Ex caserme di via Reni: si torna ai metodi di sempre?
Autore : Redazione
Quali fatti hanno titolo per essere pubblicati sui giornali? Nelle scuole di giornalismo si insegna che un cane che morde un uomo non fa notizia, mentre il contrario merita la pubblicazione. Così si dà ampio spazio sui quotidiani quando i cittadini protestano contro le iniziative dell’amministrazione, o quando la maggioranza capitolina mette i bastoni tra le ruote a un progetto che sta molto a cuore al suo sindaco e al suo assessore. Ma a noi piacerebbe che, per una volta, qualche giornalista controcorrente desse la parola ai cittadini e ai comitati di quartiere anche quando appoggiano e collaborano a un progetto innovativo come quello delle ex caserme, magari sottolineando la richiesta della società civile alla politica di un cambiamento vero anche nei metodi, abbandonando i soliti vecchi giochetti.
Ex caserme di Via GuidoReni: si torna ai metodi di sempre?
di Vieri Quilici*
La notizia apparsa ieri (1) dello stop imposto al dibattito in Assemblea capitolina riguardante l’intervento “Il Quartiere de La Città della scienza” di via Guido Reni non deve suscitare gran meraviglia. Per questa operazione era stata avviata una procedura che per Roma si può considerare straordinaria, basata sull’informazione sui suoi vari sviluppi e sulla partecipazione dei cittadini alle scelte da compiere. Sin qui la novità era stata accolta da un largo consenso di opinione pubblica.
Non a caso: la II Municipalità, seguendo l’impostazione data dall’Assessorato, si era seriamente impegnata a mantenere aperta la discussione con numerose affollate assemblee di quartiere.
Perché allora interromperne l’iter di approvazione? Perché non meravigliarsene e trattenere l’indignazione in nome di un mai sopito scetticismo su quanto ci può riservare l’amministrazione di questa città al di là delle congiunture politiche?
Sembra soprattutto che non se ne possano mai cambiare i metodi. Alla partecipazione dovevano accompagnarsi passaggi procedurali aperti alla più generale discussione, come dibattiti sull’urbanistica e sul futuro della città, concorsi di idee e di progettazione, garanzie di autonomia culturale da contrapporre alla formazione dei sempre possibili conflitti di interesse.
Ciò cui sembra invece di assistere è esattamente un cambiamento di metodo o quanto meno un pentimento ‘politico’ di quanto sin qui promesso. Di questo pare proprio che si tratti. Alla procedura aperta alla partecipazione e controllata attivamente dall’opinione dei cittadini si preferisce tornare ai metodi di sempre: accordi di programma, piuttosto che concorsi, progetti integrati (PRINT, vale a dire trattative dirette tra amministratori e imprenditori), piuttosto che garanzie di interesse pubblico tramite classiche procedure di piano.
Si preferisce insomma la presunta scorciatoia dell’accordo di programma col privato piuttosto che l’impegno a mantener fede alle garanzie offerte al pubblico? Dobbiamo dare per scontata una tale conclusione? No, noi vogliamo sperare che a questo punto si apra un più generale dibattito, che vada anche al di là del singolo caso, sia pur per tanti versi potenzialmente esemplare, come questo.
*Architetto e docente Roma 3, Cittadinanzattiva Flaminio
(1) si veda l’articolo pubblicato da Repubblica Roma
Vieri Quilici*