I due tragici incidenti sulle strade della Capitanata, in cui sono morti sedici lavoratori in tre giorni, riporta agli onori delle cronache il tema del lavoro in agricoltura e delle condizioni in cui si svolge, spesso demandato a eserciti di braccianti stranieri pagati a cottimo e in balia della piaga del caporalato.
La raccolta del pomodoro – ma ancor di più quella dei finocchi, degli asparagi, dei broccoli – è affidata a questi lavoratori, che si muovono su furgoni scalcinati guidati da caporali o caposquadra lungo le strade del foggiano in cerca di un impiego a giornata.
La legge contro il caporalato del 2016 ha avuto l’indubbio merito di portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica e di svolgere un’azione deterrente su quegli imprenditori agricoli che sfruttavano i braccianti. Ma è rimasta largamente inapplicata sulle azioni da intraprendere per arginare veramente il fenomeno. Se non si prevedono alloggi per i braccianti stagionali e trasporti verso i campi, se non si mette in piedi un approccio in cui la domanda e l’offerta di lavoro siano regolamentate, se non si riformano i centri per l’impiego del tutto non funzionanti, i lavoratori continueranno a vivere nei cosiddetti ghetti e a muoversi su furgoncini malridotti, insicuri e gestiti in parte dai caporali.
Il caporalato è un effetto della mancata organizzazione, non una causa. È un meccanismo di intermediazione informale che prospera grazie all’assenza di un sistema di organizzazione del lavoro in agricoltura.
C’è poi un altro tema che riguarda tutti noi nella nostra quotidianità: quello del cibo a basso costo. Il pomodoro raccolto a mano dai braccianti morti nei giorni scorsi finisce nelle passate che sono poi vendute a prezzi irrisori nei supermercati. Molte insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo) operano un’azione di strozzamento e di riduzione dei prezzi che non può non ripercuotersi sugli anelli a monte della filiera.
I due tragici incidenti sulle strade della Capitanata, in cui sono morti sedici lavoratori in tre giorni, riporta agli onori delle cronache il tema del lavoro in agricoltura e delle condizioni in cui si svolge, spesso demandato a eserciti di braccianti stranieri pagati a cottimo e in balia della piaga del caporalato.
La raccolta del pomodoro – ma ancor di più quella dei finocchi, degli asparagi, dei broccoli – è affidata a questi lavoratori, che si muovono su furgoni scalcinati guidati da caporali o caposquadra lungo le strade del foggiano in cerca di un impiego a giornata.
La legge contro il caporalato del 2016 ha avuto l’indubbio merito di portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica e di svolgere un’azione deterrente su quegli imprenditori agricoli che sfruttavano i braccianti. Ma è rimasta largamente inapplicata sulle azioni da intraprendere per arginare veramente il fenomeno. Se non si prevedono alloggi per i braccianti stagionali e trasporti verso i campi, se non si mette in piedi un approccio in cui la domanda e l’offerta di lavoro siano regolamentate, se non si riformano i centri per l’impiego del tutto non funzionanti, i lavoratori continueranno a vivere nei cosiddetti ghetti e a muoversi su furgoncini malridotti, insicuri e gestiti in parte dai caporali.
Il caporalato in Italia, ai tempi della nuova legge
C’è poi un altro tema che riguarda tutti noi nella nostra quotidianità: quello del cibo a basso costo. Il pomodoro raccolto a mano dai braccianti morti nei giorni scorsi finisce nelle passate che sono poi vendute a prezzi irrisori nei supermercati. Molte insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo) operano un’azione di strozzamento e di riduzione dei prezzi che non può non ripercuotersi sugli anelli a monte della filiera.
I contratti capestro, le aste online al doppio ribasso, i listing fee e le altre pratiche sleali della Gdo hanno effetti devastanti sugli operatori agricoli, che non riescono a far reddito e di conseguenza cercano di tagliare i costi di produzione, in particolare quelli del lavoro.
Rispondendo sul sito di settore Gdoweek alla nostra inchiesta sulle aste online del pomodoro, il gruppo Eurospin ha sostenuto che “il mercato è cattivo” e che loro devono fare l’interesse del consumatore.
L’interesse del consumatore deve essere anche quello di sostenere attivamente una filiera agroalimentare sana, senza sfruttamento. In cui i diversi attori – i braccianti, gli operatori agricoli, gli industriali trasformatori – riescano tutti a vivere dignitosamente del proprio lavoro. Perché quando noi compriamo sottocosto, c’è sempre qualcun altro che quel costo lo sta pagando.
(da Pressenza.com) Salsa di pomodoro “SfruttaZero”, un progetto di denuncia, solidarietà e speranza
Nella Puglia dove imperversano caporalato e sfruttamento, un gruppo di giovani italiani e migranti ha dato vita a un’esperienza straordinaria, restituendo un significato positivo a un simbolo locale quale il pomodoro. Ne parliamo con Graziana dell’associazione Solidaria (Bari), che si occupa della comunicazione, della distribuzione della Salsa SfruttaZero e partecipa alla fase collettiva della trasformazione.
Che cosa vi ha spinto a lanciare questo progetto coraggioso?
Per comprendere cosa ci abbia spinto a dar vita a SfruttaZero bisogna fare qualche passo indietro. SfruttaZero infatti è un progetto che nasce a Bari nel 2014 dall’associazione Solidaria e che dal 2015 viene condiviso con l’associazione Diritti a Sud (Nardò), ma è frutto di un percorso più lungo. Un percorso che ha inizio nel 2008 con il sostegno da parte di nativi/e alle rivendicazioni di rifugiati politici e richiedenti per il diritto ai documenti, all’accoglienza, all’abitare attraverso pratiche di solidarietà dal basso – sportello di orientamento legale e sanitario, corsi di italiano, riappropriazione a scopo abitativo di immobili pubblici abbandonati – per approdare alla costruzione di esperienze di mutualismo e lavoro collettivo cooperativistico in cui protagonisti sono lavoratori e lavoratrici migranti e nativi assieme.
In una regione come la Puglia, tristemente nota per il fenomeno del caporalato e per le condizioni al limite della schiavitù che ogni estate subiscono braccianti agricoli, in gran parte migranti, abbiamo pensato di ridare significato positivo ad un simbolo della nostra terra, qual è il pomodoro, producendo salsa di pomodoro all’interno di una filiera agroalimentare completamente “fuori mercato” e per l’appunto a sfruttamento zero. Nel rispetto dunque di chi ci lavora e della terra, in cui tutti e tutte vengono dignitosamente retribuiti e partecipano in maniera orizzontale ai processi decisionali, dimostrando che lavorare senza padroni e senza essere schiavi è possibile.
SfruttaZero è un progetto che vuole rivendicare il diritto a un lavoro e a un reddito fuori dalle logiche dello sfruttamento e della precarietà e che contemporaneamente denuncia il fenomeno del caporalato, mettendo in luce come questo sia un anello di una lunga catena di sfruttamento che si estende lungo tutta la filiera agroalimentare – dalle campagne sino al settore della logistica e distribuzione – a causa dei prezzi imposti dalla Grande Distribuzione Organizzata per mere ragioni di profitto e delle leggi a protezione della GDO.
Inoltre abbiamo pensato che SfruttaZero potesse essere una risposta bella e concreta alle crescenti pulsioni razziste che contrappongono lavoratori italiani a quelli stranieri, alimentate appositamente da chi vuole farci credere che l’”immigrato” sia la causa di ogni male. Noi invece pensiamo che un modo per provare a ribaltare questo sistema di oppressione e uscire da una condizione di subalternità sia sostenersi reciprocamente, essere assieme nelle lotte e nelle rivendicazioni, mettere in campo una solidarietà reciproca in grado di rispondere ai bisogni concreti e alle condizioni materiali di vita per tutti, nativi e migranti. Occorre essere uniti e solidali, ribaltare questo immaginario falso e tossico. Il “nemico” è un altro, è chi specula e crea profitto sulle nostre vite.
Quante persone sono coinvolte al momento?
Al momento tra Bari e Nardò sono coinvolte circa quaranta persone, impiegate nelle diverse fasi del processo produttivo: agricolo, distributivo, trasformativo, amministrativo e comunicativo.
Che piani avete per il futuro?
Continuare a produrre salsa di pomodoro, avviando magari anche altre produzioni agroalimentari. L’obiettivo principale resta sempre e comunque quello di rendere questo progetto solido e duraturo nel tempo, affinché sia in grado di rispondere alle esigenze materiali di vita e ai desideri di chi vi partecipa. Al momento siamo ancora tutti impegnati in altri lavori precari e vorremmo che questo potesse diventare il nostro lavoro.
Pensiamo che tutto ciò possa avvenire rafforzando l’intera filiera produttiva sino ad oggi realizzata e la rete di relazioni solidali che in questi anni abbiamo costruito.
SfruttaZero nel tempo è diventato un progetto sempre più partecipato e condiviso. A Bari, ad esempio, coltiviamo i pomodori e li trasformiamo assieme ad Ortocircuito – il primo orto sociale urbano della città, che nasce come progetto della masseria didattica “Masseria dei Monelli” (Conversano) – e agli e alle abitanti di Villa Roth – un’esperienza di autogestione a scopo abitativo, frutto di una vertenza da parti di rifugiati politici cui è seguita un’assegnazione da parte del Comune di Bari e in cui attualmente vivono assieme italiani e africani.
Sia a Bari che a Nardò curiamo l’intero processo produttivo, dalla coltivazione dei pomodori seguendo i principi dall’agro-ecologia sino alla distribuzione del prodotto finito. Abbiamo acquistato un furgoncino e pertanto quando possibile effettuiamo direttamente noi le consegne in tutta Italia. Con tanta fatica sia Solidaria che Diritti a Sud sono finalmente riuscite nell’ultimo anno a prendere un terreno in affitto in cui portare avanti progetti di agricoltura sociale che non siano soltanto stagionali. Adesso non ci resta che dotarci di un laboratorio di trasformazione che possa essere condiviso con altre realtà che assieme a noi portano avanti un ragionamento sulle filiere agroalimentari alternative alla GDO. Questo il passaggio importante a cui stiamo lavorando e non è affatto facile perché necessita di molte risorse economiche di cui, ahinoi, al momento non siamo dotati.
Dove si trova esattamente la salsa Sfruttazero e come si fa a ordinarla?
È possibile trovare la salsa SfruttaZero sia a Bari che a Nardò, nei due luoghi in cui viene prodotta. La si può trovare anche in altre zone d’Italia. Le nostre due realtà fanno parte di “Fuorimercato, autogestione in movimento”, una rete a livello nazionale in cui ci sono fabbriche e fattorie recuperate, spazi sociali autogestiti e di mutuo soccorso, case editrici indipendenti, progetti di autoproduzioni agroalimentari e artigianali, cucine e spacci popolari, case editrici indipendenti. Una rete che unisce molte esperienze di mutuo soccorso e lavoro cooperativistico e con cui proviamo a costruire non semplicemente un mercato alternativo, ma una vera e propria alternativa a questo mercato. La sfida è costruire una logistica altra e autogestita. E’ possibile trovare la salsa SfruttaZero proprio in alcuni nodi logistico-distributivi di Fuorimercato, ad esempio il Bread&Roses a Bari, la Ri-Maflow a Trezzano sul Naviglio (Milano), Communia a Roma, Venti Pietre a Bologna.
Ad ogni modo per avere ogni informazioni è possibile contattare la pagina fb SfruttaZero o inviare una mail a sfruttazero@gmail.com.
Avete pensato a iniziative per far conoscere anche al di fuori della Puglia la vostra importante esperienza?
Negli anni SfruttaZero ha trovato un riscontro favorevole e un grande sostegno, non solo in Italia. L’anno scorso, ad esempio siamo stati a Brema al Solidaria Sommer Fest, un grande e bellissimo festival antirazzista.
Attorno a SfruttaZero si è venuta a creare una bella comunità. Partecipiamo sempre ad iniziative in cui ci invitano a far conoscere SfruttaZero, quello che facciamo a Bari e Nardò. E noi siamo sempre ben lieti di farlo, pensiamo che questi progetti dovrebbero moltiplicarsi e fare rete tra loro.
Quest’anno il 2 giugno abbiamo organizzato la prima grande festa di SfruttaZero, ospitata da una bellissima esperienza che è il laboratorio urbano Ex Fadda (San Vito dei Normanni). Una festa che per l’occasione abbiamo chiamato “Libera Repubblica del Pomodoro”, un nome per noi significativo perché vorremmo che emergesse che quello che stiamo costruendo e che questa miriade di progetti di mutuo soccorso nati in tutta Italia sono embrioni di nuovi istituzioni, sono degli strumenti per provare a ricostruire, partendo dalla solidarietà e dal basso, quelle relazioni sociali che si sono atomizzate e frammentate. Il 2 giugno sarà un appuntamento fisso, vorremmo trasformarlo in un vero e proprio festival, in un momento di confronto e socialità.
Cosa possono fare i media indipendenti per aiutarvi in questo senso?
Sicuramente diffondendo il progetto, facendo emergere il senso profondo di quello che facciamo, il suo significato politico e sociale per dare voce a questa economia sociale e solidale che molte realtà con fatica e passione stanno provando a realizzare.
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