L’Autonomia Regionale Differenziata si è finalmente, seppure tardivamente, affacciata dagli schermi televisivi e nei titoli dei giornali, anche se purtroppo in occasione della sua approvazione in Senato, il penultimo passo di un percorso che, dopo il voto della Camera, si potrebbe concludere nel giro di pochi mesi.
Eppure, di fronte a quello che cambierà per sempre i connotati del nostro Paese, stravolgerà lo spirito della nostra Costituzione, produrrà ulteriori e più profonde disuguaglianze, frantumerà irreversibilmente la stessa unità della Repubblica, avrebbero dovuto reagire ben più efficaci anticorpi, della società civile, della politica e anche dell’informazione libera e democratica.
La società civile, soprattutto in questi ultimi anni, ha rinunciato a tante battaglie, sopraffatta da pandemia, guerre e soprattutto dalla sfiducia nelle possibilità di cambiamento. La politica, anche quella che si definiva riformista, si è sempre più orientata sulla ricerca del consenso che su una proposta di società giusta per tutti. Anche il cambio di rotta di alcuni partiti sull’Autonomia, un provvedimento che si trascina da anni, avviato dalla riforma del Titolo V del 2001 voluto dal centro sinistra e poi riproposto da tutte le maggioranze che si sono avvicendate fino a oggi, giunge in extremis. E ci si augura che le nette prese di posizione contrarie di nuovi leader o di nuove linee politiche siano davvero condivise dalla nomenklatura e dalle rispettive basi di partito e movimento.
Sugli scarsi allarmi – o quantomeno sulla mancanza di una sistematica informazione – da parte dei media, va detto che nonostante il proliferare dei canali web e social, sembra assai difficile raggiungere la cosiddetta “opinione pubblica” per far conoscere e suscitare il dibattito, su questo come su altri temi fondamentali, anche per le testate più sensibili al sociale.
L “opinione pubblica” fino a qualche anno fa si poteva individuare nel vasto target delle TV generaliste e in quello, più ridotto, delle testate giornalistiche nazionali, target che pur nella differenza di appartenenze (geografiche, di classe sociale, di età, di idee politiche), condivideva – nel bene e nel male – vasti spazi informativi comuni, che si prolungavano nello scambio familiare e nell’ambiente lavorativo. Oggi alla platea allargata si è sostituita una galassia di bolle chiuse in se stesse, ognuna con i suoi canali e piattaforme di riferimento, o con la sua “comunità” social a sua immagine e somiglianza, che come un gioco di specchi, rilancia all’infinito solo le informazioni che l’algoritmo predispone per i simili.
Quando sentiamo parlare dell’Autonomia differenziata nei dibattiti in TV o sui giornali, dobbiamo pensare che ci sono milioni di italiani che leggono altri giornali – molti quotidiani del nord ne sono entusiasti sostenitori – o che guardano altri programmi, o che non leggono i giornali né guardano i talk show, e navigano nel web e nei social seguendo le proprie mappe, che difficilmente intercetteranno l’autonomia differenziata.
Le informazioni critiche quindi raggiungono prevalentemente chi già le conosce o comunque fa parte di una nicchia di persone già “sensibilizzate”.
Ma anche nel caso che si riesca a raggiungere un pubblico più ampio, resta il problema di come catturarne l’interesse, data la complessità di una problematica che non si presta a slogan e semplificazioni, e che fin dal titolo appare poco allarmante.
AUTONOMIA è una parola che suggerisce qualcosa di positivo: indipendenza, libertà dall’ingerenza di altri. Essere autonomi vuol dire essere maturi, responsabili, sapersela cavare da soli, non gravare su altre persone.
REGIONALE aggiunge il tema del decentramento, di un’amministrazione più vicina ai cittadini dello Stato centrale, dell’autodeterminazione di un territorio più omogeneo per l’identità e i bisogni degli abitanti
DIFFERENZIATA fa pensare alla possibilità di tagliare su misura per le esigenze e le vocazioni delle diverse Regioni provvedimenti e finanziamenti.
Spiegare agli italiani che il regionalismo differenziato del Disegno di Legge Calderoli – ma anche delle versioni precedenti – è cosa ben diversa e che distruggerà irreversibilmente molte conquiste democratiche incarnate dalla nostra Costituzione, è un’impresa difficile, ma è l’unico modo per creare una fronte ampio e eterogeneo che possa fermarlo. Un fronte che comprenda il Sud, il Centro e il Nord, le città e le aree interne, chi vota la sinistra, il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle, e quella destra fondata sul valore dell’unità della Nazione, che mal digerisce lo scambio premierato/autonomia. E anche chi non vota più perché deluso dalla politica.
Bisogna quindi trovare le parole giuste, idee originali, sintesi efficaci e soprattutto nuovi canali per raggiungere chi non sa nulla e/o non è (ancora) interessato.
E’ una responsabilità che investe tutti quelli che sanno quanto si sta apparecchiando, ma è compito soprattutto chi si occupa di comunicazione.
Sono tempi bui, in cui ogni giorno assistiamo all’attacco di qualche conquista democratica, a partire dalla libertà di informazione. Ma non dobbiamo scoraggiarci, abbiamo la passione e le idee per ricostruire uno spazio pubblico dove riannodare i fili di un dibattito allargato e condiviso su questioni che riguardano i diritti, la vita delle persone, la democrazia.
Continuare a raccontare la nostra Costituzione, che ancora aspetta di essere attuata fino in fondo.