Demostrizziamo le città d’arte italiane
Autore : Redazione
Foto dal servizio di L’Espresso – S.Maria in Solario di Brescia
Pubblichiamo l’intervista dell’Espresso a Massimo Minini, da un anno presidente della Fondazione dei musei civici di Brescia, su nomina del sindaco Emilio Del Bono (eletto a giugno 2013), che ha declinato l’invito a investire 400 mila euro per allestire una mostra “monstre” su Monet-Manet-Renoiristi che avrebbe attirato migliaia di visitatori. A leggere le sue parole si prova l’impulso irrefrenabile di alzarsi in piedi ed applaudirlo. Perchè sono un tenue filo di speranza in questa notte sempre più scura, dove si interviene assai poco per la tutela del nostro patrimonio artistico e si investe assai per mega eventi che non hanno alcun legame con il territorio. A Brescia si vuole andare oltre il “mostrismo”, per costruire prospettive di crescita culturale sul lungo periodo… (AMBM)
“Noi vorremmo trasmettere al nostro pubblico, alla nostra città, qualcosa di nuovo. Partendo dall’amare e valorizzare il patrimonio che abbiamo. Che senso ha investire in una mostra temporanea su Degas o sull’oro degli Inca se la pinacoteca civica resta chiusa perché mancano gli spazi adeguati?“
Massimo Minini
L’Espresso 5 agosto 2015 “Basta con le mostre Ogm. Spazio alla città Vi spiego il no di Brescia agli impressionisti“di Francesca Sironi
Il sindaco ha rifiutato l’offerta di Marco Goldin. Niente tour di capolavori dall’estero per il capoluogo lombardo. Un rifiuto che ha scatenato la polemica. A cui ora risponde il presidente della fondazione musei civici Massimo Minini. Spiegando come cambierà la politica culturale. E perché importa a tutta la nazione.
Basta «mostre OGM». Alla città «serve uno spirito nuovo». Bisogna «ripartire dalle nostre collezioni e dal mettere in sesto le strutture». E se le mostre-evento piacciono più dei musei: «Allora ci vuole una cura disintossicante. Un metadone. È ora di cambiare aria».
Massimo Minini è uno stimato gallerista di Brescia. Da un anno è presidente della Fondazione dei musei civici , su nomina del sindaco Emilio Del Bono (eletto a giugno 2013). E in questi giorni ha avuto la sua occasione per far capire qual è il progetto culturale della città. Mandando in subbuglio l’intellighenzia bresciana, e di riflesso anche quella nazionale.
Allo scoccare dell’estate infatti è arrivata sul tavolo del sindaco un’offerta da prendere o lasciare: una mega-mostra di Impressionisti targata Linea d’Ombra, la società di Marco Goldin che da decenni confeziona eventi temporanei capaci di attirare centinaia di migliaia di persone. L’ultima, “Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh” si è appena conclusa a Vicenza. E alla ricerca di una stazione pronta ad ospitare il prossimo tour di capolavori Monet-Manet-Renoiristi, Goldin è tornato a Brescia, epicentro delle sue attività dal 2004 al 2009.
Questa volta però, non è andata come sempre. Perché il sindaco, guarda un po’, ha detto no. No, grazie. Niente più mostre-monstre per Brescia, ha risposto, adesso la città fa da sé. Shock.
Sui dorsi locali dei quotidiani fioccano pronunciamenti accesi: “E’ inaccettabile rifiutare una proposta così”, ripetono, “che a fronte di un investimento comunale di soli 400mila euro porta un indotto di 300mila persone”. Ma spiegare le motivazioni riflettute e chiare di quel no è Minini.
Se l’arte è come l’happy hour: quelle mostre sono un affare
Le mostre si moltiplicano, ma gli incassi si concentrano sui mega eventi artistici. Pagati milioni dai Comuni. Mentre i fondi per i musei calano. Oggi la tendenza è questa. È giusto o no?
Presidente, che succede?
«Succede che la giunta Del Bono si è proposta come giunta di rinnovamento. Per questo il sindaco aveva cambiato i ruoli della Fondazione, un anno fa. E ora noi stiamo seguendo quel progetto di novità».
Ovvero? Perché rifiutare l’offerta?
«Se tornasse Goldin sarebbe aria vecchia. Non nuova. Non voglio offendere nessuno, ma noi faremo sì che il cambiamento si avverta dalle fondamenta».
Una mostra-evento è dunque “vecchia”?
«Sì, è una vecchia concezione della politica culturale di una città. Che un capoluogo come Brescia può mettere in discussione, come stanno facendo in molti in Italia. Proponendo di andare oltre il “mostrismo”».
Ma non sarebbe solo un gran successo con poco impegno per voi?
«Certo, queste iniziative portano pubblico. Ma sono ondate di attenzione che compaiono e poi scompaiono. E che al sistema museale di Brescia non hanno lasciato niente, negli anni, nulla. Anzi: solo buchi nel soffitto e restauri di cui nessuno prima si è curato perché finché c’è la festa le cicale cantano, ma poi…».
Il pubblico le ama, quelle esposizioni blockbuster.
«Noi vorremmo trasmettere al nostro pubblico, alla nostra città, qualcosa di nuovo. Partendo dall’amare e valorizzare il patrimonio che abbiamo. Che senso ha investire in una mostra temporanea su Degas o sull’oro degli Inca se la pinacoteca civica resta chiusa perché mancano gli spazi adeguati? Nessuno».
Le mostre di Goldin non le porterebbero i soldi necessari per intervenire?
«Macché. Un tempo, sui 12 euro di biglietto di una loro mostra, 11 tornavano alla società, uno solo restava al Comune. E alla fine la kermesse costava più di quanto portasse. Ora sono state offerte condizioni migliori, è vero, ma il punto è che cambiato il progetto culturale per la città».
Potrebbe spiegare meglio questo cambiamento?
«Vogliamo valorizzare i nostri musei. Partire da quei lavori che non saranno forse glamour ma sono oggi ultra-necessari, perché mai affrontati, come il risanamento delle sale per la pinacoteca, la messa in sicurezza dei soffitti…».
E siamo tornati ai muratori. Ma perché non riempire lo spazio libero con le temporanee di successo?
«Perché basta. Dobbiamo puntare su Brescia, il suo territorio, la sua tradizione, il suo futuro. Dobbiamo guardare a lungo termine. Produrre temporanee che abbiano un valore scientifico e territoriale. Che senso ha comprare pacchetti pre-confezionati di opere che arrivano da fuori, e non hanno nessun rapporto con la città? Sono aspetti inconciliabili».
“Cultura? Direi piuttosto commercio”
Goldin avrebbe avanzato l’ipotesi di una collaterale con pittori bresciani dello stesso periodo impressionista.
«Siamo una struttura seria. E da settembre offriremo alla città, grazie al contratto col Comune finalmente validato dalla soprintendenza regionale, una programmazione seria. Non inizieremo il 2016 facendo da comparse. Noi facciamo il nostro programma culturale, Goldin ha naturalmente tutto il diritto di fare il suo».
Alcuni commentatori criticano duramente questo rifiuto, dicendo che così si relega Brescia all’oscura provincia, quando il nuovo ciclo di mostre-evento “l’avrebbe resa capitale”.
«Sono convinto del contrario. Ospitare l’ennesima passerella di impressionisti sarebbe da provinciali. Mentre avere un programma indipendente, fondato scientificamente, serio, è da capitale. Lei ha mai sentito che la Tate, o il Centre Pompidou, ospitassero mostre impacchettate fuori? No».
Certo che sarebbero arrivati capolavori apprezzati…
«Sa che nella nostra collezione, lascito dell’eroico conte Tosio , ci sono due Raffaello di grande bellezza? Sono questi i capolavori che faremo conoscere!».
Ma questo significa che a Brescia resteranno solo musei? Niente vernissage? Niente appuntamenti da non perdere? Niente manifesti?
«Ma che. Il direttore della Fondazione, Luigi Maria Di Corato, ha un’idea che apprezzo molto: vorrebbe realizzare un percorso espositivo ampio, per la nuova Pinacoteca, con poche opere, ma ben valorizzate. Creando così l’occasione per far girare spesso le tele, portando alla luce quelle negli archivi e viceversa. È quello che fa la National Gallery di Londra. Un modo semplice e intelligente per variare continuamente l’esposizione, invitando i visitatori a tornare».
C’è altro in programma?
«Siamo concentrati sul rifacimento completo della vecchia pinacoteca per avere un palazzo adatto ad ospitare mostre e opere provenienti da musei del mondo che altrimenti non presterebbero».
Ah, allora ci saranno anche le mostre!
«Certo, forse poche ma scientificamente fondate. Che servano a valorizzare il patrimonio della città».
C’è altro?
«Il progetto è anche allargare le possibilità dei nostri musei. Un signore bresciano ha lasciato le sue 600 opere al Museo del Novecento di Milano: la collezione di Mario Bertolini. Quando l’ho saputo l’ho chiamato chiedendo perché non le aveva donate a Brescia. E lui mi ha risposto: Dove le avresti messe? Ha ragione. Per questo dobbiamo impegnarci nel lavoro di base, adesso. Per lasciare davvero qualcosa alla città».
E i visitatori?
«Daremo il massimo anche per quelli. Ora è in corso una bella mostra, difficile forse perché archeologica, ma interessante, sulla conquista dei romani nel Nord Italia. Non è molto affollata, ma il picco arriverà con l’autunno».
Quante persone frequentano oggi i musei civici?
«140mila all’anno».
Il vostro obiettivo?
«Arrivare a 200-250mila. Ma soprattutto costruire prospettive di crescita culturale sul lungo periodo».
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