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I Lep differenziati per i ricchi rivelano i piani di secessione

di Pietro Spirito*

(l‘articolo è stato pubblicato sul Quotidiano del Sud il 26 settembre 2024)

Ora è tutto più chiaro. Il linguaggio soft utilizzato dalla Lega durante la discussione parlamentare sulla autonomia differenziata ha cambiato completamente registro subito dopo l’approvazione della legge Calderoli. L’avvisaglia di questo scartamento di rotaia, attraverso uno scambio nascosto, era già accaduta a pochi giorni dal voto parlamentare, quando i Presidenti delle principali Regioni del Nord si erano affrettati a scrivere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per chiedere l’immediata apertura della negoziazione sulle nove materie non Lep.

Ma quella mossa, rintuzzata dalla posizione di Forza Italia, la quale ha dichiarato che nulla dovesse essere attuato prima della approvazione dei livelli essenziali delle prestazioni, è stata solo l’antipasto di un linguaggio più crudo, che rende finalmente evidenti gli intenti secessionistici ed opportunistici di chi ha costruito un percorso di autonomia differenziata per cambiare completamente i connotati alla Repubblica ed ai suoi principi fondamentali.

Ormai è evidente come l’obiettivo vero della Lega, quello sostanziale, sia disfare l’Italia, come ho scritto in un libro uscito proprio in questi giorni. Nel retrobottega di una comunicazione politica apparentemente moderata, all’insegna della mera applicazione di ciò che prevede la riforma del Titolo V della Costituzione, si nasconde una clamorosa e profonda riscrittura delle caratteristiche cromosomiche delle nostre istituzioni.

Per andare in questa direzione è stata utilizzata la doppia leva del livello politico e del livello tecnico, mescolando abilmente le dosi tra queste due componenti. Alla sfera politica è stata lasciata la definizione di una legge procedimentale, di natura neutra, focalizzata essenzialmente sulla fissazione delle tappe attraverso le quali le Eegioni e lo Stato definiscono un mutamento sostanziale delle competenze esclusive in materie decisive per la vita della nostra collettività.

Tutta la sostanza davvero politica di questa riforma è stata messa nelle mani di commissioni tecniche, organismi apparentemente neutrali che, con camici bianchi in sala operatoria di chirurgia, vivisezionano, disarticolano e ricostruiscono le regole della cittadinanza.

La Lega, per operare questa inversione di senso, ha usato la figura retorica del chiasmo, secondo la definizione della Treccani, “consistente nell’accostamento di due membri concettualmente paralleli, in modo però che i termini del secondo siano disposti nell’ordine inverso a quelli del primo, così da interrompere il parallelismo sintattico”.

Alla politica è stata affidato il ruolo di maestro cerimoniere delle procedure, indossando l’abito talare bianco della applicazione della Costituzione, mentre alla tecnica è stata consegnata nelle mani la scelta sulla articolazione dei diritti di cittadinanza, principalmente attraverso la definizione dei livelli essenziali di prestazione. Questo giochino strumentale ha retto sinora, ma va fatto cessare, anche perché condiziona la vita futura dei cittadini della Repubblica. Riportare tecnica e politica nei ruoli corretti è la prima necessità che ci troviamo davanti.

Se questo giornale abbiamo già scritto che vanno scardinati i conflitti di interesse che sono presenti nella struttura delle commissioni tecniche, In particolare, ma non è l’unico caso, la professoressa Elena D’Orlando, oltre ad essere presidente della Commissione paritetica per le norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia,  è anche  presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard e componente del Comitato scientifico per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Casualmente, e per soprannumero, è stata anche consulente del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Di arbitri super partes che fanno in realtà i giocatori è già affollato questo Paese. Bisognerebbe cominciare a disboscare tale selva oscura.

In questi giorni si stanno discutendo le bozze che condurranno alla formulazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Il gruppo dei 12 presieduto da Sabino Cassese sta valutando di tenere in considerazione, nella costruzione dei Lep, il costo della vita e la densità di popolazione come requisiti chiave per ricevere le risorse finanziarie. Ad uscirne con le ossa rotte sono in particolare le Regioni meridionali guidate dal centro-destra, per una legge del contrappasso che molto probabilmente non sarà molto gradita agli altri partiti della maggioranza di governo: sono Molise, Abbruzzo e Basilicata ad uscirne con le ossa maggiormente rotte.

Attraverso la valutazione del costo della vita si torna peraltro all’antico tema delle gabbie salariali, un tema da anni Cinquanta del secolo passato. Dove sono i costi più alti devono arrivare più risorse. Si perde per questa via il tema più sostanziale delle diseguaglianze, vale a dire l’accesso alle prestazioni sociali e la effettività delle condizioni di vita. Concretamente saranno poste le Regioni più avvantaggiate da questi criteri di pagare con salari maggiori e differenziali i medici, gli insegnanti, gli infermieri, gli autisti, con l’effetto di approfondire i divari che già esistono.

Poi, impugnando la spada demografica, si danneggiano non solo le regioni meridionali, ma anche le aree interne che sono presenti nel Nord, accelerando quella desertificazione che sta già cambiando il volto del nostro Paese da diversi decenni a questa parte.  Oltretutto parrebbe che verranno prese in considerazione per la fissazione dei Lep  non solo le statistiche sulla attuale popolazione residente, ma anche le previsioni future, che indicano una significativa riduzione della popolazione nel Mezzogiorno e nelle aree interne.

Anche un bambino capirebbe che dimensionare le risorse alle prospettive di una desertificazione ottiene solo il risultato di accelerare il processo in corso, quando invece la Costituzione indica con chiarezza che si tratta di tendenza che vanno contrastate. John Mainard Keynes le chiamava profezie che si autoavverano. Ma è proprio questo, con ogni probabilità, l’obiettivo che i mandanti della commissione vogliono raggiungere. Indicatori differenziati per assegnare risorse a chi è più ricco è il tradimento della solidarietà nazionale.

Peraltro il documento in bozza prevede che “nella determinazione dei fabbisogni è necessario che il livello della prestazione e la platea potenziale vengano definiti dal decisore politico”. In base alla legge Calderoli non è previsto alcun passaggio, nemmeno di informazione, verso il Parlamento. Sarà il governo ad emanare i decreti delegati previo parere della conferenza stato regioni e delle competenti commissioni parlamentari. Insomma, il pallino tutto nelle mani dell’esecutivo, come prevede la legge 86/24 all’articolo 3, commi 1 e 2. La furbizia della commissione tecnica che rimanda al decisore politico affida sostanzialmente al mandante di questo lavoro tecnico una decisione già consolidata.

La rotta viene dunque tracciata con estrema chiarezza dal lavoro in corso, sia pure in bozza. Una commissione tecnica, piuttosto, se volesse restare tale, dovrebbe delineare differenti scenari da mettere a confronto, per lasciare al decisore politico effettivamente una scelta tra differenti modelli analizzati. Si definiscono invece indicatori differenziali, ma non nella direzione di ridurre i gradi di diseguaglianza presenti nel Paese, come indica la Costituzione, quanto piuttosto nell’accentuare le diseguaglianze. Le premesse della secessione stanno tutte nella direzione di marcia che sta prendendo questo lavoro, che di tecnico non ha davvero nulla. Ora viene il momento della verità.

Per quanto sta accadendo immediatamente a valle della approvazione della legge Calderoli si rafforzano le convinzioni di chi ha promosso il referendum abrogativo, perché il disegno di spezzare l’Italia, per usare l’espressione icastica di Francesco Pallante, ora è molto più trasparente. Si tratterà di capire anche come la prenderanno gli altri partiti di maggioranza, che portano peraltro nella loro denominazione politica il marchio di fabbrica dell’Italia.

*Pietro Spirito è un economista dei trasporti. Insegna Management delle Infrastrutture presso Universitss Mercatorum ed Economia Applicata all’Università Pegaso. Ha lavorato tra l’altro in Ferrovie italiane dello Stato, Interporto di Bologna, Atac, Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale. Recentemente (settembre 2024) ha pubblicato Disfare l’Italia. I disastri della autonomia regionale differenziata Guida Editori: Dopo l’approvazione della legge Calderoli sulla autonomia differenziata, è iniziata una battaglia politica sulla applicazione di questo provvedimento. È stato promosso un referendum abrogativo che ha raccolto un incredibile consenso, utilizzando per la prima volta anche lo strumento del voto elettronico. Il libro di Pietro Spirito spiega il contenuto del provvedimento, illustrando le 23 materie che compongono il possibile passaggio di poteri dallo Stato alle Regioni. Vengono inoltre analizzate in particolare le ricadute economiche sulle imprese, sul modello proprietario del capitalismo italiano e sulla fiscalità.

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

29 settembre 2024

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