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tantiquartieri

Spazio dedicato alle periferie del centro e ai centri delle periferie

Corviale, foto AMBM

Corviale, foto AMBM

> Vai alla pagina con i materiali del Convegno Gli angeli non abitano più qui 7-8 maggio 2015 La Sapienza con la relazione introduttiva del Prof. Enzo Scandurra e l’intervento dell’Assessore alla Trasformazione Urbana Giovanni Caudo

Non chiamiamole periferie

La parola “periferia” vuol dire tante cose (1) ma nessuna definizione è davero utile per fare un discorso sui quartieri di Roma: la lontananza dal “centro” richiede infatti  una ulteriore definizione di “centro città”,  che nella Capitale è a sua volta un concetto alquanto articolato, a seconda che ci si riferisca al  centro storico (all’interno delle Mura Aureliane) o alla città consolidata (allargando ai tanti quartieri limitrofi) o a un centro direzionale (anche l’EUR è un “centro”). E non aiuta neanche il concetto di degrado e “abbandono”, dato che esistono quartieri residenziali a notevole distanza dal cuore della città (basti citare l’Olgiata e Casal Palocco,  che a nessuno verrebbe in mente di classificare come “periferie”) così come esistono zone “difficili”  a pochi metri dai poli più frequentati di Roma (ad esempio la via  Tiburtina appena passato il ponte sulla ferrovia, ma per molti aspetti già  San Lorenzo, e la Casilina, la Tuscolana, la Portuense che partono dalle mura).

Può servire  la riflessione  di Derek W. Urwin : “…. Il territorio in quanto tale è un concetto politicamente neutro; diventa politicamente significativo in virtù dell’interpretazione e del valore attribuitigli dalla gente, e di conseguenza diventa “un concetto creato dalla gente che organizza lo spazio per i propri scopi” (2)

E questo mi sembra particolarmente vero per Roma, una città che un po’ per la conformazione geografica (fiumi e colli che la spartiscono) un po’ per la stratificazione storico/edilizia,  con uno  “sprawl” diventato  l’emblema più significativo della resa dell’amministrazione pubblica nel governo delle trasformazioni urbane, è un mosaico di quartieri, ciascuno con una storia e un’identità che, anche in questi tempi di individualismo sfrenato, rimane appiccicata ai suoi abitanti.

E a mescolarsi ai tanti comitati storici o spontanei sorti in ogni angolo di Roma, qualcuno spuntato  solo per affrontare  un’emergenza, molti nati per risolvere un problema e poi diventati e rimasti un riferimento per il  proprio territorio, si scopre che la gente dà valore al pezzo di città in cui vive perchè così dà valore a se stessa. E che la resistenza   che si scatena – in centro come nelle periferie – per difendere un albero, un angolo che si è salvato dal cemento, un sito archeologico abbandonato, è una  battaglia in difesa della propria dignità di cittadini e di persone che  vivono in  quei luoghi. Molto di più che una strumentale difesa della qualità della propria vita.  Perché difendere il proprio territorio e la sua bellezza è difendere se stessi, la propria identità. E rinnovare  il senso di appartenenza a una comunità.

Ma  troppo spesso la difesa  del proprio territorio  diventa contrapposizione rispetto “agli ultimi arrivati”. I più deboli, quelli che scappano  da altre parti di mondo. Ma questo merita più ragionamenti:   quando accade non si possono più  solo piazzare etichette di razzisti a destra e a manca. Bisogna riflettere sulle scelte a monte, di chi rovescia ulteriori problemi su luoghi dove c’è già una cronica mancanza di servizi, di sicurezza, di cultura e di prospettive,   lasciando gli abitanti sempre  più abbandonati a se stessi.

Ma i problemi delle “periferie” non si possono delegare solo alle istituzioni preposte. Sta ai cittadini stessi, ai comitati, ai pochi movimenti o pezzi di partiti che ancora fanno davvero politica sui territori, lavorare per ricostruire l’identità dei quartieri. E scrivo quartieri e non periferie, perchè è ora di mettere questo temine in soffitta, come il termine “razza”, anche se è rimasto nella Costituzione. Non come scelta ideologica, ma come presa d’atto di una realtà molto più complessa che non può più essere etichettata così sbrigativamente. E soprattutto come categoria con troppi significati negativi per poter essere calata su quelli che, in qualche periferia, ci vivono .

Cominciamo dalle  parole, a cambiare il mondo. E archiviamo, almeno a Roma,  la parola “periferie”. Senza pensare di cancellare così i problemi che peraltro esistono, più o meno uguali, in tutta la città. Ma per cominciare a costruire tante nuove identità collettive, come qualcuno nel corso del tempo ha cercato di fare con scarso successo. Facciamolo ora. Cominciamo a ricostruire i tanti quartieri di Roma, per ricostruire le comunità che ci vivono e ci lavorano, e per ricostruire la nostra identità di città metropolitana, plurale e accogliente.

Anna Maria Bianchi Missaglia annaemmebi@gmail.com

(1) Periferia deriva dal reco”perí” (“intorno) e “pherein” (“portare”). Secondo Wikipedia si riferisce a “aree urbanizzate, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, in seguito allo sviluppo demografico e all’inurbazione, quando l’antitesi “centro-periferia” inizia a farsi prevalente sulla precedente antitesi “città-campagna”.  E aggiunge che “le aree periferiche sono generalmente svantaggiate rispetto al centro cittadino, sia dal punto di vista urbanistico e funzionale, che dal punto di vista socio-economico”

Secondo il vocabolario  Treccani, periferia indica “la  parte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampio, e nell’ uso comune, l’insieme dei quartieri di una città più lontani dal centro: il progressivo ampliamento dell’area urbana verso la p.; una zona di p.; le case, le strade, i negozî della p.; la p. di Milano, di Vienna, di New York; abitare in p.; recarsi in p.; trasferirsi in p.; con sign. più ristretto, un quartiere periferico: la p. operaia; la p. residenziale; è una p. mal collegata con il centro. Frequente la locuz. agg. di periferia, che oltre a indicare la collocazione nel tessuto urbano, aggiunge spesso una connotazione riduttiva, di squallore e desolazione: una stazioncina di p.; le solite case di p.; un cinema di periferia”.

(2) Enciclopedia Treccani delle scienze sociali (1991) Centro e periferia  di Derek W. Urwin(1*v. Gottman, 1975, p. 29).

vedi anche:

Cosa accade nelle nostre periferie malate?

di Enzo Scandurra   15 Novembre 2014

Periferie.  Nelle analisi serie esse appaiono molto lontane dai pezzi  “città” suscettibili d’essere riscattati dal “rammendo” di qualche bravo architetto. Appaiono invece sempre più vicine a diventare parte del “pianeta degli slum”: lande di disperazione e miseria, recinti di emarginazione,  dominate dai sovrastanti elementi dell'”infrastruttura globale”.  Il manifesto, 15 novembre 2014

Oltre la trappola del territorio di Mauro Trotta   20 Maggio 2014 27  1
«Recinti urbani. Roma e i luoghi dell’abitare», è il titolo del libro di  Carlo Cel­la­mare, Roberto De Ange­lis, Mas­simo Ilardi ed Enzo Scan­durra per manifestolibri. «Un ter­ri­to­rio è dove si sta insieme tra esseri viventi e tra que­sti e la natura». Il manifesto, 20 maggio 2014