Il dibattito aperto dalla presentazione della proposta di Regolamento sulle concessioni del patrimonio indisponibile e demaniale di Roma rappresenta, per decine di associazioni e di spazi autogestiti e per la città tutta, un’occasione attesa da tempo per voltare pagina in una città che di solidarietà, di cultura, di partecipazione ha e avrà sempre bisogno.
Occasione che abbiamo fin qui colto, benché le reti di spazi culturali, sociali e associativi, nonché un gran numero di singoli cittadini interessati al tema, abbiano denunciato, fin dall’inizio, il vizio d’origine del processo di approvazione del regolamento: l’assenza di un vero percorso di confronto e partecipazione alla scrittura delle nuove regole per la gestione del patrimonio pubblico.
Abbiamo partecipato in tanti e attivamente alle sedute della Commissione Patrimonio e Politiche Abitative, e delle altre Commissioni Capitoline coinvolte, nonché dei Consigli municipali chiamati a esprimere parere, dichiarando collettivamente – anche in un documento condiviso – quelle che riteniamo essere le criticità fondamentali del testo di regolamento presentato.
Oggi l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo rende però impossibile procedere nel confronto, tardivo ma necessario, tra le realtà associative e sociali della città e la cittadinanza e l’amministrazione capitolina.
Per questo nelle settimane passate abbiamo inoltrato ufficiale richiesta di sospensione dei lavori della Commissione Patrimoni di Roma Capitale e delle altre commissioni coinvolte.
È giunta puntuale la risposta affermativa del presidente Ardu, ma non vorremmo che con la pausa imposta dalla quarentena si perdesse l’urgenza che segnaliamo fin dall’insediamento della giunta Raggi: trovare strumenti adeguati per riconoscere, tutelare e valorizzare il tessuto sociale e associativo romano.
Pensiamo, viceversa, che questa pausa debba essere utilizzata appieno per lavorare a misure, annunciate e mai concretizzate, per chiudere definitivamente la penosa pagina della delibera 140, smentita sia dalle sentenze della Corte dei Conti che da recenti pronunciamenti del Tar del Lazio, e per poter ragionare in prospettiva, anche in relazione alla inevitabile trasformazione che le nostre vite e la nostra città subiranno durante e dopo l’emergenza.
A questo proposito, le criticità che rintracciamo nel regolamento riguardano sia la sua ispirazione e i suoi principi di fondo, improntati a finalità economiche più che a finalità sociali, sia le misure che non garantiscono alcuna tutela delle esperienze esistenti e degli immobili inutilizzati, né prospettano una efficace valorizzazione sociale ordinaria del Patrimonio, che sia in stretta correlazione con bisogni e potenzialità del tessuto territoriale. Pensiamo che, tanto più alla luce della crisi che stiamo vivendo, vadano affrontate e risolte.
L’attuale emergenza sanitaria, infatti, e le settimane che ci separano dalla sua risoluzione, ci offrono l’occasione di riflettere su temi non affatto slegati da quelli che in futuro Regolamento si pone di affrontare.
Il coro unanime che chiama all’unità nazionale contro il virus non può nascondere anni di politiche di austerity, che anche a Roma, hanno imposto il baratto delle infrastrutture pubbliche e collettive con un valore economico a prevalente vantaggio del privato.
Pensiamo che, alla fine di questa emergenza sanitaria globale, il dibattito sul rapporto tra pubblico e privato ne resterà segnato. Solo nei momenti di difficoltà riusciamo a discernere con maggiore chiarezza quali soggetti sociali servono il bene comune e quali no; dove regna indifferenza e speculazione e dove si fa strada il mutualismo, il senso di responsabilità e di comunità. Procedere nella miopia dei tagli e della valorizzazione economica a tutti i costi rischia di farci pagare un conto più salato nel futuro di quanto non lo sia già oggi a causa di politiche precedenti.
In questi stessi giorni, decine di esperienze autogestite, associazioni, spazi sociali – gli stessi che potrebbero essere colpiti da un Regolamento che cambia natura e finalità al “patrimonio pubblico indisponibile” – non solo hanno anticipato le misure di prevenzione emanate dal governo, ma stanno promuovendo forme di mutualismo e sostegno per le persone più vulnerabili, svolgendo fino in fondo la loro “funzione pubblica e sociale”, quella terza via del “comune” che si propone come una soluzione alternativa al privato e al pubblico istituzionale.
Crediamo che il dibattito e il confronto sul Regolamento del patrimonio pubblico indisponibile debba fare un salto di qualità, risultando all’altezza delle sfide epocali che questa crisi globale ormai conclamata sta imponendo a tutti gli attori sociali e istituzionali, sfide che riguardano la necessaria costruzione di un diverso modello di sviluppo, di consumo, di partecipazione democratica e di ruolo e funzioni del “pubblico”. A livello metropolitano, la scommessa è legata alla natura stessa e agli obiettivi sociali del patrimonio pubblico. E dovrà mettere al centro, una volta per tutte, il paradigma dei “beni comuni urbani”, fuori dalle logiche di mercato e di competizione selvaggia orizzontale, strettamente connessi ai bisogni, ai desideri, alla partecipazione delle comunità e dei territori che li animano.
In questo passaggio epocale di tutto abbiamo bisogno, fuorché di un confronto pubblico che parta dal considerare il patrimonio indisponibile “una fondamentale risorsa economica, strumentale a garantire l’autonomia finanziaria della comunità locale”, come recita la bozza di proposta. Questo incipit odioso è stato già cancellato dalla cronaca di questi giorni. Ripartiamo da un’altra prospettiva.
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
18 aprile 2020
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