I programmi elettorali del 2018 del M5S e del PD su: autonomia regionale differenziata
Autore : Redazione
Italia prima del risorgimento
Nel dibattito sui punti del nuovo Governo, evidenziamo il tema dell’autonomia regionale differenziata, già presente nel contratto con al Lega e riproposta nei “10 impegni da portare a compimento”, poi diventati 20 punti. Un tema che senz’altro troverà un’intesa con il Partito Democratico, visto che l’iniziativa è partita dal Governo Gentiloni e una delle tre regioni interessate è l’Emilia Romagna, governata dal centrosinistra. Una riforma che abbiamo già avuto modo di analizzare (*) e che, per quanto la si possa edulcorare, finirà con il dividere l’Italia in regioni più ricche e meno ricche, tra cittadini di serie A e di serie B. Il contrario di quanto è posto a fondamento della nostra Costituzione, per la quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge“, ed è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Leggendo il programma elettorale del Movimento Cinque Stelle del 2018 nel capitolo Affari-Costituzionali non è citata l’autonomia differenziata,ma ” innovazioni che trasferiscano alle Regioni e ai Comuni funzioni amministrative oggi detenute dallo Stato, riducendo gli apparati burocratici statali e facendo della Regione l’ente di raccordo fra lo Stato e i Comuni, nell’attuazione delle politiche pubbliche” .
(AMBM)
Per osservazioni e precisazioni:laboratoriocarteinregola@gmail.com
(*) Vedi A giorni si compirà l’ “autonomia differenziata” di alcune Regioni ricche dal resto del Paese, una sorta di “secessione dei ricchi” del 12 febbraio 2019
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Il punto 6 degli impegni per il Governo del 2019. Autonomia differenziata e riforma degli enti locali.
Va completato il processo di autonomia differenziata richiesta dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, istituendo contemporaneamente i livelli essenziali di prestazione per tutte le altre regioni per garantire a tutti i cittadini gli stelli livelli di qualità dei servizi.
Va anche avviato un serio piano di riorganizzazione degli enti locali abolendo gli enti inutili.
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Autonomia regionale, cosa c’era nel contratto con M5S -Lega del 2018
20. RIFORME ISTITUZIONALI, AUTONOMIA E DEMOCRAZIA DIRETTA
(…)Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attual- mente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà es- sere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infat- ti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta. Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza alregionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle colletti- vità locali.
Occorre garantire i trasferimenti necessari agli enti territoriali e una contestuale cessazione delle “politiche di tagli” compiute dagli ultimi Governi.
C’è ancora molto da fare per avvicinare le decisioni pubbliche ai citta- dini. Un modo che sembra suggerito anche dagli articoli 5 e 118 della Costituzione, consiste nel trasferire funzioni amministrative dallo Sta- to alle Regioni e poi ai Comuni secondo il principio di sussidiarietà.
In tale ambito, si intende rilanciare anche il disegno attuativo delle di- sposizioni costituzionali su Roma Capitale (art. 114 Cost.) con legge dello Stato. Verrà in tale modo sancito un nuovo Patto tra la Repubbli- ca e la sua Capitale, restituendole nuova e definitiva dignità.
Occorre inoltre utilizzare il modello dei “costi standard” per i servizi regionali e locali.
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Cosa diceva il programma M5S delle politiche 2018
scarica PROGRAMMA M5S 2018 Affari-Costituzionali
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Un decentramento migliore
Obiettivi
Riforma Art. 117 della Costituzione
Difendiamo l’impostazione della Costituzione del 1948 che, con riguardo all’organizzazione dei diversi livelli di governo in cui si articola l’organizzazione pubblica, ha stabilito che «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento» (art. 5).
Nel 2001, tuttavia, una riforma costituzionale varata dalla risicata maggioranza che sosteneva il Governo Amato, ha complicato i rapporti Stato-Regioni. Alle Regioni è stata devoluta una serie molto confusa di materie, che sono elencate nel nuovo art. 117 Cost., e così si è dato luogo a un esasperato contenzioso presso la Corte costituzionale, che da allora è stata chiamata a dirimere numerose controversie circa le rispettive competenze proprio tra lo Stato e le Regioni. Si potrebbe dunque migliorare la formulazione dell’articolo 117 Cost., per assegnare alle Regioni ben specifiche competenze legislative e lasciare il resto allo Stato.
Formazione del processo decisionale
Indipendentemente dalla riforma dell’articolo 117 della Costituzione, c’è ancora molto da fare per avvicinare le decisioni pubbliche ai cittadini. Un modo, che sembra suggerito dall’articolo 5 della Costituzione, consiste nel trasferire funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e poi ai Comuni. Lo Stato, infatti, deve continuare a legiferare ma non è necessario che si assuma anche la gestione dei servizi, degli uffici e del personale, che potrebbe, invece, essere assegnato alle Regioni e ai Comuni, che sono enti pubblici più direttamente controllabili dai cittadini.
Responsabilità politica e maggiore autonomia fiscale
Un altro modo per attuare il decentramento ed avvicinare i cittadini alla formazione del processo decisionale, è quello di intervenire sull’organizzazione del sistema fiscale. Oggi Regioni e Comuni spendono soldi raccolti, per lo più, dallo Stato attraverso l’imposizione fiscale, e poi redistribuiti ai livelli inferiori. Regioni e Comuni non sono dunque, per lo più, responsabili del prelievo fiscale, favorendo gli sprechi e la conseguente deresponsabilizzazione degli amministratori locali.
Proposte
Valorizzazione autonomie
Dalla votazione degli iscritti online in riferimento a questo tema sono emerse le seguenti linee guida:
-intervenire per la valorizzazione delle autonomie attraverso la legislazione ordinaria senza toccare nuovamente il Titolo V della Costituzione;
-applicare le norme costituzionali vigenti trasferendo alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative che possono essere meglio gestite nel loro livello territoriale attraverso la legislazione ordinaria;
-trasferire alle Regioni e agli enti locali una parte delle entrate fiscali dello Stato per l’espletamento delle funzioni amministrative ad esse attribuite.
Diverso orientamento Stato-Regioni
Per quel che concerne la riforma dell’art. 117 Cost., occorre tenere in considerazione che richiederebbe l’impiego di molto tempo e di molte risorse politiche. Inoltre, ritoccare la formulazione dell’art. 117 dopo più di quindici anni di applicazione e di giurisprudenza della Corte costituzionale, rischia di complicare ulteriormente le cose. Pensiamo, quindi, che si potrebbe orientare la legislazione dello Stato in senso più rispettoso nei confronti delle Regioni, anche senza una specifica riforma dell’art. 117 Cost.
Trasferimento funzioni amministrative
Ecco perché proporremo innovazioni che trasferiscano alle Regioni e ai Comuni funzioni amministrative oggi detenute dallo Stato, riducendo gli apparati burocratici statali e facendo della Regione l’ente di raccordo fra lo Stato e i Comuni, nell’attuazione delle politiche pubbliche.
Il programma del Partito Democratico del 2018
scarica il Programma PD2018-programma
(pag. 16 -17)
Una nuova idea del territorio, per competere
Nell’arco della prossima legislatura occorrerà costruire un nuovo patto tra i livelli di governo della Repubblica, fon- dato su un binomio inscindibile: vera autonomia in cambio di vera responsabilità. Un binomio che invece è mancato in questi venticinque anni di federalismo incompleto e confuso.
Le province devono diventare le “case dei comuni”, enti di secondo livello a cui vanno assicurate le risorse necessarie per l’esercizio delle funzioni essenziali rimaste e un adeguato livello di autonomia finanziaria e tributaria. Do- vranno diventare centri di servizi per i comuni, a partire dal ruolo di centrale unica di committenza, di autorità di regolamentazione locale per sistema idrico, rifiuti e gas, ma anche di soggetti che coordinano la partecipazione a bandi regionali, nazionali ed europei.
Sui comuni, durante i nostri governi, ci sono stati passi avanti importanti. È stato archiviato il Patto di stabilità interno, sostituito da una nuova e più flessibile regola del pareggio. È stato consentito l’utilizzo pieno degli avanzi impegnati e di circa 1 miliardo di avanzi liberi. Sono arri- vati importanti flussi di investimento statale per le no- stre periferie (2,1 miliardi di risorse, che ne hanno messe in circolo altrettanti) e per l’edilizia scolastica (circa 10 miliardi stanziati negli ultimi tre anni, di cui la metà già assegnati agli enti locali). Si è interrotta la stagione dei tagli alla spesa corrente e dei ritardi nell’approvazione dei bilanci. Sono state abolite tasse locali per 4,6 miliardi e ai comuni è stato restituito tutto fino all’ultimo centesimo. Dopo anni di blocco, si è riportato il turnover al 100% per la maggior parte degli enti. Sono stati triplicati gli incen- tivi alle fusioni dei comuni, il cui numero per la prima vol- ta dopo 60 anni è sceso sotto quota 8 mila, favorendo semplificazione, riduzione dei costi e aumento del livello di servizi. Allo stesso tempo, la legge sui piccoli comuni ha fornito le risorse per gli investimenti necessari a evitare lo spopolamento dei piccoli borghi.
I comuni vanno rafforzati, incentivandoli ad aggregarsi in ambiti territoriali omogenei (non più sulla base del solo criterio demografico), da individuare provincia per pro- vincia. Gli ambiti dovranno obbligatoriamente diventare luoghi di collaborazione tra comuni tramite unioni comu- nali che esercitino in forma associata almeno tre funzioni. Il passaggio alla fusione rimarrà volontario e soggetto a deliberazione dei consigli comunali e a referendum dei cittadini. E la politica di sostegno agli investimenti fatta in questi anni ha bisogno del suo “ultimo miglio”: possi- bilità piena di utilizzo degli avanzi di amministrazione per investimenti per comuni e province, parziale per le regioni.
Le città metropolitane, infine. In cui vivono 22 milioni di persone, e si concentra il 40% della ricchezza prodotta a li- vello nazionale, il 50% delle start up innovative e delle uni- versità, il 50% dei brevetti registrati, l’80% del consumo culturale e più di un terzo delle presenze turistiche nazio- nali. In questi loro primi anni di vita, hanno avuto difficoltà di natura economica e gestionale e sono state percepite come lontane dalle esigenze e dai bisogni dei cittadini. Per rilanciarle è necessario favorire la creazione di forum che riuniscano i rappresentanti delle parti sociali, economiche
e culturali, da consultare sugli orientamenti strategici, sul modello delle città metropolitane francesi. E bisogna prevedere una fiscalità propria che potrebbe es- sere legata all’esercizio della funzione della mobilità.
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