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Emiliani: Il Belpaese che si arrende al fuoco

Il Belpaese che si arrende al fuoco di Vittorio Emiliani

«Se certe Regioni rimangono inerti, lo Stato deve poter subentrare nei piani di prevenzione e intervento e nei piani paesaggistici. Dove sono quelli della Sardegna decisi da Soru?» La Nuova Sardegna, 19 luglio 2017 (VIA EDDYBURG)
Il clima si surriscalda, la siccità e la desertificazione avanzano e il Belpaese abbassa le difese della prevenzione e dell’intervento immediato. Addirittura non mette in atto, a livello regionale, i piani di prevenzione per gli incendi. E’ il capo della Protezione Civile che punta il dito su alcune Regioni inadempienti, a partire dalla Campania dove i roghi hanno assunto, sul Vesuvio ma non solo, dimensioni epocali, da tragedia di massa. La Regione ha pensato bene – in un anno che già dalla primavera si annunciava caldissimo – di non stipulare coi Vigili del Fuoco la convenzione per il 2017 per lo spegnimento dei roghi boschivi.

Per di più alla presidenza del Parco Nazionale del Vesuvio il più antropizzato, abusivamente, d’Italia (come altri 8 Parchi Nazionali esso è da tempo privo di un direttore), è stato posto, in luogo di un autentico esperto quale il professor Ugo Leone, Agostino Casillo, manager aziendale, giovane brillante nel suo campo e però digiuno di questioni ambientali e forestali. Tant’è che già nel 2016 il territorio del Parco vesuviano – seminato di migliaia di case abusive – ha subito un incendio disastroso. “Non si ripeterà”, è stata la solenne promessa. Parole, soltanto parole.

Si dirà: la situazione vesuviana, campana è molto particolare, si sa. Particolare allora è anche la situazione siciliana, per esempio del Parco regionale dei Nebrodi, pure largamente a fuoco, il cui presidente è stato minacciato a fucilate dalla “mafia dei pascoli”. In altre zone agiscono incendiari prezzolati – per lo più disperati, manovali della malavita – incaricati di incenerire aree a bosco sulle quali, senza fretta, i vari racket hanno puntato gli occhi per future lottizzazioni turistiche. Neppure sapendo in molti casi che su quei terreni “cotti” e quindi resi instabili non si potrà costruire nulla per decenni o che lo vieta una legge-quadro nazionale spesso, purtroppo, da applicare.

A livello nazionale poi si è aggiunto, da quest’anno, un altro clamoroso elemento di confusione e di disorganizzazione nella lotta a quanto minaccia la vita del grandioso manto boschivo nazionale e regionale e cioè la cancellazione del Corpo Forestale fuso, grazie alla criticatissima riforma Madia, coi Carabinieri dei Nuclei Ecologici. Pur con la massima stima verso questi ultimi, è stata dispersa una esperienza specifica di cento anni, è stata manomessa una secolare collaborazione coi Vigili del Fuoco attribuendo alla Protezione Civile una serie di funzioni o disfunzioni.

Le Regioni che non predispongono in modo cialtronesco i piani di prevenzione di legge vanno commissariate dal governo centrale. Analogamente i molti Comuni che non redigono l’indispensabile catasto dei terreni andati a fuoco preparando, anche senza volerlo, l’ingresso del racket su quelle stesse aree sulle quali la legge n. 353/2000 proibisce per almeno quindici anni ogni edificazione.

In Sardegna la Regione a statuto speciale ha potuto salvare l’autonomia storica e tecnica della Forestale e quindi preservarne il ruolo. Ma c’è altro da fare. Perché, ad esempio, la Regione non ha sviluppato quanto era già stato fatto, con qualità e incisività, dalla Giunta Soru col decreto salvacoste e coi piani paesaggistici validamente coordinati da Edoardo Salzano nel 2004? Perché, in tredici anni, non si è messo mano alla co-pianificazione prescritta dal Codice Rutelli/Settis in una regione che nella bellezza paesistica e nell’integrità ambientale ha la prima risorsa anche economica da tutelare? Inutile o ipocrita poi piangere sul verde incenerito.

La siccità e il surriscaldamento del clima non sono più una emergenza, sono la nuova “normalità” per la quale ci dobbiamo attrezzare, da subito. Tanto più che la manomissione speculativa sistematica, in varie forme, del paesaggio e dell’ambiente – oggi attraverso incendi mirati di vasta entità – fa ormai parte in Italia del “fatturato della criminalità organizzata” e anche di una diffusa illegalità. Se le Regioni rimangono inerti, lo Stato deve poterle sostituire. Non possiamo veder bruciare il Belpaese in una generale impotenza. Non possiamo vederlo, in autunno, sprofondare nelle alluvioni e nelle colate di fango rese più facili da questi roghi.

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