I sottotesti della campagna contro il distanziamento delle slot (e giocare soldi non è un gioco)
Autore : Redazione
“Donne in gioco“: un nome che induce a pensare a iniziative a favore delle donne, per la parità, contro la violenza o magari per lo sport al femminile. Anche il logo, con delle figure rosa shocking circondate da un nastro che sembra imprigionarle farebbe propendere per un risvolto femminista. Ma è solo uno “specchietto” che, insieme ad un’altra serie di slogan utilizzati nella comunicazione da una specifica categoria, cerca di attivare una predisposizione positiva nel lettore/interlocutore. Una “captatio benevolentiae” che gioca con le parole e i valori nei quali (quasi) tutti si riconoscono – prima fra tutte “legalità” – per pubblicizzare un “prodotto” che, se ci si sofferma a pensare solo un momento di più, è assai meno accettato.
Perchè le “Donne in gioco” appartengono alla categoria degli esercentiche nei locali dove si va a consumare un caffè, una birra o a comprare sigarette e marche da bollo hanno installato una o più slot machine, macchinette all’apparenza innocue che sono invece in grado di rovinare la vita delle persone, soprattutto delle più fragili, psicologicamente e economicamente, e soprattutto di ragazzi e anziani. Non ripeto qui quanto già illustrato con ineccepibili documentazioni nel webinar Fate la cosa giusta! No al rinvio delle misure regionali per il distanziamento delle slot machine! organizzato da Carteinregola il 13 giugno scorso (> guarda la registrazione), iniziativa che abbiamo promosso consapevoli delle fortissime pressioni in atto sui consiglieri regionali del Lazio affinchè una sacrosanta misura a tutela delle persone – il distanziamento delle macchinette mangiasoldi dai luoghi “sensibili” come scuole, ospedali, centri anziani, chiese ecc –, introdotta dalla legge regionale che dovrebbe entrare in vigore a fine agosto, venga rinviata per la seconda volta, annullandone così il valore politico e gli effetti sociali.
Mi interessa piuttosto evidenziare la “cassetta degli attrezzi” comunicativi presa a prestito da ben più nobili battaglie e utilizzata per sostenere gli interessi economici dei commercianti a scapito di quelli di tanti disperati.
Innnazitutto si sfrutta impropriamente la parola “gioco” e tutti i “frame” (1) collegati che per lo più hanno poco a che fare con il gioco d’azzardo, basti vedere l’ordine dei significati alla voce della Treccani (2): “Qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive“. Quindi giochi dell’infanzia, giochi di società, giochi sportivi… il gioco d’azzardo arriva dopo un bel pezzo, come sottocategoria di giochi “nei quali i giocatori rischiano denaro nella speranza di vincerne in maggiore quantità“. Invece nella narrazione degli operatori, come quella di SAPAR (3), a quanto pare corroborata da ricerche della Luiss business school, “il gioco è un bene ‘normale’ e un bene ‘necessario’, quindi parte del proprio tempo libero, ineliminabile dunque dal paniere dei consumi” (sic!), nonché “sinonimo di socialità e aggregazione”(4), mentre altrove è definito “normale attività ludica” e “intrattenimento” (5).
Eppure è davvero difficile, soprattutto se si pensa alla composizione sociale dei “giocatori” delle slot nei bar e nelle tabaccherie, associarli a “spensieratezza”, “divertimento”, “attività ludica”. Giocare denaro, soprattutto quando se ne ha poco e quando ci si affida alla sola fortuna, mi sembra assai poco allegro e divertente.
Significativo lo stile di comunicazione utilizzato per un evento di Donne in Gioco che si è tenuto il 19 luglio a Roma a piazzale Flaminio, che descrive come grande kermesse una iniziativa con musica a palla e un paio di artisti di strada che nelle intenzioni avrebbe dovuto “dare vita a una grande festa di comunità, un evento socio-culturale legato al tema del gioco pubblico, ai valori di legalità e tutela della salute“. Con un lancioche usa un linguaggio da battaglia per i diritti civili per sostenere il rinvio (o l’abolizione!) del distanziamento: “Oggi è il tempo della dignità, della parità, della legalità. Parole che racchiudono principi importanti. Eppure, questo è lo stesso tempo in cui subiamo una discriminazione unica nel suo genere“(6). Un rovesciamento orwelliano, che trasforma in discriminazione l’applicazione di una legge approvata dal Consiglio regionale a tutela delle vittime della ludopatia, e gli operatori del gioco d’azzardo in “simbolo della lotta all’illegalità con i nostri presidi di sicurezza sul territorio”, paladini che vogliono continuare a “tutelare, in primo luogo, tutti coloro che decidono di frequentare i nostri esercizi, perché il gioco resti per tutti solo intrattenimento“.
E le parole “legalità”, “gioco legale” sono ripetute ossessivamente in ogni comunicato e materiale informativo: in Lazio , qualche mese fa, è stato addirittura creato un Coordinamento delle sigle rappresentative del settore del gioco d’azzardo battezzato “alleanza per la legalità”. E’ chiaro l’intento di smussare la percezione negativa che può provocare la denominazione “gioco d’azzardo”, puntando sull’assunto che le macchinette nei bar intercettino una domanda che, in loro assenza, si trasferirebbe nel web, nel gioco “illegale”. Affermazione contraddetta da vari studi e statistiche – gli utenti “dal vivo” e quelli del web appartengono per lo più a categorie diverse e incompatibili -, ma è anche intuitivo che la stessa presenza fisica delle slot in luoghi di ritrovo o molto frequentati moltiplichi le occasioni e quindi le probabilità di per i più fragili di iniziare percorsi che possono portare al Gioco d’Azzardo Patologico (GAP).
Non mancano poi gli appelli ai posti di lavoro, che troppo spesso diventano una posticcia giustificazione anche di provvedimenti contrari all’interesse generale, oltretutto senza voler ricordare che non sarebbero gli esercizi nelle aree sensibili a chiudere – bar, tabaccherie, sale gioco – ma solo le slot ad essere rimosse: i baristi, i tabaccai, e i gestori delle sale gioco non perderebbero posti di lavoro ma solo introiti extra. E, come già detto in altre occasioni, i lavoratori delle ditte che noleggiano e fanno la manutenzione delle slot potrebbero essere sostenuti da altri ammortizzatori.
Purtroppo questa tipologia di comunicazione viene spesso rilanciata anche dalla stampa : domenica 17 luglio sul Messaggero è apparso un articolo che riprendeva molti argomenti e slogan degli operatori, definendo “bomba a orologeria” “dagli effetti devastanti” l’entrata in vigore del distanziamento a fine agosto, chiedendosi “come si fa, per esempio, in una città come Roma che di chiese ne ha più di mille?” e rispondendosi “semplice, non si può fare“. Comunicando che “la legge regionale del Lazio butterà via dal mercato legale l’85% dei punti vendita generalisti (tabacchi e bar) e il 95% di quelli specializzati (sale scommesse e sale slot)“. Con numeri che a Roma sarebbero ancora più consistenti, dove “anche se da 500 metri si passasse a 200 metri l’espulsione [solo delle slot machine, NDR] riguarderebbe quasi la metà dei punti”. Infine ciliegina sull’”ammanco per lo Stato di 900 milioni di gettito all’anno“. Nessun accenno a numeri e conseguenze sociali del gioco d’azzardo, legale e illegale, non una parola per le vittime di ludopatia e le loro famiglie.
Sarà per questo che oggi, 20 luglio, la testata pubblica un altro articolo, forse “riparatore” dopo le proteste degli enti e delle associazioni, con un’intervista a Antonello Giannelli, Presidente dell’Associazione nazionale dei Presidi, a Don Armando Zappolini, promotore della campagna “Mettiamoci in gioco”e a Maurizio Fiasco, Presidente di Alea (Associazione Scientifica per lo studio del Gioco d’Azzardo e dei comportamenti a rischio), che ci ricordano che “il gioco con le slot non è una droga in senso proprio ma sviluppa effetti analoghi” e che vengono buttati nel gioco “centodiecimiliardi solo nell’anno della pandemia” quando la chiusura delle sale e dei locali ha fatto registrare dati molto più bassi.
Intanto la battaglia mediatica continua, mentre dalla Regione Lazio non arrivano segnali sull’orientamento della maggioranza riguardo il rischio rinvio. A chi legge lascio il compito di fare una propria valutazione, soprattutto sugli atti che saranno approvati in proposito dalla Giunta e dal Consiglio regionale. Che raccontano molto di più della retorica e degli artifici della comunicazione.
Anna Maria Bianchi Missaglia
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
giòco (letter. giuòco) s. m. [lat. iŏcus «scherzo, burla», poi «gioco»] (pl. –chi). – 1. a. Qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive: g. infantili, i varî passatempi dei bambini; giochi all’aperto, quelli della corda, del salto, della palla, ecc.; giochi di società o di sala, quelli eseguiti per intrattenere persone riunite durante una festa e sim., consistenti spesso nel proporre quesiti da risolvere e imponendo penitenze a chi perde; g. enigmistici (v. enigmistico); giochi matematici, di vario tipo (problemi e indovinelli che si risolvono con calcoli matematici; aneddoti, scherzi, pseudodimostrazioni, aritmetiche e geometriche, che conducono a risultati assurdi grazie ad errori, a passaggi non leciti, celati abilmente; combinazioni e quadri di numeri che presentano inaspettate simmetrie e regolarità); giochi di prestigio, o di bussolotti, di mano, esercizî di destrezza fatti per diletto degli spettatori; con accezione più partic., g. di parole (calco del fr. jeu de mots), bisticcio, doppio senso, fondato sul contrasto di significato fra vocaboli o locuzioni di suono identico o simile, o sequenza di parole, promossa da intenzione umoristica o ironica, e rafforzata nei suoi effetti dalla genesi immediata e imprevista, che si vale di assonanze e associazioni per deviare l’attenzione da una sfera di significati serî e impegnativi a un’altra, più semplice, familiare e talora banale, o anche per rivelare il sottinteso inconscio di un discorso. Con sign. generico: fare un g.; prendere parte al g.; essere compagni di gioco; alternare il g. e lo studio; non pensa che al g.; è (non è) un g. da ragazzi, di cosa facile (o difficile) a farsi; mi pare un g., di cosa agevole, che non richiede fatica: Pareva facile giuoco Mutare in nulla lo spazio Che m’era aperto (Montale); prov., ogni bel g. dura poco (fig., gli scherzi prolungati danno fastidio). b. Competizione, gara (spesso sinon. di sport): il g. del calcio, del baseball, del golf, del tennis, ecc. Campo di gioco, il terreno dove si svolgono esercitazioni o competizioni sportive, spec. con la palla o il pallone: campo di g. pesante, allentato, molto bagnato e molle a causa della pioggia; nei servizî sociali, ambiente, generalmente all’aperto, attrezzato per le attività ricreative dei bambini e ragazzi sotto la guida e la sorveglianza di personale specializzato. Per la locuz. fuori gioco, più frequente in grafia unita, v. fuorigioco. c. ant. Festeggiamento, manifestazione di letizia: Vidi a lor giochi quivi e a lor canti Ridere una bellezza (Dante). d. Con riferimento all’antichità greco-romana, manifestazione ginnica, o anche rappresentazione, spettacolo (traduz. del lat. ludus): g. pubblici, g. funebri; g. olimpici, pitici, istmici, ecc.; g. circensi; g. scenici; letter., gioco di Marte, la battaglia, la guerra. Per analogia, g. olimpici, le gare che si disputano alle Olimpiadi moderne; in tale senso il termine si estende fino a comprendere tutte le specialità, anche quelle (atletica, ciclismo, pugilato, scherma, ecc.) per le quali non si ha comunem. sinonimia fra gioco e sport. e. Per estens. del sign. fondamentale, in etologia, l’insieme di azioni istintive e apprese con cui alcune specie di mammiferi e di uccelli sviluppano forme attive di apprendimento per lo più attraverso combinazioni di movimenti che simulano situazioni (caccia, lotta, ecc.) di importanza vitale per l’animale. 2. a. Pratica consistente in una competizione fra due o più persone, regolata da norme convenzionali, e il cui esito, legato spesso a una vincita in denaro (posta del g.), dipende in maggiore o minor misura dall’abilità dei singoli contendenti e dalla fortuna; per es., i varî g. di carte (briscola, scopa, tressette, bridge, poker, ecc.), i g. d’azzardo (roulette, baccarà, ecc.), nei quali i giocatori rischiano denaro nella speranza di vincerne in maggiore quantità, i g. da tavolo, o più propriam. da tavola (dall’ingl. board game), nei quali i giocatori muovono pezzi, pedine o segnaposti su un apposito tabellone, eseguendo su questo mosse o spostamenti (spesso in seguito al lancio di dadi) che, in base alle caselle di volta in volta occupate, impongono o consentono azioni (cattura o perdita di pezzi, soste, penalizzazioni, pagamenti, ecc.) in base alle regole del gioco stesso (la dama, gli scacchi, il backgammon, il gioco dell’oca, ecc.); molti giochi da tavolo sono anche esplicitamente g. di simulazione (v. simulazione), le cui regole ricalcano più o meno schematicamente (talora a scopo dichiaratamente didattico) situazioni e contesti reali nei quali occorre adottare strategie e tattiche «vincenti»: per es., i g. di guerra o war games; i giochi che simulano le operazioni di borsa o gli affari economici, ecc.; i g. di ruolo, giochi nei quali i partecipanti si calano nei panni di personaggi fantastici, avventurosi e sim. (con la stessa espressione si indica anche l’attività psicoterapica nella quale si inscena una situazione di vita quotidiana che richiede ai pazienti di impersonare un dato ruolo e di contribuire a risolvere, con l’adozione di opportune strategie di comportamento, i varî problemi che quel ruolo impone). (> vedi testo completo)
(3) Associazione Nazionale Sezioni Apparecchi Per Pubbliche Attrazioni Ricreative
(6) Oggi è il tempo della dignità, della parità, della legalità. Parole che racchiudono principi importanti. Eppure, questo è lo stesso tempo in cui subiamo una discriminazione unica nel suo genere.Siamo gli operatori del gioco pubblico, imprenditrici e imprenditori, lavoratrici e lavoratori, persone che hanno investito e lavorano in un settore che deve essere gestito al meglio per prevenire il gioco minorile e il Disturbo da gioco d’azzardo patologico (DGA).Lo sappiamo perché è il nostro lavoro, perché siamo madri e padri anche noi e vogliamo continuare a tutelare, in primo luogo, tutti coloro che decidono di frequentare i nostri esercizi, perché il gioco resti per tutti solo intrattenimento. Così come vogliamo essere simbolo della lotta all’illegalità con i nostri presidi di sicurezza sul territorio fatti di norme, tracciamenti, controlli.Dal 28 agosto, con l’entrata in vigore della legge regionale 5/2013, invece, più di mille imprese specializzate a conduzione familiare chiuderanno e quasi 5mila tra bar e tabacchi potrebbero entrare in crisi, andando ad aggiungersi alle oltre 100mila aziende a rischio fallimento censite dal Cerved per l’aumento dei prezzi di materie prime e gas.Il tutto per effetto di una legge retroattiva, che incide non solo sulle nuove aperture, ma anche sulle imprese esistenti, andando a violare quel principio di legittimo affidamento più volte ribadito dalla Corte Costituzionale e cancellando nel Lazio l’offerta di gioco pubblico e legale.Eppure, numerosi studi, compresa una recente indagine della Società di Psichiatria condotta proprio nel Lazio, hanno dimostrato quanto le distanze dai luoghi sensibili – il cosiddetto “distanziometro” – provochino effetti controproducenti proprio sui giocatori patologici e compulsivi.Il 19 luglio a Roma, in piazzale Flaminio, daremo vita a una grande festa di comunità, un evento socio-culturale legato al tema del gioco pubblico, ai valori di legalità e tutela della salute che animano ogni giorno il nostro impegno. Vi aspettiamo dalle ore 18.00 per confrontarci, per conoscerci, per comprendere insieme come il gioco possa e debba restare solo puro intrattenimento.Per questo, il nostro appello è al buon senso, vi esortiamo a dar vita a quei valori, quei principi di dignità, parità, legalità. Eliminate la retroattività!