidò l’azione di Petroselli era di accorciare le distanze fra il mondo marginale delle periferie e la città riconosciuta come tale, e perciò voleva che anche la storia dell’antica Roma fosse patrimonio non solo degli studiosi ma di tutto il popolo di Roma, anche quello più sfavorito. Nacque così l’esperienza delle domeniche pedonali lungo la via dei Fori – che in qualche modo prefigurava l’eliminazione della stessa via – cominciata senza grande clamore il 1° febbraio del 1981 e continuata nelle domeniche successive, con crescente partecipazione popolare, nello stesso clima festoso dell’Estate romana.
Sospinto dall’entusiasmo di Petroselli, il recupero dei Fori diventò l’insegna del rinnovamento della capitale, mobilitò le migliori energie, raccolse un consenso vastissimo, dalle autorità di governo alla grande intellettualità internazionale. Petroselli fu subito determinato e operativo, cominciando con lo smantellamento di via della Consolazione che da un secolo separava il Campidoglio dal Foro romano. Subito dopo il Comune deliberò l’eliminazione del piazzale che separava il Colosseo dall’arco di Costantino e dal resto del complesso Foro-Palatino. Si ricostituì così l’unità pedonale Colosseo-Foro Romano-Campidoglio e la continuità dell’antica via Sacra.
Ma improvvisamente, il 7 ottobre del 1981, solo due anni dopo la sua elezione a sindaco, Petroselli morì, a quarantanove anni. Con la sua morte cominciò a morire il Progetto Fori, lentamente avvolto da veli sottili di opportunismo che prolungarono i tempi all’infinito. Nel 1993, dopo la sconfitta del 1985, quando la sinistra tornò in Campidoglio con i sindaci Francesco Rutelli e Walter Veltroni, sembrò che fosse l’occasione per riprendere le idee di Petroselli. Ma la svolta non ci fu, anzi, fu a mano a mano negata l’equivalenza fra Progetto Fori ed eliminazione della via dei Fori. Mentre, a seguito dei provvedimenti per la riduzione del traffico di attraversamento e per l’inserimento nella zona a traffico limitato, la via dei Fori ha finito con l’assumere un aspetto insensato per l’esubero dello spazio impegnato dalla viabilità.
Il colpo di grazia al Progetto Fori fu inferto nel 2001 con un decreto di vincolo monumentale che congela lo stato di fatto di una vasta area, fino alle Terme di Caracalla. Nella relazione storico-artistica che motiva il vincolo, la sistemazione fascista è presentata come «un’immagine storicamente determinata che rappresenta il volto della Capitale laica per tanti anni ricercato e finalmente, come sempre e ovunque, nel bene e nel male, raggiunto». Solo Leonardo Benevolo reagì scrivendo che è diventato illegale il disseppellimento di uno dei più grandiosi paesaggi archeologici del passato: «si è preferito Antonio Muñoz (lo sprovveduto autore di quelle sistemazioni) ad Apollodoro di Damasco, l’architetto dell’imperatore Traiano».
In effetti, il vincolo ha operato come efficacissimo paravento per spostare il dibattito sul recupero dei Fori dal terreno proprio, quello storico-scientifico, a quello burocratico-formale. Non è stato più necessario motivare criticamente perché sarebbe sbagliato rimuovere la strada, è bastato assumere il vincolo come un precetto perentorio, come scorciatoia per l’obliterazione del Progetto Fori. Vedi in proposito il Prg del 2008 e l’esito delle commissioni nominate negli anni 2004 e 2006 che, grazie al vincolo, si sono sottratte alla necessità di misurarsi con la soluzione proposta negli anni Ottanta.
Va dato atto al sindaco Ignazio Marino: di aver rilanciato, dopo molti anni, il tema della via dei Fori; di aver realizzato la pedonalizzazione della via, ancorché parziale e scoordinata; e di aver nominato una nuova commissione con l’incarico di formare un piano per l’area archeologica centrale.
Il contributo che si fornisce con la presente nota consiste nella ferma convinzione dell’assoluta modernità del progetto fondato sull’eliminazione della via dei Fori, e che l’archeologia non debba essere necessariamente intesa come un ambito monumentale recintato, ma possa essere un elemento vitale della città contemporanea, «potenzialmente equiparabile ad altre parti storiche – medievali, rinascimentali, barocche – che la città non ha mai smesso di utilizzare» (I. Insolera).
Non è questa la sede per proporre i necessari aggiornamenti all’originario Progetto Fori. Ci si limita a confermare l’assoluta necessità della connessione tramite ferrovia metropolitana fra il Colosseo, piazza Venezia e oltre. Intanto, mentre si definisce il progetto e si realizza l’infrastruttura ferroviaria, si può mettere mano allo smontaggio della via dei Fori, sapendo che per le esigenze transitorie di ordine logistico fra piazza Venezia e largo Corrado Ricci si può utilizzare la via Alessandrina. Tutto ciò richiede, ovviamente, la sostituzione del decreto di vincolo del 2001 con altro provvedimento che consenta gli interventi previsti. In proposito, onde evitare che un’astratta discussione sul vincolo possa trasformarsi in uno scontro ideologico con la cultura della destra nostalgica che, soprattutto a Roma, non è certamente minoritaria, appare importante ripetere che non si tratta di un’operazione antistorica di ripristino dell’assetto spaziale precedente agli anni del fascismo ma, al contrario, di partire dalla sistemazione degli anni Trenta per realizzare un nuovo e autentico rapporto con le più famose architetture dell’impero romano.
Resta da dire che non occorrono ingenti risorse finanziarie, serve al contrario un grande impegno istituzionale e organizzativo e il miglior uso delle competenze scientifiche e professionali a partire da quelle di cui già dispongono l’amministrazione statale e quella comunale. E sarebbe importante, come ai tempi di Petroselli, l’adesione dei cittadini romani, per farli partecipare a un’opera – stavolta sì una grande opera – che non riguarda solo il centro, ma la struttura complessiva di Roma, e che può avere un’importanza decisiva per superare la crisi che da tempo tormenta la città.