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Applicazione del diritto ambientale comunitario: a che punto siamo

Da Lexambiente che rilancia un articolo di osservatorioagromafie.it pubblichiamo Applicazione del diritto ambientale comunitario: a che punto siamo di Gianfranco AMENDOLA

Premessa

Inquinamento zero, futuro sostenibile e tutela della biodiversità sono espressioni sempre più usate specie quando ci si rapporta al progredire dei danni provocati dai mutamenti climatici in atto. E, di frequente, ciò avviene per magnificare qualche iniziativa «ecosostenibile» anche se, poi, nessuno ci dice quale esito abbia avuto.

Appare, quindi, di particolare interesse esaminare, anche se succintamente, due recenti relazioni elaborate dalla Commissione UE alla fine del 2022: la prima per riferire sul « monitoraggio e sulle prospettive sull’“inquinamento zero: percorsi verso un’aria, un’acqua e un suolo più puliti per l’Europa” » (COM 2022, 674 final); e la seconda sulla « attuazione delle politiche ambientali 2022» nei Paesi della UE (COM 2022, 438 final) con specifico riferimento agli obiettivi adottati, appunto, nel piano d’azione per l’inquinamento zero, ove vengono definite tendenze comuni a livello dell’UE sulla base di 27 relazioni sui singoli Paesi che illustrano lo stato di avanzamento dell’applicazione del diritto ambientale dell’UE.

Tuttavia, a questo proposito, deve subito mettersi in evidenza che, in questi documenti, la Commissione si basa prevalentemente sulle notizie e sui dati che i singoli Stati membri le hanno fornito, senza operare su di essi alcun controllo particolare. E, pertanto, potrebbero non rispecchiare compiutamente la realtà effettiva.

Ciò premesso, rinviando all’esame integrale dei documenti per una analisi più approfondita, facciamo una rapida carrellata sulla situazione che da essi emerge:

Situazione UE fine 2022 per aria, rumore ed acqua

Nonostante i progressi compiuti, oltre il 10 per cento dei decessi prematuri nell’UE ogni anno è ancora riconducibile all’inquinamento ambientale. Ciò è dovuto principalmente agli alti livelli di inquinamento atmosferico, ma anche all’inquinamento acustico e all’esposizione a sostanze chimiche, anche se deve rilevarsi che l’inquinamento non è distribuito in modo equo in tutta l’UE. Così come le persone vulnerabili, tra cui i bambini, gli anziani e le persone che soffrono di asma o di altre malattie respiratorie o cardiovascolari, sono più sensibili all’esposizione all’inquinamento e le persone delle fasce socioeconomiche più basse tendono a essere esposte a livelli di inquinamento più elevati.

1) In particolare, con riferimento all’inquinamento atmosferico, la Commissione rileva che si sono ottenuti progressi concreti, riducendo del 45 per cento gli impatti nocivi sulla salute ad esso connessi (come le cardiopatie, il cancro e le malattie respiratorie), rispetto ai livelli del 2005, ma ciò nonostante, la situazione resta preoccupante a causa della diffusa inadempienza verso gli obblighi sanciti dalla politica comunitaria sia in relazione ad un corretto e completo monitoraggio della qualità dell’aria sia con riferimento all’attuazione di misure più rigorose, tra cui il passaggio a una mobilità sostenibile alimentata da energie rinnovabili e l’introduzione di tecniche agricole a basse emissioni, ad esempio, per la gestione del bestiame, degli effluenti di allevamento e dei fertilizzanti.

Va considerato, infatti che l’inquinamento atmosferico ha effetti dannosi anche per gli ecosistemi, principalmente attraverso l’acidificazione, l’eutrofizzazione e il danneggiamento dello strato di ozono, che determinano la perdita di biodiversità e la riduzione delle rese agricole e che l’esame delle proiezioni delle emissioni effettuato nel 2022 indica che oltre il 70 per cento degli Stati membri è ad alto rischio di mancato rispetto degli impegni relativi all’ammoniaca per il periodo 2020-2029 e dal 2030 in poi.

Peraltro, la Commissione rileva che, se si attuasse pienamente la normativa UE attuale e proposta, l’Unione ridurrebbe il numero di decessi prematuri dovuti all’inquinamento atmosferico di oltre il 55 per cento nel 2030 rispetto al 2005 1 e che circa la metà degli Stati membri è considerata ad alto rischio di mancato rispetto degli impegni di riduzione delle emissioni dal 2030 in poi in relazione agli ossidi di azoto (NOX), al particolato con diametro pari o inferiore a 2,5 µm (PM2,5) e ai composti organici volatili non metanici.

Ed è per questo che, laddove le reti di monitoraggio risultano inadeguate e i limiti sono stati superati in modo persistente, la Commissione ha sistematicamente avviato procedure di infrazione per i principali inquinanti, quali il particolato e il biossido di azoto e in alcuni casi la Corte di giustizia dell’UE ha già emesso sentenze di condanna.

Così come si rilevano ritardi nel recepimento delle prescrizioni applicabili agli impianti industriali. La Commissione ha avviato procedure di infrazione nei confronti di diversi Stati membri per non aver recepito correttamente la direttiva sulle emissioni industriali e la direttiva Seveso-III.

2) Passando all’inquinamento acustico, la Commissione evidenzia che il rumore ambientale è la seconda causa di decessi prematuri dopo l’inquinamento atmosferico, con 48.000 nuovi casi di malattie cardiache l’anno nell’UE anche se i danni alla salute, sono rimasti piuttosto stabili dal 2012.

Tuttavia, sembra improbabile in questa fase che si raggiunga l’obiettivo di ridurre il numero di persone che soffrono di disturbi dovuti al rumore dei trasporti del 30 per cento entro il 2030 (rispetto al 2017) in quanto le stime attuali indicano che la cifra non diminuirà di oltre il 19 per cento, a meno che l’azione rafforzata dell’UE in tutti i settori di trasporto pertinenti non porti a un’ulteriore importante riduzione dell’inquinamento acustico e gli Stati membri intervengano più decisamente: ad esempio, con l’emanazione e l’applicazione di norme più severe in materia di rumore per i trasporti, migliorando i veicoli e il loro funzionamento e riducendo significativamente il traffico stradale e i limiti di velocità nelle città.

3) Passando al settore delle acque, la Commissione rileva che i tassi complessivamente elevati di conformità agli standard di inquinamento delle acque potabili e di balneazione dell’UE (rispettivamente > 99 per cento e > 93 per cento) sono incoraggianti anche se, come vedremo, i progressi verso il conseguimento di un buono stato dei corpi idrici sono lenti. Ciò è dovuto a una combinazione di fattori: mancata fissazione delle condizioni di riferimento per la caratterizzazione dei corpi idrici, valutazione incompleta delle pressioni, monitoraggio insufficiente delle acque (motivo per cui non si conosce lo stato dei corpi idrici), valutazioni dell’impatto delle attività sui corpi idrici eseguite in modo non corretto, esenzioni non sufficientemente giustificate 2 . Alcuni Stati membri non hanno ancora adottato gli strumenti necessari per far fronte al problema, nello specifico i piani di gestione dei bacini idrografici ; allo stesso modo, gli Stati membri sono tenuti ad adottare tempestivamente i rispettivi piani di gestione del rischio di alluvioni. Con riferimento alle acque reflue urbane, la Commissione evidenzia che, nonostante la disponibilità di fondi dell’Unione, l’attuazione delle norme UE in materia di trattamento dei nitrati ha proceduto lentamente a causa di una pianificazione e di infrastrutture inadeguate e che, nonostante siano stati fatti dei passi avanti, in molti Stati membri le acque reflue urbane non sono ancora raccolte e trattate come dovrebbero; per questo motivo la maggior parte di essi è tuttora oggetto di procedure di infrazione e alcuni sono stati condannati a pagare sanzioni pecuniarie.

Situazione rifiuti

Per quanto riguarda i rifiuti, le ultime statistiche indicano che la loro produzione totale è diminuita del 4 per cento tra il 2010 e il 2020. Per quanto riguarda i rifiuti urbani residui, non è stata rilevata alcuna variazione significativa dal 2016. Allo stesso tempo, negli ultimi dieci anni i rifiuti di imballaggio sono aumentati del 19 per cento. Come in altri settori, il deficit di attuazione delle misure esistenti e l’incapacità di affrontare alcune fonti di inquinamento sono le ragioni principali dei limitati progressi compiuti. Inoltre la presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti continua a ostacolare il riciclaggio dei materiali e i progressi verso questi obiettivi sono stati lenti.

Scendendo nel particolare, la prevenzione dei rifiuti rimane una sfida importante in tutti gli Stati membri, anche in quelli con tassi di riciclaggio elevati. La tendenza si muove nella direzione sbagliata, dato che nell’UE la produzione di rifiuti urbani è aumentata dal 2014, passando da una media di 478 kg pro capite a 505 kg; solo cinque Stati membri hanno registrato una riduzione rispetto al 2014.

Quanto al riciclaggio, il conseguimento dell’obiettivo per il 2020 del 50 per cento di preparazione per il riutilizzo/riciclaggio dei rifiuti urbani resta particolarmente problematico, come evidenziato nelle segnalazioni preventive del 2018. Così come, nonostante alcuni progressi, non si è ancora giunti all’adempimento degli obblighi di base della direttiva quadro sui rifiuti e della direttiva sulle discariche di rifiuti (chiusura delle discariche illegali, bonifica e trattamento dei rifiuti prima del collocamento in discarica). La Commissione sta attualmente portando avanti procedure di infrazione contro dodici Stati membri (fra cui l’Italia) per il mancato rispetto della direttiva sulle discariche. Sfortunatamente alcuni Stati membri sono indietro su entrambi i fronti: sono lontani dal conseguimento degli obiettivi di riciclaggio e sul loro territorio sono ancora presenti discariche non conformi. Di conseguenza presentano lacune di attuazione più gravi rispetto al resto dell’UE.

In proposito, la Commissione sottolinea che sono necessari seri sforzi non solo per raggiungere gli obiettivi dell’UE già previsti per i rifiuti, ma anche per costruire le infrastrutture di base e abbandonare pratiche di gestione dei rifiuti improduttive e spesso illegali.

Occorrono ulteriori azioni per migliorare il potenziale di riciclabilità delle materie plastiche, dei materiali da costruzione e dei prodotti tessili.

Peraltro, per i rifiuti di plastica e le microplastiche la raccolta e l’analisi relative al periodo 2015-2020 sono ancora in fase di completamento e non è possibile fornire un calcolo consolidato e condiviso della tendenza a livello europeo. Ma la Commissione ricorda che, in base alle leggi dell’UE, alle ambizioni del Green Deal e in sinergia con altre iniziative, entro il 2030 l’UE dovrebbe ridurre del 50 per cento i rifiuti di plastica in mare, del 30 per cento le microplastiche rilasciate nell’ambiente, del 50 per cento i rifiuti urbani residui, e in modo significativo la produzione totale di rifiuti.

Situazione biodiversità

La biodiversità nell’UE continua a diminuire, e mostra tendenze in peggioramento. Tra gli habitat nelle condizioni più precarie nell’UE vi sono prati seminaturali, torbiere e paludi. Le foreste sono in estrema difficoltà e la maggior parte degli Stati membri deve ancora accelerare gli sforzi per completare le rispettive reti Natura 2000. Nonostante una riduzione nell’ultimo decennio, tra il 2012 e il 2018 il consumo netto di suolo nell’UE-27 era ancora pari a 83,8 m 2 /km.

Più in particolare, i limiti di inquinamento dell’UE per proteggere la biodiversità sono stati ampiamente superati. In base ai dati del 2015 il 23 per cento dei quasi 10.000 corpi idrici sotterranei e il 59 per cento dei quasi 100.000 corpi idrici superficiali dell’UE non raggiungono ancora il «buono stato chimico». Sulla scorta dei dati del 2018, l’80 per cento dell’area marina dell’UE non raggiunge ancora il «buono stato ecologico» in relazione ai contaminanti. Tredici Stati membri hanno presentato il loro 3° piano di gestione dei bacini idrografici (RBMP) entro la fine di ottobre 2022. Da un’analisi preliminare emerge una situazione sostanzialmente stabile rispetto al 2° RBMP, in particolare per lo stato chimico delle acque sotterranee. Lo stato ecologico e chimico delle acque superficiali è più eterogeneo: alcuni Paesi mostrano segni di miglioramento, mentre altri segnalano un deterioramento della qualità

Le foreste, come già accennato, sono soggette a una pressione enorme. Del 27 per cento della superficie forestale dell’UE protetta a norma delle direttive UE in materia di natura, meno del 15 per cento presenta uno stato di conservazione favorevole. È invece aumentato il numero di habitat forestali che presentano un cattivo stato di conservazione. Natura 2000 comprende siti di importanza comunitaria (SIC) designati a norma della direttiva Habitat e zone di protezione speciale (ZPS) classificate a norma della direttiva Uccelli. Sebbene le disposizioni delle direttive Habitat e Uccelli siano ben note e consolidate da tempo, diversi Stati membri non hanno ancora designato zone speciali di conservazione o stabilito obiettivi e misure di conservazione. La maggior parte degli Stati membri deve accelerare gli sforzi per completare la propria rete Natura 2000, in particolare per l’ambiente marino.

In prospettiva, la Commissione evidenzia che la biodiversità e gli ecosistemi possono trarre grande beneficio da profondi miglioramenti della politica agricola comune (PAC) complessiva e dai nuovi piani strategici della PAC per il periodo 2023-2027, dal sostegno alla gestione dei prati seminaturali, dalla protezione dei servizi ecosistemici e dagli sforzi per reintrodurre gli elementi caratteristici del paesaggio nelle zone dove sono andati perduti

Economia circolare

Nonostante abbiano quasi tutti predisposto strategie e piani d’azione nazionali per l’economia circolare, gli Stati membri presentano ancora notevoli differenze tra i tassi di produttività delle risorse e quelli di utilizzo dei materiali circolari 3. A fronte di una media UE del 12,8 per cento, l’uso di materiali secondari oscilla dall’1,3 per cento in Romania al 30,9 per cento nei Paesi Bassi. Lo stesso vale per la produttività delle risorse, dove la media UE è di 2,09 EUR/kg, ma i valori nazionali vanno da 0,3 EUR/kg in Bulgaria a 5,89 EUR/kg nei Paesi Bassi

L’impronta dei materiali, ossia la domanda mondiale di estrazioni di materiali innescata dall’uso e dagli investimenti da parte di imprese, nuclei domestici e autorità pubbliche dei Paesi europei, è molto elevata, pari a 13,7 tonnellate pro capite nel 2020. Nel complesso, gli impatti ambientali associati alla produzione e al consumo dell’UE sono elevati e non sostenibili: superano già di gran lunga la quota dell’UE nell’ambito di vari limiti planetari.

E pertanto la Commissione sottolinea che occorrono ulteriori azioni per migliorare il potenziale di riciclabilità delle materie plastiche, dei materiali da costruzione e dei prodotti tessili. Diciassette Stati membri su ventisette devono adottare misure per aumentare il tasso d’uso di materiali circolari. Tanto più che, come già evidenziato, in alcuni Stati membri il problema delle discariche non conformi alle norme è ancora una realtà da fronteggiare; e venti Stati membri devono ancora varare i piani nazionali e/o regionali di gestione dei rifiuti e i programmi di prevenzione dei rifiuti.

Clima

Il livello generale di attuazione della legislazione sul clima è buono in tutta l’UE; l’importante in questa fase è concordare e attuare il pacchetto di misure per conseguire l’obiettivo del -55 per cento stabilito nella normativa sul clima per il 2030 . Tuttavia, occorre intensificare gli sforzi di adattamento in ciascuno Stato membro e a livello dell’UE per far fronte alla difficile realtà dell’aumento dell’impatto climatico.

Più in particolare, nel 2020 le emissioni interne di gas a effetto serra dell’UE-27, comprese quelle prodotte dal trasporto aereo internazionale, sono diminuite del 31 per cento rispetto al 1990, raggiungendo il livello più basso degli ultimi trenta anni. Se si includono le emissioni e gli assorbimenti dal settore LULUCF4, la riduzione delle emissioni nette è pari al 34 per cento. L’UE ha quindi ampiamente superato l’obiettivo previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC) di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990.

Dal 2013, quando è stato varato il sistema dicondivisione degli sforzi per i settori non inclusi nell’ETS 5 (quali trasporti, industria non ETS, edilizia, agricoltura e rifiuti), le emissioni a livello di Unione si sono mantenute ogni anno al di sotto del limite complessivo. Più in particolare, nel 2019 le emissioni a livello di UE-27 contemplate dalla decisione sulla condivisione degli sforzi sono state inferiori quasi dell’11 per cento rispetto al 2005. L’obiettivo per il 2020 (-8 per cento) era quindi stato raggiunto e superato già prima della crisi della COVID-19. Nel periodo 2013-2018 tutti gli Stati membri hanno ottemperato agli obblighi imposti loro dalla decisione sulla condivisione degli sforzi. Alcuni di loro hanno dovuto attivare i meccanismi di flessibilità previsti dalla normativa per adempiere i loro obblighi attuali.

Inquinamento industriale

La Commissione si occupa in particolare anche della direttiva sulle emissioni industriali, che riguarda circa 52.000 impianti agroindustriali in tutta l’UE, presentando nuovi dati per il 2018; e per la prima volta prende in considerazione le emissioni nell’acqua oltre che nell’aria: attualmente gli impianti soggetti alla direttiva sulle emissioni industriali emettono il 20 per cento di tutti gli inquinanti rilasciati nell’atmosfera e una percentuale analoga di quelli nell’acqua. Si stima che nel 2017 i danni alla salute e all’ambiente causati dall’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali europei fossero quantificabili in 277-433 miliardi di EUR, di cui il 50 per cento, secondo la Commissione è attribuibile a circa 200 impianti. Peraltro, nel riesame del 2022 vengono presentati per la prima volta i dati di attuazione della direttiva Seveso-III, la quale mira a controllare il pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, in particolare le sostanze chimiche, e contribuisce agli sforzi di riduzione del rischio di disastri tecnologici. A questo proposito, la Commissione evidenzia che la direttiva Seveso si applica a circa 12.000 impianti industriali, e ritiene che ha contribuito a ridurre la frequenza degli incidenti rilevanti, aggiungendo che la direttiva è ampiamente considerata un punto di riferimento per le politiche in materia di incidenti industriali ed è stata presa a modello per le normative di molti Paesi in tutto il mondo.

Conclusioni principali

In questo quadro, di particolare interesse si presentano alcune conclusioni della Commissione. Essa, infatti, premette che le tre crisi ambientali concomitanti – inquinamento, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità – sono profondamente interdipendenti e che il passaggio a un modello economico pulito, circolare e a impatto climatico zero sta diventando sempre più urgente, sia per l’UE sia per il resto del mondo. Tale passaggio, tuttavia, è ostacolato da diversi fattori, tra cui l’attuale crisi economica ed energetica causata dalla guerra in Ucraina e la persistenza della pandemia di COVID-19, per cui alcune misure di riduzione e controllo dell’inquinamento stanno fallendo a causa delle interruzioni della catena di approvvigionamento. Occorre, quindi, trovare dei modi per superare queste criticità, ad esempio aumentando l’autonomia strategica aperta dell’UE e accelerando in modo significativo la diffusione dell’energia rinnovabile pulita.

Peraltro, la Commissione evidenzia che le disuguaglianze nei livelli di inquinamento sono elevate e colpiscono le fasce più vulnerabili della società. E, se è vero che nel complesso, i livelli di inquinamento stanno diminuendo in diversi settori, ad esempio per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico o da pesticidi, è altrettanto vero che persistono altri problemi di inquinamento, ad esempio nel settore dell’inquinamento acustico e di quello da nutrienti: per questi settori il raggiungimento degli obiettivi di inquinamento zero del 2030 non è garantito e la transizione verde e digitale deve pertanto accelerare, intervenendo, in primo luogo, sulle carenze evidenziate dalle relazioni in esame, ad iniziare dalle lacune individuate in materia di conoscenze e di dati (ad esempio sull’inquinamento del suolo) e dalla carente attuazione della normativa comunitaria. Occorre, infatti, migliorare il monitoraggio « perché i dati sono il punto di partenza dei cambiamenti di rotta e dei futuri processi decisionali: per ovviare alle carenze nell’attuazione delle politiche ambientali occorre una solida base di evidenze che consenta di calcolare la “distanza dal traguardo”, individuare gli ostacoli e le possibili opzioni e monitorare l’efficacia delle soluzioni scelte ». A questo proposito, la Commissione evidenzia anche che, nonostante i miglioramenti nell’attuazione della direttiva Inspire, in particolare in Estonia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovenia e Spagna, resta difficile per la maggior parte degli Stati membri garantire una migliore condivisione dei dati, che offrirebbe più trasparenza al pubblico e sosterrebbe l’attuazione delle politiche ambientali. Ed aggiunge che « garantire un accesso effettivo alla giustizia a livello nazionale è essenziale per l’attuazione del diritto ambientale », di modo che i cittadini possano adire gli organi giurisdizionali al fine di impugnare decisioni, atti od omissioni, in particolare nei settori della pianificazione relativi ad acque, natura e/o qualità dell’aria. In altri termini, « un migliore accesso del pubblico alle informazioni sull’ambiente e una maggiore divulgazione di tali informazioni contribuiscono a sensibilizzare rispetto alle questioni ambientali e a garantire una partecipazione più efficace dei cittadini al processo decisionale, oltre a giovare all’ambiente stesso »; e, in parallelo, occorre garantire che « l’accesso effettivo alla giustizia in materia ambientale non sia ostacolato da costi eccessivi ». Così come occorre sviluppare migliori meccanismi di coordinamento ambientale per quei Paesi, come Ungheria, Italia, Lussemburgo e Spagna, nei quali « la frammentazione regionale e locale resta una sfida per la governance ambientale».

In questo contesto, la Commissione raccomanda di pianificare in anticipo e determinare correlazioni e implicazioni: prima di prendere decisioni che hanno un impatto sull’ambiente, è opportuno valutare sistematicamente tutti gli aspetti ambientali rilevanti al fine di individuare ulteriori soluzioni integrate per i settori interessati, stanziando tempestivamente risorse adeguate per evitare costi maggiori più avanti: non possiamo aspettarci una rapida attuazione delle norme ambientali se i responsabili non dispongono del personale, delle risorse, dell’organizzazione o della formazione necessari: non a caso, « l’analisi effettuata nel presente riesame ha rilevato che in molti Stati membri esiste ancora un divario significativo tra fabbisogno e finanziamenti ».

Alcune osservazioni sulla situazione italiana

In questo quadro generale deve essere inserito anche un documento di lavoro dei servizi della Commissione, allegato alla relazione sul riesame dell’attuazione delle politiche ambientali, il quale sintetizza alcuni punti con riferimento alla situazione del nostro Paese.

Esso ricorda preliminarmente le «sfide principali individuate per l’Italia sul fronte dell’attuazione della politica e del diritto dell’UE in materia ambientale»:

– migliorare la gestione dei rifiuti urbani, in particolare riducendo il conferimento in discarica e aumentando la raccolta differenziata dei rifiuti nelle Regioni meridionali;

– migliorare il trattamento delle acque reflue urbane effettuando investimenti nelle strutture adibite a tale scopo;

– ridurre le emissioni di particolato (PM10 e PM2,5) e di biossido di azoto (NO2) riducendo la congestione del traffico e la combustione di biomassa;

– designare i restanti siti marini Natura 2000 come zone speciali di conservazione (ZSC), stabilire e raggiungere gli obiettivi di conservazione specifici per sito e garantire che la rete sia gestita in modo efficace;

– migliorare l’efficienza con cui vengono impiegati i finanziamenti per l’ambiente.

Subito dopo evidenzia che, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni nella gestione dei rifiuti urbani, in particolare con l’aumento stabile e costante del riciclaggio e del compostaggio, il settore italiano dei rifiuti continua a presentare notevoli carenze, come si evince da diverse procedure di infrazione avviate nei confronti dell’Italia 6.

Nell’ambito della rete Natura 2000 restano ancora da designare alcune zone speciali di conservazione marine ed è necessario migliorare lo stato di conservazione degli habitat e delle specie di interesse dell’Unione, attraverso una migliore pianificazione degli investimenti.

Per quanto concerne la qualità dell’aria, l’Italia ha compiuto progressi limitati nella riduzione delle emissioni complessive, tanto è vero che nel 2020 sono proseguiti i considerevoli superamenti dei valori limite tanto per il PM10 quanto per l’NO2. In proposito, la Commissione osserva che « si possono compiere progressi anche attraverso un maggior spostamento del carico fiscale dal lavoro verso le basi imponibili ambientali e di altra natura, compresa la graduale eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente ».

Per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche italiane, si sono registrati progressi limitati e pertanto sono necessari più investimenti. Più in particolare « occorre risanare i punti critici nell’Italia settentrionale caratterizzati dall’alta concentrazione di nitrati, mentre nel Lazio bisogna migliorare la qualità dell’acqua potabile », tenendo anche conto che « l’elevato consumo di acqua, in particolare nel settore agricolo, desta preoccupazioni nelle Regioni meridionali ».

Quanto alle risorse finanziarie, la Commissione ricorda che « il PNRR sosterrà cospicui investimenti nella pianificazione dell’uso del suolo (per ridurre l’impermeabilizzazione del suolo), nel controllo delle alluvioni, nella riduzione delle perdite e nel trattamento delle acque reflue urbane (…) »e chel’Italia riceverà oltre 190 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti per attuare il suo PNRR (2021-2026) e 42 miliardi di euro dalla politica di coesione (2021-2027). « Secondo le stime, i finanziamenti complessivi dell’Italia per investimenti a favore dell’ambiente nel periodo 2014-2020 sono stati pari allo 0,48 per cento del PIL annuo (meno della media UE dello 0,7 per cento); di questi, l’80 per cento proveniva da fonti nazionali. Nel complesso si stima che il fabbisogno di investimenti ambientali per il prossimo periodo raggiungerà almeno lo 0,67 per cento del PIL italiano annuo: si profila dunque una carenza di investimenti pari a oltre lo 0,19 per cento del PIL, da colmare concentrandosi sulle priorità nazionali di attuazione delle politiche ambientali ».

1 Aggiunge la Commissione che, in termini di anni di vita persi ogni 100.000 abitanti nell’UE-27, il totale è passato da 820 (2015) a 762 (2019) per il PM2,5 e da 157 (2015) a 99 (2019) per il NO2. Tuttavia in numerosi Stati membri i valori limite per tali inquinanti vengono superati di continuo e sono attentamente monitorati dalla Commissione.

2 Per quanto riguarda la direttiva sulle acque di balneazione, nel complesso nell’UE si registrano tassi elevati di prestazioni eccellenti o buone, pur con marcate differenze tra gli Stati membri

3 I tassi di produttività esprimono l’efficienza con la quale un’economia utilizza le risorse ai fini della produzione, mentre i tassi di utilizzo dei materiali circolari misurano la quota di materiali recuperati e reimmessi nell’economia.

4 Si fa riferimento al pacchetto clima presentato da Bruxelles a luglio 2016: il regolamento stabilisce un quadro giuridico per le emissioni (e rimozioni) di gas serra nel settore « Land Use, Land Use Change and Forestry», da cui l’acronimo LULUCF e si propone di integrare le attività dei settori LULUCF nel quadro della strategia per il 2030. Nella pratica ciò significa contabilizzare le emissioni rilasciate (ad esempio dalla deforestazione o dall’agricoltura) e quelle rimosse (attraverso la cattura della CO 2 nel suolo e nella vegetazione). La proposta prevede un impegno vincolante per ogni Stato membro al fine garantire che la prima voce sia interamente compensata dalla seconda.

5 L’European Union Emissions Trading Scheme EU ETS è il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra e rappresenta il principale strumento dell’UE per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 nei principali settori industriali e nel comparto dell’aviazione. Il Sistema ETS è stato introdotto e disciplinato nella legislazione europea con la direttiva 2003/87/CE (direttiva ETS), ed è entrato in vigore il 1° gennaio 2015. Le direttive ETS sono state recepite nell’ordinamento italiano con vari decreti: attualmente, il decreto vigente è il d.lgs. 9 giugno 2020, n. 47 che recepisce le modifiche apportate dalla direttiva (UE) 2018/410 alla direttiva 2003/87/CE.

6 Tra queste figurano la causa relativa alle discariche e il “caso Campania”, soggetti alle ammende comminate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. L’importo totale delle sanzioni pecuniarie relative ai rifiuti e alle risorse idriche inflitte dalla Corte di giustizia dell’Unione europea dal 2015 ha superato i 620 milioni di EUR

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

8 marzo 2023

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