Mentre sta entrando nel vivo la discussione in Parlamento della proposta di legge Calderoli sulla autonomia differenziata, particolarmente opportuno risulta il momento per la pubblicazione dell’ultimo volume di Gianfranco Viesti, “Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale”, Laterza. Come dice lo stesso autore, “è un libro sul potere e sui diritti dei cittadini in Italia”.
La storia politica recente del nostro Paese è stata caratterizzata dallo slittamento dei poteri dal centro ai territori, a partire dall’inizio degli anni Settanta, quando è stata attuata la previsione costituzionale di dare vita alle Regioni. A partire dagli anni Novanta, e poi con la riforma costituzionale del 2001, è stato deciso un percorso di profondo ed ulteriore decentramento di responsabilità istituzionali verso le Regioni, essenzialmente sotto l’incalzare della affermazione politica della Lega Nord. Tale svolta ha determinato un quadro molto insoddisfacente, ricco di problemi e di conflitti.
Invece di porre mano alle difficoltà che si sono determinate, non ultima una crescita esponenziale dei conflitti di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale tra Stato e Regioni soprattutto per quanto riguarda le materie con responsabilità concorrente, il dibattito politico degli ultimi anni si è dedicato a peggiorare ulteriormente in prospettiva il funzionamento della macchina pubblica, e dei servizi collettivi offerti ai cittadini.
Si è aperta una caccia a maggiori poteri e maggiori risorse da parte di alcune Regioni, utilizzando il grimaldello del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Questo percorso politico, tuttora in campo, viene definito da Gianfranco Viesti la secessione dei ricchi, intendendo con questa affermazione la concessione, alle Regioni richiedenti, che poi sono quelle più ricche del Paese, di nuove competenze, che poi diventano lo strumento per concentrare maggiori risorse finanziarie. Tali Regioni si configurerebbero come Regioni-Stato, sia pure formalmente ancora dentro la cornice dello Stato nazionale.
In questo scenario il governo centrale avrebbe poteri residuali, e competenze solo su ritagli geografici, quelli che non accedono alla autonomia differenziata. L’Italia diventerebbe un paese arlecchino, con una vita istituzionale resa poi ulteriormente complicata dall’incastro con i poteri comunitari, che rischieranno di incespicare con la vasta platea differenziata delle competenze regionali, anche in fase di recepimento delle direttive comunitarie su tematiche fondamentali.
E’ vero che negli ultimi tre decenni abbiamo assistito ad un aumento del decentramento politico ed amministrativo anche in diverse nazioni europee. Non si possono trarre conclusioni definitive dalle esperienze che sono maturate. Molto probabilmente, sostiene Gianfranco Viesti, le soluzioni estreme vanno evitate: una fortissima centralizzazione dei poteri conduce all’autoritarismo, mentre un elevato decentramento rende i poteri unitari molto deboli, generando forze centrifughe. Il modello tedesco sinora ha fornito molto probabilmente la risposta più equilibrata, con un decentramento largo ai Lander, ma con un governo federale che svolge un ruolo cruciale di guida e dispone di una clausola di supremazia negli ambiti di legislazione concorrente.
Gianfranco Viesti individua tre condizioni per un buon decentramento dei poteri: la prima consiste nella chiara definizione delle competenze e delle responsabilità; in ogni caso si deve tenere presente la necessità che i diversi livelli di governo abbiano una grande disponibilità alla collaborazione orizzontale, con meccanismi giuridici ed operativi che consentano di organizzarla.
In secondo luogo, i governi sub-nazionali debbono disporre delle risorse finanziarie, tecniche ed umane che consentano loro di far fronte alle loro competenze. Uno squilibrio nella assegnazione delle risorse può condurre a fenomeni di trasferimento massiccio della popolazione.
I cittadini sono difatti liberi di spostare le proprie residenze, che si verificheranno certamente in presenza di significative disparità nella erogazione dei servizi collettivi. Già oggi, su scala minore, assistiamo ad un impressionante ed imponente “turismo sanitario” tra le regioni meridionali e le regioni settentrionali del nostro Paese.
In terzo luogo, l’attribuzione di competenze non dovrebbe essere un fine in sé, ma un mezzo per governare meglio, per raggiungere in maniera più efficace i grandi obiettivi di sviluppo economico, sociale, umano, che ciascun Paese si prefigge per migliorare le condizioni dei territori in cui i cittadini vivono e le imprese operano. Assegnare poteri ai territori non è automaticamente sinonimo di buon governo.
In Italia l’assetto dei poteri oggi non è affatto soddisfacente: il riparto delle competenze non è chiaro, le norme finanziarie non sono state adottate o sono state applicate in modo distorto, i meccanismi di controllo funzionano poco e male. Dal 2001 al 2021 vi sono stati 2.256 ricorsi alla Corte Costituzionale, nei due terzi dei casi promossi dallo Stato e per il resto dalle regioni.
La capacità dei governi nazionali di compiere grandi scelte di fondo, e di esercitare le proprie funzioni di indirizzo e di raccordo, è stata drammaticamente indebolita. Invece le classi dirigenti regionali hanno cercato di assicurarsi la massima estensione di potere e la quota più ampia possibile delle risorse pubbliche da gestire ed intermediare.
Si è rafforzata la tendenza verso quello che Gianfranco Viesti definisce “sovranismo regionale”: l’idea che i cittadini siano tutelati non dalla legislazione nazionale e da principi comuni a tutto il Paese, ma dall’azione dei propri rappresentanti territoriali nel gioco politico e del riparto delle risorse su scala nazionale.
Mentre i poteri dei Presidenti delle Regioni si sono accresciuti, e il loro “bulimismo” non passa mai, si è indebolito fortemente il peso delle amministrazioni comunali In Italia è mancata una politica nazionale per le città. Non casualmente nel Governo è scomparso il Ministero per le aree urbane, che prima era presente sino agli inizi degli anni Novanta, mentre è comparso il Ministero delle Regioni. La scomparsa delle città è una perdita netta della identità nazionale, perché la nostra storia trae le proprie radici dai comuni.
La centralità dei sindaci eletti direttamente dal popolo, che hanno segnato una stagione della vita politica italiana, è stata spazzata via dal potere dei “Governatori”, che hanno scelto un termine assolutamente non coerente con i compiti loro assegnati: il lessico indica in questo caso più un auspicio che non una definizione.
Ricordiamo che già oggi la sanità è affidata alla responsabilità regionale; nel bilancio delle regioni tale vice supera i tre quarti del totale: la spesa sanitaria regionale è pari al 6,7% del Pil, un valore circa triplo rispetto alla spesa continentale. La salute è dunque una materia già assegnata alla sfera dei poteri regionali.
Quale è stato il risultato di questa decisione? L’effettiva possibilità degli italiani di accedere ad un ospedale, calcolata tenendo conto della localizzazione dei cittadini e delle strutture e dei trasporti disponibili, alla fine degli anni Dieci era molto più bassa nel Mezzogiorno e nelle aree periferiche del Nord.
La ripartizione delle risorse tra i territori è stata, con l’attuale assetto istituzionale, profondamente diseguale. Nel 2019 la spesa pubblica per abitante, mediamente pari a 15.000 euro, superava i 20.000 euro la provincia di Bolzano, mentre era nettamente inferiore alla media nelle regioni meridionali.
La spesa per il personale pubblico, rapportata agli abitanti, era nel 2019 a Bolzano il triplo della media italiana ed il doppio della Sicilia. Per i servizi sociali nel 2020 si sono spesi a Bolzano 584 euro, con circa 300 per valdostani, friulani e trentini, contro la media nazionale di 136 euro, e 70 per i meridionali.
A fronte di questa drammatica disparità nella erogazione dei servizi e nella articolazione della spesa rispetto ai diversi territori del nostro Paese, il quadro dell’assetto istituzionale presenta un rilevante decentramento di poteri, ma una scarsa responsabilità sul prelievo, specie per le Regioni.
Questo è il quadro all’interno del quale Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno condotto una battaglia per dare una ulteriore spallata ai poteri ed alle risorse nazionali, per andare in direzione della autonomia differenziata. Le materie poste nell’elenco del passaggio verso l’esclusiva responsabilità delle Regioni non sono solo molte altre, ma sono soprattutto di carattere strategico; l’istruzione, le grande infrastrutture, i porti, l’ambiente, il servizio idrico, il paesaggio, l’energia, i beni culturali, il lavoro.
Si tratterebbe di uno scompaginamento vero e proprio delle politiche nazionali, che definiscono non solo l’eguaglianza dei cittadini ma anche il posizionamento strategico dell’Italia nel mondo. Verrebbero meno quegli elementi che formano il collante della identità nazionale. Non si tratta nemmeno di autonomia differenziata, ma di configurare vere e proprie Regioni-Stato con competenze larghissime, e con scarsa responsabilità.
Nascono vere e proprie paradossali conseguenze; se il gettito fiscale viene assegnato alle Regioni, a chi fa capo il debito pubblico nazionale accumulato, e quello successivo che andrà a formarsi? Le Regioni a più alto reddito, che poi sono i soggetti capofila di questa domanda politica, tratterrebbero una parte rilevante delle tasse raccolte nel proprio territorio, sottraendola alla fiscalità nazionale. Nascerebbe così la secessione dei ricchi. La battaglia è ancora in corso. Gianfranco Viesti va ringraziato per la passione e per la precisione degli argomenti che mette a disposizione del dibattito nazionale.
Gianfranco Viesti è professore di Economia applicata presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari. Si occupa in particolare di economia internazionale, industriale e regionale e delle relative politiche. Negli ultimi anni ha attivamente partecipato alla discussione pubblica italiana su molti temi, dal federalismo all’università, dal Mezzogiorno alle questioni urbane e alle politiche industriali, con le sue attività di ricerca e con interventi sulla stampa nazionale e sulle reti radiofoniche. Autore di libri e articoli su riviste scientifiche, per Laterza ha pubblicato tra l’altro: Abolire il Mezzogiorno (2003); Mezzogiorno a tradimento (2009); “Il Sud vive sulle spalle dell’Italia che produce”. Falso! (2013); La laurea negata (2018); Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo (2021); Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale (2023).
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