Danilo Chirico: Peppino Impastato era un estremista velleitario
Autore : Redazione
Peppino Impastato era estremista, velleitario, minoritario e anche piuttosto ideologicoEra contraddittorio, anche: al tempo stesso figlio di mafioso e rivoluzionario.Violava le regole, non credeva alle verità ufficiali, derideva il potere, contestava chi incarnava le istituzioni.E poi era ostinatamente schierato. Politicamente schierato, tanto da stare nel movimento e candidarsi alle elezioni.La sinistra ufficiale non lo riconosceva, l’ordine dei giornalisti non lo riconosceva, la sua città non lo riconosceva. Pochi hanno pianto per la morte di questo terrorista con tendenze omicide, forse persino suicide.Nel 1978 Peppino Impastato era tutto questo: persona da evitare, marginalizzare, colpire, zittire. Non un intellettuale, non un simbolo dell’antimafia, non un modello. Per nessuno, non soltanto per i mafiosi, non soltanto per gli apparati deviati dello Stato.E forse oggi, nell’epoca del pensiero unico, delle semplificazioni, del manicheismo, nell’epoca dei tardo berlusconiani e dei salviniani, dei grillini e dei giustizialisti, della ditta e dei renziani, delle rendite di posizione della sinistra istituzionale o diffusa, della crisi del movimento e dei governi locali, delle lotte intestine tra le istituzioni e della Bce. Nell’epoca senza più esempi e senza più intellettuali dovremmo pensarci un po’ su.Pensare a dove saremmo stati noi in quel 1978. Con la mafia che ci assicurava la sopravvivenza, con la maggioranza delle persone perbene o con le persone da evitare, marginalizzare, colpire.Soprattutto dovremmo forse pensare a dove siamo noi oggi.Quando siamo rinchiusi nelle nostre certezze, quando ci sentiamo tremendamente buoni e dalla parte giusta, quanto perde forza la nostra indignazione, quando ci consegniamo all’ineluttabilità dei processi economici, politici, sociali, quando la normalizzazione della realtà e del conflitto sociale hanno il sopravvento, quando stiamo in silenzio e dovremmo parlare, quando affermiamo principi in cui non crediamo più, quando la legalità prende il sopravvento sulla giustizia sociale, quando facciamo un passo indietro per non scontentare un capo, un potente, quando subiamo il racconto dei media main stream senza farci domande o quando proponiamo un racconto che non sa parlare a nessuno, quando riproduciamo le stesse ricette, le stesse modalità, gli stessi processi, gli stessi convegni, le stesse parole perché ci tranquillizzano, ci sembrano l’unica possibilità, ci illudono che ci faranno sopravvivere, servono a conservare il nostro piccolo potere. Quando i faziosi hanno ragione e tu non hai più le parole per contraddirli. Quando le cose ci sembrano scontate, le cadute inevitabili, i risultati immutabili, gli equilibri paralizzati e paralizzanti.Quando siamo i buoni contro i cattivi. Quando siamo i buoni che sconfiggono i buoni contro i cattivi ma sembra una rappresentazione di sei personaggi in cerca d’autore.Peppino Impastato era pieno di tutte quelle contraddizioni che noi invece fingiamo di non avere dentro una rappresentazione di noi che ci rassicura, ci tranquillizza, ci protegge, ci permette di stringere le mani giuste, di avere le opportunità che pensiamo di meritarci solo perché abbiamo un nome, siamo dentro un contenitore, produciamo qualcosa.Peppino Impastato non era buono o cattivo. Era semplicemente un’altra cosa. Che ha inventato un mondo, costruito un immaginario, aperto una strada. Nel bene e nel male. Forse si tratta di capire cos’è il bene, cos’è il male.Nel 1978. E oggi. Perché le categorie di un tempo forse non bastano più a capire e raccontare il presente. Serve un po’ più di curiosità, strade inedite e originali, parole nuove, meno prudenza. Sì, poi Peppino Impastato ha anche detto che la mafia è una montagna di merda. Che è una frase che sta bene sui manifesti di tutti, che è buona per tutti. Pure per quelli che oggi lo marginalizzerebbero. E questa cosa a me sembra la più utile a dirci quello che siamo diventati. Dove siamo, dove vogliamo e possiamo andare. Altro che la retorica dell’antimafia. Altro che la retorica dei diritti. Altro che la retorica del non si può. Altro che la retorica della prudenza. Altro che la retorica della sinistra. Altro che la retorica dell’economia. Altro che la retorica del movimento. Altro che la retorica delle associazioni e delle reti. Altro che la retorica della responsabilità. Altro che le raccolte di firme. Altro che vincitori e sconfitti. (Scritto 9 maggio 2015, vale anche oggi che non ci è permesso neppure dubitare) Qui invece una cosa bellissima, da ascoltare.https://www.youtube.com/watch?v=msftHoYafRU