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Mentre non è ancora stato inserito nel calendario del Senato il Disegno di legge delega per il riordino della normativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo , spunta un emendamento a firma della senatrice PD Stefania Pezzopane al decreto legge per il fisco per la proroga a max 50 anni alle concessioni balneari. A dimostrazione della inossidabile sensibilità anche del Partito Democratico agli interessi delle lobbies balneari.E il rischio di una procedura di infrazione da parte della Comunità europea è di nuovo all’orizzonte
L’emendamento Pezzopane pubblicato su twitter dal deputato Andrea Mazziotti (civici e innovatori)
E’ stato approvato il 26 ottobre scorso dalla Camera il Disegno di legge delega per il riordino della normativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo(C4302 S.2957) (1). Provvisorio epilogo di una vicenda che merita di essere approfondita sia per il merito – le regole per l’affidamento e la gestione di un patrimonio comune – che per il suo essere un perfetto frattale (una parte che, in scala, è identica al tutto, come il broccolo) di tutti gli elementi che entrano in gioco quando in Italia la politica si confronta con un qualsiasi tema. Eccoli.
Si affrontano problemi e si approvano provvedimenti oltre ogni tempo massimo. Con l’entrata in vigore della direttiva Servizi n. 2006/123/UE (direttiva Bolkestein), (2) che si applica anche alla materia delle concessioni demaniali marittime, in particolare per quanto riguarda la durata e la procedura di rinnovo delle concessioni, l’Italia è già stata condannata da una durissima sentenza della Corte di Giustizia del 2016 e rischia una nuova procedura di infrazione europea se non adeguerà
Si danno come soluzioni provvedimenti che continuano a rinviare le soluzioni (ad libitum). Il più grande difetto della legge approvata è che, oltre a dover affrontare entro la fine della legislatura un ulteriore passaggio in Senato (a oggi non ancora calendarizzato), è una legge delega, cioè una legge approvata dal Parlamento, che delega il Governo a esercitare la funzione legislativa su di un determinato oggetto, in questo caso il riordino della normativa delle concessioni balneari. Quindi tutto quello che contiene troverà applicazione solo se e quando il Governo varerà la legge vera e propria e, ancora, i decreti applicativi, particolarmente importanti per le diposizioni transitorie. Facendosi due conti…
Chi difende cosa (e chi) Inutile dire che le spiagge italiane, patrimonio demaniale, quindi di tutti, dovrebbero essere amministrate e affidate con criteri che rispondano a una scala di valori al cui vertice dovrebbe esserci l’interesse pubblico, quindi: la tutela dell’ambiente e la conservazione del patrimonio paesaggistico naturalistico e un accesso e un utilizzo che ne rispettino il carattere di patrimonio comune. E soprattutto, nel caso di affidamento a privati, con un quadro di regole che garantiscano l’assegnazione per un tempo limitato, a chi offre più garanzie per la qualità del servizio, a un canone remunerativo per lo Stato, coniugando la necessaria competizione tra i soggetti interessati con i necessari correttivi perchè non siano penalizzati i piccoli imprenditori a vantaggio di grandi catene e multinazionali, siano garantiti i diritti dei lavoratori, tutelati e incentivati i posti di lavoro. In poche parole, chi fa politica dovrebbe fare una legge che tenga conto di tutti gli interessi ma che scelga la migliore combinazione per l’interesse publico.
La stessa identica problematica che riguarda tutti gli altri settori dove dei beni pubblici possono essere concessi ai privati: dallo spazio per le bancarelle agli impianti sportivi, dai chioschi nei parchi ai locali e agli appartamenti. Un mondo dove gli interessi privati comprendono dalla grande impresa al piccolo artigiano, e dove fanno opera di lobbyng centinaia di categorie. E dove, è questo il punto, molti politici e partiti attingono un grosso consenso elettorale.
Per questo la Bolkestein viene descritta, da molti politici in cerca di facili consensi, come un Moloch che strapperà, alle famiglie che esercitano da decenni le più diverse attività, le necessarie concessioni pubbliche.
E se sono giuste le preoccupazioni di chi propone correttivi per evitare gli effetti del “libero mercato” su settori in cui i piccoli imprenditori rischiano di essere schiacciati dai troppo grandi (come “un cortile dove elefanti e pulcini hanno lo stesso diritto di giocare”), e anche di chi vuole tenere conto degli investimenti avviati con i relativi ammortamenti in base alle norme precedenti, per individuare una corretta transizione, non è accettabile la posizione di chi si fa paladino delle ragioni delle categorie, volte alla proroga ad libitum dello “staus quo”, calpestando così anche i diritti di chi aspira legittimamente ad ottenere le concessioni, per continuare ad attribuire per decenni privilegi agli stessi che ne godono da tempo.
Si approvano regole che non fissano regole Come rilevato da un articolo di Il Fatto di qualche mese fa (3) la legge che dovrebbe cancellare i rinnovi automatici, che “…il testo promette di cancellare i rinnovi automatici in favore di gare senza però indicare limiti temporali entro cui farle. Così si fingerebbe di accontentare l’Europa, cristallizzando i privilegi e rinviando per l’ennesima volta l’applicazione dell’obbligo previsto dalla Bolkestein nel 2006“; secondo “i deputati di Alternativa Libera, Massimo Artini e Tancredi Turco, secondo cui “il testo approvato dal consiglio dei ministri serve a rimandare ancora l’indizione delle gare, visto che non fissa un termine entro il quale si dovranno affidare le nuove concessioni e, anzi, prevede un adeguato periodo transitorio per l’applicazione della disciplina di riordino”; inoltre nel disegno di legge “si prevede un termine di 6 mesi per l’adozione dei decreti attuativi e non si dispone nulla in ordine ai tempi con cui le Regioni dovranno selezionare i concessionari. Mentre si prevede “un adeguato periodo transitorio per l’applicazione della disciplina di riordino”.
Sul fronte opposto si pongono alcuni parlamentari del centro destra, che al contrario sono intervenuti, anche presentando emendamenti, per le proroghe dello status quo e delle concessioni ai balneari, come il deputato di Ala Ignazio Abrignani , che in un’intervista a Mondo balneare (4) sostiene che l’Italia dovrebbe “recarsi in Unione europea per rappresentare la tipicità delle nostre spiagge e per dimostrare dal punto di vista tecnico che non esiste scarsità di risorse. Pertanto non solo gli attuali stabilimenti balneari non dovrebbero andare a gara, ma dovrebbero anche essere sdemanializzati, in quanto rappresentano imprese private su suoli che hanno perso le caratteristiche di uso pubblico». In sintonia con Deborah Bergamini (FI PDL), che nella discussione alla camera (5) lamenta l'”eccessiva solerzia nell’applicazione così stringente della direttiva Bolkestein distruggerà completamente questo comparto” ricordando che “non siamo uguali agli altri Paesi ma abbiamo una nostra peculiarità, ad esempio 8.000 chilometri di coste che sono i nostri confini nazionali nel mezzo del Mediterraneo“.
Cominciamo dalla trasparenza Il deputato Mazziotti(6) ha presentato un emendamento approvato in Commissione che introduce principio di delega sulla trasparenza: Al comma 1, dopo la lettera e-bis) aggiungere la seguente: e-ter) prevedere l’obbligo per i comuni di rendere pubblici, tramite i propri siti internet, i dati concernenti l’oggetto delle concessioni ed i relativi canoni, nonché l’obbligo per i concessionari di pubblicizzare tali dati sui propri siti internet, stabilendo la relativa disciplina sanzionatoria amministrativa. (la norma è nutuata dalla norma regionale su trasparenza RegioneLazio art. 5 della Legge regionale 26 giugno 2015, n. 8)
Da un approfondito Dossier del centro studi della Camera (7) si apprende che i principi e i criteri direttivi a cui è improntata la riforma sono : “il rispetto della concorrenza, della qualità paesaggistica e sostenibilità ambientale, della libertà di stabilimento, della garanzia dell’esercizio e sviluppo delle attività imprenditoriali nonché del riconoscimento e tutela degli investimenti, dei beni aziendali e del valore commerciale; la rideterminazione della misura dei canoni concessori, con l’applicazione di valori tabellari, tenendo conto della tipologia dei beni oggetto di concessione; il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni legislative vigenti in materia“. Il Dossier ricorda che “un elemento che ha inciso sulla questione è stato l’entrata in vigore della direttiva Servizi n. 2006/123/UE (direttiva Bolkestein), in quanto la direttiva si applica anche alla materia delle concessioni demaniali marittime, in particolare per quanto riguarda la durata e la procedura di rinnovo delle concessioni” e che quindi gli interventi normativi che si intendono sottoporre a riordino riguardano “essenzialmente i profili della durata e del rinnovo automatico delle concessioni, nonché la liceità della clausola di preferenza per il concessionario uscente: il c.d. diritto di insistenza (previsto dall’art. 37, secondo comma, del codice della navigazione, poi abrogato nel 2009)“(8).
Inutile dire che gli interessi in ballo, economici e elettorali, sono assai consistenti…
Anna Maria Bianchi Missaglia
10 novembre 2017
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinegola@gmail.com
(1) scarica il Disegno di legge: “Delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo” a firma del dimissionario Costa. (4302)
(2) vedi Bolkestein, cosa bisogna sapereDirettiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006.
(5) estratto- intervento Deborah Bergamini (FI PDL)
> Vai al Resoconto stenografico dell’Assemblea Seduta n. 871 di lunedì 16 ottobre 2017
DEBORAH BERGAMINI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, tenterò, nel tempo che ho a disposizione, di provare, al di là della legittima retorica, dell’uso retorico che si vuole fare di questa occasione di discussione, di fare un ragionamento, dove proverò a spiegare perché noi di Forza Italia siamo convintamente contrari all’approvazione di questo provvedimento. Infatti non ne condividiamo l’intero impianto, non ne condividiamo la tempistica, non ne condividiamo l’opportunità e i nostri emendamenti, sia in Commissione finanze, che in Commissione attività produttive, sono stati di nettissimo rifiuto rispetto alla logica che sottende questo disegno di legge delega.
Abbiamo depositato anche per l’Assemblea degli emendamenti soppressivi, che, qualora miracolosamente, perché purtroppo i numeri sono crudeli, fossero approvati, smonterebbero in modo completo tutto il disegno, il criterio di questa legge delega, sulla quale peraltro abbiamo deciso anche di presentare una pregiudiziale di costituzionalità, al fine di evitarne il prosieguo dell’esame.
Allora, in questo disegno di legge delega si discute – è già stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto – del riordino – si fa per dire – delle concessioni demaniali marittime e dunque del futuro del comparto degli stabilimenti balneari italiani. È un po’ un ossimoro parlare di riordino, perché si fa tutto fuorché riordinare una materia i cui confini sono ad oggi non chiari, non delimitati, e cui mancano elementi sostanziali per poterla, appunto, riordinare; e ci tornerò fra poco.
Quel che, a monte delle considerazioni che sto facendo, mi sembra è che né il Governo, né la maggioranza di questo Parlamento abbia del tutto compreso il valore delle conseguenze dell’andare avanti con questo presunto riordino – lo ripeto: un ossimoro – e che sfugga al Governo e alla maggioranza l’importanza di questo comparto per l’economia del nostro Paese.
Ciò a meno che non si debba pensar male, ossia si debba pensare che, proprio perché non gli sfugge l’importanza di questo comparto, si voglia mettere le mani su queste concessioni e si voglia, di fatto, procedere a un esproprio proletario nei confronti di oltre 30.000 imprese balneari italiane, che sono un fiore all’occhiello riconosciuto del comparto turistico del nostro Paese.
Queste aziende balneari valgono circa il 10 per cento del PIL turistico del nostro Paese, che a sua volta vale il 10 per cento del PIL complessivo, quindi rappresentano una grossa fetta di economia del nostro Paese. Allora, perché tutta questa fretta, tutta questa vaghezza, questo impeto, nel giungere alla necessità di espropriare queste aziende?
All’inizio dell’esame, il Governo aveva dichiarato che il testo non era blindato e le associazioni di categoria avevano ricordato che in Italia operano circa 30.000 imprese, con un impatto occupazionale ed economico notevole e in continuo aumento; anche i dati di questa estate che si è appena conclusa ci confortano in questo senso. Voglio sottolineare che si tratta per lo più di imprese familiari, una realtà ormai che equivale a un panda nella nostra economia: le abbiamo sterminate tutte. Appena il 14 per cento, infatti, del totale è composto da società di capitali.
All’interno di queste imprese familiari ci sono imprese che per generazioni hanno svolto questo lavoro, che hanno investito grandemente in queste imprese balneari. In taluni casi hanno ipotecato case e proprietà, pur di poter continuare a investire e garantire un ammodernamento costante e continuo di questi stabilimenti, sui quali naturalmente pende la spada di Damocle delle concessioni. Si sono assunte il rischio d’impresa e lo hanno fatto in silenzio, ma sono riuscite a produrre un modello economico che è invidiato da tutte le parti. Un sistema che funziona, che fa contenti i clienti, che fa contenti gli imprenditori, che fa contenti gli esegeti dell’ordine ambientale, perché garantisce anche la pulizia, l’ordine e la sicurezza degli arenili: insomma, un modello che funziona e giustamente lo dobbiamo, o meglio questa maggioranza, questo Governo, dicono che lo dobbiamo distruggere, va fatto in un’altra maniera.
Cui prodest? Vedremo se lo capiremo e se, quando lo capiremo, non sarà troppo tardi. Diciamo che c’è una grande solerzia nel portare a casa questo provvedimento. Si dice, si è detto, che bisogna farlo in ottemperanza a una serie di dettami. Mi sembra, esprimo la mia opinione (mi riferisco naturalmente alla direttiva Servizi, alla direttiva Bolkestein), che forse si stia dando un’interpretazione un po’ troppo stringente e, pertanto, strumentale di questa direttiva Servizi, ormai celeberrima, purtroppo, che è stata persino criticata da colui che ne porta il nome, da Fritz Bolkestein. Lui stesso l’ha rivista, ne ha rivisto la funzione e anche il senso. Però si può sbagliare; soltanto questa maggioranza pensa di non sbagliare mai.
Il mio timore è che questa eccessiva solerzia nell’applicazione così stringente della direttiva Bolkestein distruggerà completamente questo comparto e anche i figli di un Dio minore che vi si accompagnano, cioè il settore lacuale e fluviale, del quale non parliamo mai abbastanza. A questo proposito, voglio ricordare che la Commissione europea è intervenuta sulla questione delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali, con finalità turistico-ricreative, inviando all’Italia, nel gennaio del 2009, una lettera di messa in mora, di fatto un’apertura di procedura di infrazione, in ragione del mancato adeguamento della legislazione nazionale all’articolo 12, comma 2, della direttiva Bolkenstein; poi un’ulteriore lettera di messa in mora complementare, il 5 maggio dell’anno successivo, il 2010, alle quali l’Italia ha risposto con una legge comunitaria, sempre nello stesso anno, delegando il Governo ad emanare entro il 17 aprile del 2013 un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa al settore, chiudendo con ciò la procedura di infrazione in data 27 febbraio 2012.
A tale delega però i Governi che si sono succeduti dopo la caduta del Governo Berlusconi, nel 2011, non hanno dato seguito. È vero che, nel vuoto normativo che si è venuto a creare, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia europea del 14 luglio 2016 – è stato già ricordato -, che ha disposto quanto segue, leggo: la direttiva n. 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, all’articolo 12, dispone che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione; e qui entriamo nel tema delle aste.
Ora, se è vero – perché bisogna dirsele le cose – che la sentenza succitata rischia di provocare una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, è anche vero che al momento non risulta neppure una procedura pilot che la Commissione usa porre in atto proprio per prevenire l’apertura di un’infrazione.
Insomma, qui torno al cui prodest: non si capisce allora la fretta di chiudere un provvedimento messo insieme in modo confuso, ma chiamato “riordino”, senza ragionare sul fatto che il nostro Paese possiede, solo di litorali marittimi, 8.000 chilometri di coste e che ha le capacità tecniche di realizzare stabilimenti balneari ecocompatibili e non impattanti anche in luoghi diversi da quelli che sono già soggetti a concessione.
Quindi, manca il presupposto fondante su cui si basa l’esecuzione della direttiva cioè la scarsità delle risorse naturali a cui si riferisce la Corte di giustizia europea che fa proprio riferimento a tale elemento. Dunque c’è scarsità di risorse naturali o non c’è? No, non c’è. Ripeto: non c’è. Ma proseguiamo. Le associazioni di categoria italiane hanno più volte sottolineato il fatto che nel nostro Paese non c’è scarsità di materia prima, vale a dire di spiagge, perché è ancora disponibile il 48 per cento delle nostre coste. Lo stesso vale per la tutela del legittimo affidamento dietro il quale c’è un patto di reciproca fiducia fra lo Stato e gli imprenditori che non può essere rotto. Ma i patti fatti dallo Stato si rompono con grande facilità quando fa comodo. Cerchiamo di contestualizzare quanto sta avvenendo in Italia con quanto è avvenuto in Paesi interessati anch’essi dalla direttiva Bolkestein per quello che riguarda le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali. Pensiamo un attimo alla Spagna. Ricordiamo la Spagna perché, quando esiste la volontà politica di difendere gli interessi nazionali di un Paese, ci si riesce anche nell’ambito dell’Unione europea ma è necessaria la volontà politica. La Spagna nel 2013 approva la revisione della ley de Costas del 1988: prevede una proroga da 30 a 75 anni delle concessioni in essere in base alla loro tipologia senza procedure d’asta di evidenza pubblica proprio grazie all’invocazione del diritto di godere della proprietà dei propri beni di cui all’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Quindi, ci sono molte incongruità, fretta, eccessiva solerzia, e un tessuto legislativo intorno all’applicazione della direttiva Bolkestein senza dubbio complesso naturalmente: altrimenti dal 2006 non saremmo arrivati sino ad oggi con una sostanziale mancanza di chiarezza. Non è materia facile da sbrogliare per carità. Quello che ci interessa è capire la volontà che sottende al modo in cui si vuole intervenire ed è una volontà che non ci convince, che non riusciamo a capire e che abbiamo cercato di capire. Per non rischiare di decidere in maniera superficiale, prima di esprimerci, noi di Forza Italia abbiamo studiato con grande approfondimento la realtà balneare in tutta la sua complessità per capire come un settore così ben funzionante e strategico per l’Italia, per davvero un modello di imprenditoria nazionale proprio dell’impresa italiana che funziona, possa venire valorizzato attraverso una riforma strutturata che tenga in considerazione però le peculiarità italiane: non siamo uguali agli altri Paesi ma abbiamo una nostra peculiarità, ad esempio 8.000 chilometri di coste che sono i nostri confini nazionali nel mezzo del Mediterraneo. Molti rappresentanti del settore – li abbiamo ascoltati con attenzione in questi mesi – chiedono alle Commissioni di effettuare una verifica comparativa dei quadri normativi che si sono venuti a delineare nei vari Paesi comunitari, ponendo particolare attenzione proprio alla vicenda spagnola e alle proroghe volute dalla Spagna. Analizzare i casi di successo e avere un quadro esaustivo delle discipline relative alle concessioni demaniali marittime è fondamentale per un’azione politica che vuole muoversi o, così dice almeno, in linea con l’idea di una concreta difesa degli interessi economici e produttivi rilevanti del Paese che si è chiamati a rappresentare. Per questo avevamo chiesto nei mesi scorsi nuove audizioni nelle Commissioni competenti e un approfondimento ulteriore del disegno di legge di delega di riforma del demanio marittimo che tuttavia sono state rifiutate.
Ci siamo dovuti accontentare di sentirci dire che è l’Europa che ce lo chiede: non è proprio esatto perché proprio gli accadimenti della Spagna e anche del Portogallo, seppure differenti rispetto alla Spagna, dimostrano che c’è la possibilità di esercitare proroghe alle concessioni in scadenza – addirittura ho ricordato prima in Spagna fino a 75 anni – e che ciò è stato possibile principalmente attraverso una revisione del demanio marittimo. In quei Paesi permane una concreta tutela per gli attuali titolari di concessioni balneari, mentre in Italia il disegno di legge delega e altri provvedimenti normativi sembrano, al contrario, la dimostrazione di quanto il Governo proprio non comprenda il comparto: non ne comprenda il funzionamento, non ne comprende il potenziale e non ne comprenda l’interesse nazionale. Con il disegno di legge si rischia di consegnarlo al mercato – lo sentivamo prima – alla libera concorrenza, mercato che vale sempre per le aziende piccole, per le aziende familiari.
In questo Paese la libera concorrenza è imposta alle piccole aziende che campano marito, moglie e due figli ma per i grandi gruppi di potere la libera concorrenza non c’è mai: per essi il mercato non entra dominante a fare le leggi. Per essi si fanno concessioni a vita, ad esempio per le autostrade. Ma per le imprese familiari che gestiscono una piccola azienda che fa felici tutti ci vuole la libera concorrenza e ci vuole la legge del mercato. Non è disarmante? Io lo trovo disarmante. Rischiamo così di consegnare al mercato dei grandi interessi economici nazionali e anche internazionali le concessioni demaniali italiane aventi ad oggetto – lo ricordo – i nostri confini, i confini del nostro Paese tra l’altro secondo un principio che non è di reciprocità perché gli spagnoli, per esempio, potranno venire a partecipare alle aste per le nostre concessioni balneari ma gli imprenditori italiani non potranno fare la stessa cosa in Spagna. Il principio di reciprocità non è un principio fondante all’interno di qualunque elemento di costruzione dell’architettura europea? Dov’è la reciprocità? Non c’è. Tuttavia sembra che sia un dettaglio. Durante i lavori nelle Commissioni ci siamo resi conto di come sia evidente che la maggioranza sta procedendo a riordinare – si fa per dire – il settore delle concessioni demaniali approvando una legge delega ampia, complessa, con tempistiche misteriose, senza conoscere l’attuale assetto delle competenze recato dalle normative regionali né quali siano le concessioni demaniali attualmente in essere. Ce l’ha detto il demanio: non sappiamo quante concessioni abbiamo; non sappiamo quanto valgono; non sappiamo quanti contenziosi sono aperti e per quanto denaro; non sappiamo niente ma noi riordiniamo su questo non sapere niente. Parlare del riordino delle concessioni in tali condizioni rappresenta proprio un ossimoro: lo ripeto e lo ripeterò sino alla fine. Infatti, come risulta dai lavori di indagine conoscitiva parlamentare, non sappiamo niente di tali concessioni o, meglio, non sappiamo abbastanza e, peraltro, nell’ambito di applicazione del provvedimento, non è ricompreso tutto il territorio nazionale perché ci sono regioni per le quali sono previste deroghe. Quindi tra l’altro è un lavoro neanche coerente e neanche completo. A mio avviso, la delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa sulle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali è un mero ossequio alla cosiddetta direttiva Bolkestein che, insisto, sembra valere per le coste italiane grazie al nostro Governo ma non sembra valere per altre zone costiere dell’Unione europea dove si sono applicati criteri ben diversi. Le persone che sono oggi titolari delle concessioni hanno prodotto un tessuto sociale ed economico che ha generato ricchezza e benessere, contribuito al decoro, all’ordine e alla pulizia, alla tutela degli interessi pubblici connessi alla tutela dei luoghi e alla loro valorizzazione, un grandissimo patrimonio per il nostro Paese. Mi chiedo perché si voglia colpire in tutti i modi un settore che funziona bene. Credo che non si otterrà altro che mettere in ginocchio il settore, violando, come ho accennato poco fa, due principi contenuti nella direttiva Bolkestein: il principio di reciprocità e la condizione di scarse risorse. Il provvedimento inoltre lascia – è un altro elemento che voglio sottolineare – la fissazione di un eventuale numero massimo di concessioni che un operatore economico possa detenere nell’ambito territoriale di riferimento alla discrezionalità delle regioni e ci si domanda a quale interesse risponda una simile disposizione cioè un imprecisato numero di concessioni possono essere accorpate presso un unico operatore economico ma non si sa quante, si deciderà, lo decideranno le regioni. A che serve, qual è lo scopo, perché? Ci sarebbe piaciuto poterlo sentire con grande chiarezza. Anche in questo caso, si dispone in ipotesi, senza avere certezza dei dati esistenti e si può arrivare al risultato che, in alcune regioni, possa essere determinato in un certo modo, in altre no: numeri, criteri ma è questo il riordino? Tutto in maniera disunita, tutt’altro che ordinata. Rivolgo un ultimo invito accorato a cercare di mettere da parte la fretta su una materia così delicata e ad evitare ulteriori pasticci: c’è l’opportunità di farlo. Ricordo che si sta deliberando sulla possibilità di mandare all’asta zone che rappresentano i nostri confini nazionali, in un momento storico estremamente delicato, con sfide che il nostro Paese è chiamato a fronteggiare ben oltre le proprie forze.
Concludo riaffermando che Forza Italia è contraria a questo disegno di legge delega, perché ritiene che questa materia non debba essere sottratta ad un legittimo, opportuno, necessario, ampio, approfondito dibattito parlamentare. Il fatto che questa maggioranza voglia evitare, su questo provvedimento, un ampio dibattito parlamentare non ci lascia tranquilli, tutt’altro, ci trova fermamente contrari. Io credo che, da un ampio dibattito parlamentare, sarebbero potute emergere soluzioni e visioni utili a migliorare il senso e la costruzione di questo provvedimento, ma così non è stato.
Le implicazioni sociali ed economiche sottese all’esito di questo provvedimento sono importanti e dobbiamo tenerne conto, se vogliamo essere seri, usando un aggettivo che è stato usato da un collega che mi ha preceduto poco fa.
Pensiamo che l’approvazione di questo provvedimento avrebbe un risultato certo, uno lo avrebbe senz’altro: mettere in ginocchio migliaia di piccole e medie aziende italiane. Non vi sono giustificazioni per chi porterà all’estinzione un comparto che costituisce una peculiarità nazionale di successo. Riteniamo che un provvedimento di legge come quello presentato dal Governo porti con sé una conseguenza estremamente pericolosa: la morte di migliaia di aziende, cosa che Forza Italia non permetterà in alcun caso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(6) Andrea Mazziotti deputato eletto nel 2013 con Scelta Civica, nel 2018 si è candidato con PiùEuropa e non è stato eletto http://www.andreamazziotti.eu/spiagge-trasparenti/?fbclid=IwAR1IIiwXzAPOdbqDzsV7mdXnw-HoPFkckv8Fh5lrtwd8SlP9pP6bPJHGd9Q