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Associazioni e Comitati contro Franceschini. Un “no” forte e chiaro a chi vuole introdurre la speculazione edilizia nei Centri storici

il fatto quotidiano 15 8 2020 interv. FranceschiniPubblichiamo la risposta di tanti cittadini, comitati*, associazioni e soprattutto intellettuali e studiosi –  Vittorio Emiliani, Francesco Scoppola, già direttore generale delministero dei Beni culturali, Adriano La Regina, Vezio De Lucia, Ebe Giacometti, presidente di Italia Nostra,  e tanti altri –  alle dichiarazioni del Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini in un’intervista a “Il Fatto quotidiano” sulla possibilità di inserire nuovi interventi architettonici nei centri storici. In calce l’articolo di Tomaso Montanari  su Il fatto “Bell’Italia, cartoline da un Paese sfregiato” da cui prende spunto  l’intervista al  Ministro e un commento di Giovanni Losavio.

*tra i firmatari  anche soci e comitati della Rete di Carteinregola

(da Emergenzacultura 21 agosto 2020)

Associazioni e Comitati contro Franceschini. Un “no” forte e chiaro a chi vuole introdurre la speculazione edilizia nei Centri storici

È in atto da qualche tempo un rinnovato attacco alla integrità delle nostre città storiche che a migliaia rappresentano un patrimonio storico-artistico di valore unico al mondo risalente agli Etruschi, ai Greci, ai Romani, ai Celti, e ad altri popoli come i Longobardi. Patrimonio costruito per millenni con l’impiego ininterrotto degli stessi materiali, legno, pietra, arenaria, marmo, laterizi crudi e cotti, fino al primo ‘900. Fino ad una “rottura” anche ideologica avvenuta quando si sventrano i centri storici e li si ricostruisce con cemento, vetrocemento, ecc. si raddrizzano le strade, si creano vere autostrade urbane. Liberamente fino al “no”, nel 1951, di tanti intellettuali ad un colossale sventramento, pensato negli anni del regime, da piazza del Popolo a piazza di Spagna e alla costituzione nel 1955 di Italia Nostra. Dopo ci sono state altre “mani sulla città”, con danni assai gravi e però con forti opposizioni e senza effetti distruttivi definitivi. Tuttavia l’idea del “moderno” dentro le città storiche sembra non tramontare mai.

“Perché fermarsi?”, si è chiesto infatti il ministro Dario Franceschini intervenendo sul “Fatto” del 15 agosto, “Perché non integrare con arte e architettura contemporanee, frutto della creatività di grandi maestri e di giovani talenti italiani? Perché non accettare che un lavoro di grande qualità possa colmare ad esempio un vuoto di un nostro centro storico? (…) Perché essere contro tutto ciò che innova e usa?” Dove non ci sono vincoli – è la sua tesi – il Ministero, le Soprintendenze devono poter autorizzare inserti contemporanei importanti. Magari di archistar, ovviamente. Un brutto film già visto e una tesi, a nostro avviso, quanto mai pericolosa, dal momento che riteniamo da decenni che l’integrità, salvaguardata con tanta fatica delle nostre città storiche, sia invece il loro elemento distintivo, positivo naturalmente, in tutta Europa e nel mondo.

Per contro le nostre migliaia di centri storici sono vincolati molto episodicamente (tranne Urbino entro le mura roveresche), la stessa Venezia è in queste condizioni. La stessa Roma, sito Unesco, è vincolata a macchia di leopardo. Tant’è che la Regione Lazio ha “invaso” Roma e i Villini della Città di Nathan con sue norme che ne “gonfiano” e alterano misure e cubature e il MiBACT si è meritoriamente opposto estendendo i vincoli statali. Insisterà su tale linea di tutela dopo la presa di posizione “concettuale”, strategica del ministro appena citata? Oppure cederà?

Dal 1960 esiste e opera la Carta di Gubbio, aggiornata nel 1980 e seguenti, firmata da Antonio Cederna, Manieri Elia, Samonà, Bottoni e da numerosi Comuni italiani, la quale fissa princìpi rigorosi di conservazione. Ripresi e sviluppati poi dagli interventi attivi realizzati nella città storica di Bologna, col piano di Pier Luigi Cervellati, sindaco Guido Fanti, e in altre città negli anni ’80, con una forte eco positiva, anche internazionale. Una legge nazionale di tutela dei centri storici è stata poi tentata da Walter Veltroni ministro, ma non è andata in porto. Ora il disegno di legge organico elaborato da Vezio De Lucia per la Bianchi Bandinelli – scritto con il contributo decisivo dello stesso Cervellati – è alla Camera (Stefano Fassina e altri) e a Senato (Michela Montevecchi e altri 5 Stelle).

Nonostante tutto, nonostante il loro svuotamento demografico, i frequenti sfregi dovuti agli abusi e il tentativo di trasformarli in una sorta di Disneyland per il turismo di massa, i nostri centri storici hanno mantenuto i caratteri ormai perduti in giro per l’Europa. Mentre da noi hanno fatto e fanno la fortuna del turismo culturale se esso non diventa, come sta purtroppo diventando, “turismo di occupazione” tanto veloce quanto onnivoro. Per questo chiediamo con grande energia che i fondamenti della Carta di Gubbio e delle nostre migliori esperienze di recupero, restauro e riuso edilizio a fini residenziali, per ogni ceto sociale, – come il modello Bologna– vengano ripresi e attuati con una legge nazionale. Essa deve tuttavia impegnare le Regioni a non snaturare coi Piani Casa il patrimonio faticosamente salvato dalle “mani sulla città” del fascismo, del dopoguerra, del “boom” edilizio ed ora dalla saldatura in una sola figura fra proprietario-costruttore-venditore che sta divorando, inarrestabile, suoli e paesaggi del Bel Paese e ora cerca nuovi spazi speculativi nei centri storici.

Desideria Pasolini dall’Onda fondatrice di Italia Nostra
Rita Paris, archeologa, Ass. R. Bianchi Bandinelli
Ebe Giacometti, restauratrice, Italia Nostra, presidente nazionale
Vittorio Emiliani, Comitato per la Bellezza, presidente
Adriano La Regina, archeologo, Lincei, già Sopr. Archeologia Roma
Francesco Scoppola, architetto restauratore, già direttore gen. MiBAC e sopr. Regionale Marche
Jadra Bentini, già Soprintendente BSA Province Bo-Fe-Fo-Ra-Rn
Pier Luigi Cervellati, urbanista, autore Piano Bologna Centro Storico
Vezio De Lucia, urbanista, autore legge Centri Storici alle Camere
Paolo Berdini, urbanista, saggista
Michele Achilli, urbanista, ex-parlamentare, saggista
Gaia Pallottino, responsabile coordinamento Comitati Residenti Centro Storico Roma
Maria Pia Guermandi, archeologa, Emergenza Cultura
Luigi Manconi, sociologo, presidente “A buon diritto” Onlus
Andrea Costa, presidente Comitato Roma Capitale 1870
Carlo Troilo, saggista, Comitato Roma Nuovo Secolo
Cristiana Mancinelli Roma Salviamo il Paesaggio
Maria Immacolata Macioti, docente di Sociologia, La Sapienza
Mirella Di Giovine, architetto, paesaggista
Sonia Marino
Mirella Belvisi, direttivo sez. di Roma di Italia Nostra
Cristina Lattanzi, cons. nazionale Italia Nostra e ass. Tutela e ambiente Eur
Paolo Gelsomini, presidente Ass. Progetto Celio
Anna Cometti, Ass. Progetto Celio
Paolo Salonia, cons. Icomos e Ass. Vivere Ponte Milvio
Ginanima Greco, Ass. Progetto urbano San Lorenzo
Massimo Marnetto, pres. Ass. Motus
Fabio Alberti
Anna Maria Ceci
Gennaro Ferrillo
Marina Fresa
Stefania Ganz
Marcello Paolozza
Riccardo Picciafuoco
Fulco Pignatti
Anna Maria Bianchi, ambientalista
Marina Foschi, architetto, già pres. Italia Nostra Emilia-Romagna
Luciana Prati, già dir. Raccolte Civiche Forlì, Italia Nostra
Roma Salviamo il Paesaggio
Stefania Ganz, architetto
Riccardo Picciafuoco, architetto
Gennaro Ferrillo
Altro Modo Flegreo APS e Comitato SiP Pozzuoli (NA)
Pino Coscetta, giornalista scrittore
Giorgio Amadio
Piero Filotico
Maria Spina
Associazione Gentes Quartiere Giuliano Dalmata Olimpia Mastroianni
Danilo Ruggiero
Giancarlo Storto
Wanda De Angelis
Maria Pia Rosati
Dina Nascetti, Comitato Vivere Trastevere
Filippo Lancellotti, Associazione Roma è la mia città
Flaminia Borghese Associazione Piazza Navona e dintorni
Luca Ronchi del Comitato residenti Rione Monti

 

Bell’Italia, cartoline da un Paese sfregiato

di Tomaso Montanari

È Cicerone a ricordarci come l’immane razzìa artistica di Verre, il corrottissimo governatore della Sicilia, ispirò agli sveglissimi ragazzi di Siracusa un lavoro (certo precario, come per i loro discendenti di oggi): quello dei mistagoghi, le guide che conducevano i turisti del 70 a.C. nell’allucinante tour di un patrimonio ferito.

Se un turista di oggi volesse rendersi conto di cosa sia l’Italia potrebbe attraversare il cratere sismico nel cuore del Paese, dove sole e neve continuano a massacrare affreschi scoperti; visitare l’Aquila, con la sua cintura di borghi ancora abbandonati in macerie; sbirciare nelle chiese monumentali che a Napoli continuano a crollare, Venezia che continua a morire…

Ebbene, partiamo proprio da Venezia: simbolo vagheggiato di una possibile rinascita che del Covid facesse tesoro, riportando il popolo tra le pietre antiche e i canali. Popolo: non milionari in gita. E invece tutto il contrario: «lo scorso giugno – ha scritto Paola Somma – Invimit ha presentato una proposta progettuale preliminare, a firma dello studio di architettura di Gian Paolo e Giovanna Mar, padre e sorella dell’attuale assessore al turismo Paola Mar, per un quartiere “di edilizia residenziale priva di vincoli convenzionali”, quindi privata». Quattordici ettari di «lusso sostenibile per riqualificare Venezia» (così il sindaco Brugnaro). Nulla dunque è cambiato: a Venezia (come a Firenze) il ‘distanziamento sociale’ è una realtà dettata non dalla pandemia, ma dal dominio del mercato. Lo dimostrano tanti altri pessimi segnali: come il progetto irresponsabile di un pontile per i ‘lancioni’ (torpedoni d’acqua per il turismo di massa) installato alle Fondamenta Nuove, cioè in uno dei pochi quartieri della città dove ancora i residenti resistono. Come dire: il colpo di grazia.

Come in un’atroce sintesi, Venezia contiene ed esalta tutti i moventi delle tante ‘piccole’ distruzioni che i moderni mistagoghi dell’Italia potrebbero accompagnarci a vedere, percorrendo la Penisola da nord a sud.

Potrebbero agevolmente rendersene conto i turisti che, dalla Laguna, percorressero verso nord gli antichi domini della Serenissima, risalendo fino alle pendici delle Dolomiti e visitando così il superbo centro storico di Feltre, città romana e poi splendido principato ecclesiastico medievale. Qua il Comune ha deciso di ‘segnare’ uno dei luoghi simbolo, il Belvedere, con una modernissima tettoia che funga da terminale per ascensori turistici: un manufatto così evidentemente respingente che il progetto stesso prevede di camuffarlo con un improbabile profluvio di verde. La dinamica è quella tipica dell’‘Italia del fare’ (non importa se fare male): un’amministrazione priva di rudimenti culturali preme per la sua piccola-grande opera, la soprintendenza finisce per cedere alle pressioni (in questo caso arrivando a raccomandare che le inserzioni moderne «abbiano caratteristiche tali da evitare, o quanto meno ridurre al minimo, l’interferenza con le strutture antiche»: cioè, per favore schiacciate l’archeologia il meno possibile…) e un piccolo gruppo di cittadini che hanno a cuore il bene comune provano ad opporsi, constatando (così su questo caso Italia Nostra di Belluno) «come spesso, con la pretesa di valorizzare, si tolga al “bene” la sua essenza».

Da oriente a occidente, dalla montagna al mare: Liguria, l’incanto della terra verticale che sprofonda fino all’insenatura perfetta di Camogli, con tutta la grazia che fa unica l’Italia. Ma in questo agosto i turisti più attempati possono alternare alla spiaggia la classica panchina con vista cantiere: si sventra infatti il magnifico centro del paese, nell’area dello scalo ferroviario passata di recente al comune (grande questione nazionale, a partire a Milano), per ottenere fino a 500 posti auto interrati, senza guadagnarne neanche uno rispetto a quelli oggi possibili in superfice e devastando per sempre l’area pubblica di fronte al teatro Sociale, con la storica prospettiva tra corso Garibaldi e il palazzo del Comune. La logica è la stessa: Grandi Opere (naturalmente in scala) come unica via per lo sviluppo dell’economia locale, non importa a quale prezzo ambientale.

Scendiamo verso sud, attraversando Emilia e Toscana: un tempo esempi di buongoverno, oggi asservite alla ‘valorizzazione’ intesa come messa a reddito.

Faenza, città medioevale dal doppio cuore di Piazza del Popolo e Piazza della Libertà. Da tempo si discute del come rendere accessibile, nella prima, la grande sala dell’Arengo nel Palazzo del Podestà. Sanissimo obiettivo: che il Comune pensa però di raggiungere con un pessimo strumento, l’erezione di una oscena torre per attrezzature tecniche che dovrebbe essere giustapposta al corpo medioevale del Palazzo, compromettendo in modo insensato un monumento amatissimo. Italia Nostra ha chiesto ufficialmente al Ministero per i Beni Culturali di sottoporre questo incredibile esempio di ‘mala valorizzazione’ ai comitati congiunti per le Belle Arti e il Paesaggio: per ora invano.

La Toscana non se la cava meglio. Se esiste un simbolo della fiera coscienza del bene comune che animava le città orgogliosamente indipendenti del Medioevo, quel simbolo sono le mura, che leggi ed editti imponevano di conservare e mantenere rigorosamente pubblica. Invece, la giunta di Lucca sta per regalare a privati il Baluardo San Paolino e un tratto delle celebri mura rinascimentali della città, per costruirvi un collegamento con il parcheggio dell’ex-Manifattura Tabacchi, in via di conversione residenziale. Insomma, le mura – bene civico per eccellenza – potrebbero trasformarsi presto in parcheggio e giardino di alcuni. E qua i nostri mistagoghi potrebbero spiegare al turista che è l’idea stessa di Italia ad essere sparita: restando al suo posto solo quella speculazione edilizia che pure, si rilegga il romanzo che le dedicò Italo Calvino, è un’antica tentazione degli italiani. Sempre in Toscana, nell’incantata San Quirico d’Orcia, è il meraviglioso giardino storico degli Horti Leonini a preoccupare, perché una potatura fuori stagione e fuori regola ordinata dal Comune rischia di distruggerne per sempre i connotati: come un intervento di chirurgia plastica mal riuscito. I presidenti di numerose associazioni ambientaliste hanno scritto al ministro Franceschini, facendogli notare «che i lecci in questione sono secolari e che avrebbero meritato dunque una valutazione attenta ed analitica e quantomeno l’intervento di una ditta specializzata nel verde, anziché di un’impresa che lavora ai manti stradali», e chiedendogli di «salvare il salvabile».

Più si scende a sud, e più la situazione diventa drammatica.

Arrivati al Sud l’itinerario dello sfascio potrebbe impegnare mistagoghi e turisti in un viaggio senza fine. Ma c’è un episodio che nella sua crudezza riassume forse tuti gli altri.

A Giugliano, in Campania, il 10 luglio scorso è stata distrutta per sempre una masseria settecentesca: le ruspe hanno cancellato questo pezzo di storia per costruire 48 appartamenti con piscina. Nemmeno edilizia popolare, dunque: ma finte villette per abbienti. Lusso (in)sostenibile: come a Venezia.  Ora i soliti comitati – quelli liquidati con tanto fastidio dalla politica, eppure così indispensabili perché dell’Italia rimanga qualcosa –  stanno cercando di salvare almeno la vicina chiesa di San Francesco che, «sommersa dai rovi e circondata dai rifiuti, nonostante il crollo del soffitto – scrive Italia Nostra – conserva ancora la sua struttura originaria, la volta affrescata e gli stucchi, entrambi di notevole pregio. Ad oggi, tuttavia, non sussiste alcuna certezza né in merito alla sua sopravvivenza né in merito a quella delle altre testimonianze del patrimonio rurale storico che ancora insistono sul territorio: esposte alle intemperie, sono minacciate anche da scellerati interventi di “ristrutturazione edilizia” per effetto delle disposizioni dei “piani casa” regionali che permettono scempi in tutto il Paese, o di norme urbanistiche comunali noncuranti della storia dei territori».

Un filo rosso lega tutti questi scempi, attuati o minacciati che siano: ed è una malintesa idea di ‘valorizzazione’. Per mettere a reddito, per spremere, per trivellare ancora un po’ i famosi pozzi del ‘petrolio’ italiano, rischiamo seriamente di distruggerli. Per questo un viaggio del genere è davvero istruttivo: per farci capire qual è la posta in gioco, cosa rischiamo di perdere se non ricominciamo a pensare il paesaggio e il patrimonio italiani in modo sostenibile. Volevamo un mondo nuovo: proviamo a cominciare da qui.

E quando parliamo di ‘cultura’ ricordiamo che non esistono solo i Grandi Musei con i loro Grandi Influencer e i loro Grandi Incassi. Ci stiamo dimenticando che il nostro corpo collettivo vive e respira lontano dalle biglietterie museali: nelle piazze, nei piccoli borghi, sulle mura, nei giardini come quelli colpiti dai pochi esempi che ho riunito, ognuno dei quali meriterebbe una lunga analisi e una accorata denuncia. Esiste anche questo corpo martoriato dell’Italia: il nostro corpo. Da curare, da amare.


(da Emergenzacultura Articolo pubblicato in versione ridotta su “Il Fatto Quotidiano”, 15 agosto 2020)

Bell’Italia, cartoline da un Paese sfregiato

di Tomaso Montanari

È Cicerone a ricordarci come l’immane razzìa artistica di Verre, il corrottissimo governatore della Sicilia, ispirò agli sveglissimi ragazzi di Siracusa un lavoro (certo precario, come per i loro discendenti di oggi): quello dei mistagoghi, le guide che conducevano i turisti del 70 a.C. nell’allucinante tour di un patrimonio ferito.

Se un turista di oggi volesse rendersi conto di cosa sia l’Italia potrebbe attraversare il cratere sismico nel cuore del Paese, dove sole e neve continuano a massacrare affreschi scoperti; visitare l’Aquila, con la sua cintura di borghi ancora abbandonati in macerie; sbirciare nelle chiese monumentali che a Napoli continuano a crollare, Venezia che continua a morire…

Ebbene, partiamo proprio da Venezia: simbolo vagheggiato di una possibile rinascita che del Covid facesse tesoro, riportando il popolo tra le pietre antiche e i canali. Popolo: non milionari in gita. E invece tutto il contrario: «lo scorso giugno – ha scritto Paola Somma – Invimit ha presentato una proposta progettuale preliminare, a firma dello studio di architettura di Gian Paolo e Giovanna Mar, padre e sorella dell’attuale assessore al turismo Paola Mar, per un quartiere “di edilizia residenziale priva di vincoli convenzionali”, quindi privata». Quattordici ettari di «lusso sostenibile per riqualificare Venezia» (così il sindaco Brugnaro). Nulla dunque è cambiato: a Venezia (come a Firenze) il ‘distanziamento sociale’ è una realtà dettata non dalla pandemia, ma dal dominio del mercato. Lo dimostrano tanti altri pessimi segnali: come il progetto irresponsabile di un pontile per i ‘lancioni’ (torpedoni d’acqua per il turismo di massa) installato alle Fondamenta Nuove, cioè in uno dei pochi quartieri della città dove ancora i residenti resistono. Come dire: il colpo di grazia.

Come in un’atroce sintesi, Venezia contiene ed esalta tutti i moventi delle tante ‘piccole’ distruzioni che i moderni mistagoghi dell’Italia potrebbero accompagnarci a vedere, percorrendo la Penisola da nord a sud.

Potrebbero agevolmente rendersene conto i turisti che, dalla Laguna, percorressero verso nord gli antichi domini della Serenissima, risalendo fino alle pendici delle Dolomiti e visitando così il superbo centro storico di Feltre, città romana e poi splendido principato ecclesiastico medievale. Qua il Comune ha deciso di ‘segnare’ uno dei luoghi simbolo, il Belvedere, con una modernissima tettoia che funga da terminale per ascensori turistici: un manufatto così evidentemente respingente che il progetto stesso prevede di camuffarlo con un improbabile profluvio di verde. La dinamica è quella tipica dell’‘Italia del fare’ (non importa se fare male): un’amministrazione priva di rudimenti culturali preme per la sua piccola-grande opera, la soprintendenza finisce per cedere alle pressioni (in questo caso arrivando a raccomandare che le inserzioni moderne «abbiano caratteristiche tali da evitare, o quanto meno ridurre al minimo, l’interferenza con le strutture antiche»: cioè, per favore schiacciate l’archeologia il meno possibile…) e un piccolo gruppo di cittadini che hanno a cuore il bene comune provano ad opporsi, constatando (così su questo caso Italia Nostra di Belluno) «come spesso, con la pretesa di valorizzare, si tolga al “bene” la sua essenza».

Da oriente a occidente, dalla montagna al mare: Liguria, l’incanto della terra verticale che sprofonda fino all’insenatura perfetta di Camogli, con tutta la grazia che fa unica l’Italia. Ma in questo agosto i turisti più attempati possono alternare alla spiaggia la classica panchina con vista cantiere: si sventra infatti il magnifico centro del paese, nell’area dello scalo ferroviario passata di recente al comune (grande questione nazionale, a partire a Milano), per ottenere fino a 500 posti auto interrati, senza guadagnarne neanche uno rispetto a quelli oggi possibili in superfice e devastando per sempre l’area pubblica di fronte al teatro Sociale, con la storica prospettiva tra corso Garibaldi e il palazzo del Comune. La logica è la stessa: Grandi Opere (naturalmente in scala) come unica via per lo sviluppo dell’economia locale, non importa a quale prezzo ambientale.

Scendiamo verso sud, attraversando Emilia e Toscana: un tempo esempi di buongoverno, oggi asservite alla ‘valorizzazione’ intesa come messa a reddito.

Faenza, città medioevale dal doppio cuore di Piazza del Popolo e Piazza della Libertà. Da tempo si discute del come rendere accessibile, nella prima, la grande sala dell’Arengo nel Palazzo del Podestà. Sanissimo obiettivo: che il Comune pensa però di raggiungere con un pessimo strumento, l’erezione di una oscena torre per attrezzature tecniche che dovrebbe essere giustapposta al corpo medioevale del Palazzo, compromettendo in modo insensato un monumento amatissimo. Italia Nostra ha chiesto ufficialmente al Ministero per i Beni Culturali di sottoporre questo incredibile esempio di ‘mala valorizzazione’ ai comitati congiunti per le Belle Arti e il Paesaggio: per ora invano.

La Toscana non se la cava meglio. Se esiste un simbolo della fiera coscienza del bene comune che animava le città orgogliosamente indipendenti del Medioevo, quel simbolo sono le mura, che leggi ed editti imponevano di conservare e mantenere rigorosamente pubblica. Invece, la giunta di Lucca sta per regalare a privati il Baluardo San Paolino e un tratto delle celebri mura rinascimentali della città, per costruirvi un collegamento con il parcheggio dell’ex-Manifattura Tabacchi, in via di conversione residenziale. Insomma, le mura – bene civico per eccellenza – potrebbero trasformarsi presto in parcheggio e giardino di alcuni. E qua i nostri mistagoghi potrebbero spiegare al turista che è l’idea stessa di Italia ad essere sparita: restando al suo posto solo quella speculazione edilizia che pure, si rilegga il romanzo che le dedicò Italo Calvino, è un’antica tentazione degli italiani. Sempre in Toscana, nell’incantata San Quirico d’Orcia, è il meraviglioso giardino storico degli Horti Leonini a preoccupare, perché una potatura fuori stagione e fuori regola ordinata dal Comune rischia di distruggerne per sempre i connotati: come un intervento di chirurgia plastica mal riuscito. I presidenti di numerose associazioni ambientaliste hanno scritto al ministro Franceschini, facendogli notare «che i lecci in questione sono secolari e che avrebbero meritato dunque una valutazione attenta ed analitica e quantomeno l’intervento di una ditta specializzata nel verde, anziché di un’impresa che lavora ai manti stradali», e chiedendogli di «salvare il salvabile».

Più si scende a sud, e più la situazione diventa drammatica.

Arrivati al Sud l’itinerario dello sfascio potrebbe impegnare mistagoghi e turisti in un viaggio senza fine. Ma c’è un episodio che nella sua crudezza riassume forse tuti gli altri.

A Giugliano, in Campania, il 10 luglio scorso è stata distrutta per sempre una masseria settecentesca: le ruspe hanno cancellato questo pezzo di storia per costruire 48 appartamenti con piscina. Nemmeno edilizia popolare, dunque: ma finte villette per abbienti. Lusso (in)sostenibile: come a Venezia.  Ora i soliti comitati – quelli liquidati con tanto fastidio dalla politica, eppure così indispensabili perché dell’Italia rimanga qualcosa –  stanno cercando di salvare almeno la vicina chiesa di San Francesco che, «sommersa dai rovi e circondata dai rifiuti, nonostante il crollo del soffitto – scrive Italia Nostra – conserva ancora la sua struttura originaria, la volta affrescata e gli stucchi, entrambi di notevole pregio. Ad oggi, tuttavia, non sussiste alcuna certezza né in merito alla sua sopravvivenza né in merito a quella delle altre testimonianze del patrimonio rurale storico che ancora insistono sul territorio: esposte alle intemperie, sono minacciate anche da scellerati interventi di “ristrutturazione edilizia” per effetto delle disposizioni dei “piani casa” regionali che permettono scempi in tutto il Paese, o di norme urbanistiche comunali noncuranti della storia dei territori».

Un filo rosso lega tutti questi scempi, attuati o minacciati che siano: ed è una malintesa idea di ‘valorizzazione’. Per mettere a reddito, per spremere, per trivellare ancora un po’ i famosi pozzi del ‘petrolio’ italiano, rischiamo seriamente di distruggerli. Per questo un viaggio del genere è davvero istruttivo: per farci capire qual è la posta in gioco, cosa rischiamo di perdere se non ricominciamo a pensare il paesaggio e il patrimonio italiani in modo sostenibile. Volevamo un mondo nuovo: proviamo a cominciare da qui.

E quando parliamo di ‘cultura’ ricordiamo che non esistono solo i Grandi Musei con i loro Grandi Influencer e i loro Grandi Incassi. Ci stiamo dimenticando che il nostro corpo collettivo vive e respira lontano dalle biglietterie museali: nelle piazze, nei piccoli borghi, sulle mura, nei giardini come quelli colpiti dai pochi esempi che ho riunito, ognuno dei quali meriterebbe una lunga analisi e una accorata denuncia. Esiste anche questo corpo martoriato dell’Italia: il nostro corpo. Da curare, da amare.


Articolo pubblicato in versione ridotta su “Il Fatto Quotidiano”, 15 agosto 2020

(da Emergenzacultura 21 agosto 2020) Controreplica al ministro. Cederna spiegato a Franceschini

di Giovanni Losavio

Chiamato a dir la sua sui casi di malatutela documentati da Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano di ferragosto, il Ministro Franceschini dopo il riconoscimento d’obbligo del ruolo di vigilanza di associazioni e studiosi ne fissa subito il limite. Perché il rispetto (doveroso si intende) del lavoro delle soprintendenze “significa accettare la loro scelta sia quando esteticamente la si condivide che quando non la si condivide”.

Linguaggio che affida l’esercizio della tutela a scelte discrezionali orientate dal soggettivo apprezzamento estetico, essenzialmente incontrollabile, quando invece la funzione dell’articolo 9 della costituzione si fonda sugli obbiettivi principi dettati dal codice dei beni culturali che ha tradotto in norme vincolanti gli esiti della aggiornata cultura della conservazione e del restauro. Che si oppone agli innesti modernizzanti sul testo autentico e fosse pure giunto a noi incompiuto, ma così non intende il Ministro che rivendica il diritto dei moderni di “aggiungere, integrare con arte e architettura contemporanea, frutto della creatività di grandi maestri o giovani talenti italiani”.

E rispolvera l’argomento (lo si credeva travolto dalla Carta di Gubbio e siamo negli anni 60 del Novecento) che legittima gli inserti nei centri storici secondo il linguaggio di oggi, perché stanno “in quella linea di sovrapposizione di epoche che rende uniche al mondo le nostre città”.

Non v’è ragione di opporsi allora alla Loggia di Isozaki che vale a rendere a noi contemporaneo quel luogo nel “cuore di Firenze” (“non è stata nei secoli contemporanea ogni cosa quando è stata costruita?”) e si legittima perché “vincitrice di un concorso cui hanno partecipato i più grandi architetti”. Sfugge al Ministro che quell’intervento che monumentalizza l’uscita dal museo degli Uffizi (insulso francamente, in sé, il proposito) intende porre rimedio al non finito del prospetto retrostante della nobile fabbrica vasariana, un’operazione di completamento che sarebbe severamente censurata come inammissibile manomissione di un dipinto o di una scultura (ut pictura architectura) ed è vietata dalla Carta del Restauro, non eludibile neppure per concorso internazionale.



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