Autonomia Differenziata, la memoria della Banca d’Italia
Autore : Redazione
Pubblichiamo la Memoria della Banca d’Italia ssul Disegno di legge C 1665 consgenata alla Camera dei deputati – I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) il 27 marzo 2024
Disegno di legge C 1665 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”
Memoria della Banca d’Italia
Roma, 27 marzo 2024
La Banca d’Italia ringrazia la I Commissione della Camera dei deputati per l’invito a esprimere le proprie considerazioni sul disegno di legge C 1665 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.
La presente memoria riepiloga dapprima gli aspetti salienti del disegno di legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata alla luce degli emendamenti approvati dal Senato; si sofferma poi su alcuni aspetti che meritano particolare attenzione, richiamando le considerazioni di tipo tecnico contenute nelle memorie depositate il 19 giugno e il 30 ottobre 2023 rispettivamente presso la Commissione affari costituzionali del Senato e la Commissione parlamentare per le questioni regionali (1).
1. Sintesi del provvedimento e principali emendamenti
Il disegno di legge sull’autonomia differenziata definisce la cornice per l’attuazione dell’art. 116, comma 3, specificando gli aspetti procedurali e indicando alcuni principi di carattere generale per le questioni di merito. Il provvedimento è stato approvato in prima lettura dal Senato lo scorso 23 gennaio con una serie di emendamenti rispetto al testo originario.
La Costituzione prevede che l’attribuzione di “forme e condizioni particolari di autonomia” sia oggetto di un negoziato fra la Regione richiedente e lo Stato. Il DDL stabilisce la sequenza delle tappe necessarie per giungere alla stipula delle intese (formulazione di uno schema di accordo preliminare, trasmissione alla Conferenza unificata e alle Commissioni bicamerali, predisposizione del testo definitivo) e ne fissa le scadenze; il percorso si conclude con una legge, a cui è allegata l’intesa definitiva, approvata a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere.
Le intese bilaterali hanno durata non superiore ai dieci anni e si rinnovano automaticamente, salvo diversa volontà espressa dallo Stato o dalla Regione interessata almeno dodici mesi prima della scadenza; esse possono essere modificate, su iniziativa di una delle due parti, applicando la medesima procedura prevista per la loro approvazione.
Rispetto alla versione originaria del provvedimento il Senato ha aggiunto alcune condizioni per la definizione degli accordi: (i) le Camere (e la Conferenza unificata) devono essere informate prima che la procedura abbia inizio; (ii) ai fini dell’avvio delle trattative si tiene conto del quadro finanziario della Regione richiedente; (iii) il negoziato deve procedere per singole materie (o ambiti di materie) nei casi in cui siano ravvisabili livelli essenziali delle prestazioni (LEP); (iv) il Presidente del Consiglio dei ministri può escludere dal negoziato alcune delle materie richieste dalla Regione, qualora ravvisi l’esigenza di tutelare “l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie” (art. 2, secondo comma).
I tempi per l’esame degli atti prodotti nelle singole fasi della procedura sono stati allungati rispetto alla versione iniziale del DDL; si conferma il ruolo meramente consultivo del Parlamento, che nella fase di negoziazione può esprimere solo atti di indirizzo.
Le disposizioni introdotte al Senato prevedono comunque che il Presidente del Consiglio presenti una relazione motivata in caso di mancata osservanza degli atti di indirizzo espressi dalle Commissioni bicamerali.
In base al DDL la tempistica dell’applicazione delle intese differisce a seconda delle materie interessate: per quelle che coinvolgono diritti civili e sociali l’effettivo trasferimento delle funzioni richieste dalle Regioni può avvenire solo successivamente alla determinazione dei LEP; per tutte le altre materie il trasferimento di funzioni può essere attuato immediatamente dopo la stipula degli accordi.
Gli emendamenti approvati al Senato hanno specificato la lista di materie associate a LEP (2) e delegato il Governo ad emanare, entro due anni dall’approvazione del DDL C1665, uno o più decreti legislativi per l’individuazione delle prestazioni da considerarsi essenziali.
I decreti legislativi devono inoltre indicare le procedure per il monitoraggio dei LEP, anche con riferimento alla congruità delle prestazioni con le risorse messe a disposizione dallo Stato; per le Regioni ad autonomia differenziata l’attività di verifica sarà svolta da Commissioni paritetiche, formate da rappresentanti dei ministeri coinvolti e delle Regioni interessate e istituite dopo l’approvazione delle intese da parte del Parlamento. Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie trasmette una relazione annuale al Parlamento sugli esiti delle procedure di monitoraggio.
I LEP possono essere aggiornati nei limiti delle risorse disponibili; anche i corrispondenti costi e fabbisogni standard sono rivisti con cadenza almeno triennale. Le Regioni ad autonomia differenziata sono tenute ad adeguare le prestazioni erogate a eventuali modifiche o integrazioni dei LEP successive all’approvazione dell’intesa (con corrispondente revisione delle risorse finanziarie devolute).
Tuttavia, nelle more dell’esercizio della delega i LEP possono essere adottati con semplice atto amministrativo (in particolare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), sulla base di quanto previsto dalla Legge di bilancio per il 2023.
Infine in merito agli aspetti finanziari il DDL si limita ad enunciare alcuni principi di carattere generale. In particolare, il riconoscimento dell’autonomia differenziata non dovrà comportare maggiori oneri a carico del bilancio pubblico, né una riduzione delle risorse destinate alle altre Regioni. Alle Regioni ad autonomia differenziata (RAD) saranno attribuite quote di compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali “maturato” sul territorio regionale. Un ruolo cruciale sarà svolto dalle Commissioni paritetiche Stato-Regione, che provvederanno a quantificare l’entità delle risorse finanziarie, umane e materiali da trasferire alle RAD nonché a verificare annualmente l’allineamento fra i fabbisogni relativi alle funzioni trasferite e il gettito dei tributi compartecipati, proponendo eventuali adeguamenti delle aliquote di compartecipazione (da adottare con decreto ministeriale).
Nel complesso gli emendamenti finora approvati sono da valutare favorevolmente poiché prefigurano un percorso più ordinato e graduale nell’attuazione dell’autonomia differenziata; permangono tuttavia alcuni profili problematici che riguardano l’impatto di tale processo sull’efficienza economica, sul coordinamento della finanza pubblica, sull’uniformità territoriale nel grado di tutela dei diritti civili e sociali. Questi aspetti sono discussi nei paragrafi che seguono.
2. L’efficienza economica
La lista di materie potenzialmente oggetto di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” in base all’art. 116, comma terzo, della Costituzione è molto ampia. Essa comprende materie difficilmente qualificabili come beni pubblici locali (3) (per le quali non sono evidenti a priori i vantaggi di una gestione decentrata), nonché competenze che in alcuni casi (come ad esempio per le politiche energetiche o quelle ambientali) richiedono un coordinamento nazionale e sovranazionale.
Oltre ai costi e ai benefici del decentramento in sé, occorre considerare quali potrebbero essere le conseguenze di un assetto asimmetrico: da un lato la differenziazione delle competenze potrebbe opportunamente riflettere fattori di contesto locali (come le diverse capacità amministrative), dall’altro potrebbe ridurre la trasparenza delle politiche pubbliche per i cittadini, accrescendone i costi di coordinamento e indebolendo l’accountability dei diversi livelli di governo. Una cornice normativa più articolata e disomogenea sul territorio potrebbe inoltre rendere più difficoltosa l’attività delle imprese operanti su scala sovraregionale (che dovrebbero adeguarsi a quadri regolamentari potenzialmente molto diversi) e incidere sulla distribuzione geografica delle attività produttive o sulla mobilità dei lavoratori.
Alcuni emendamenti introdotti nel corso dell’esame al Senato vanno nella direzione di mitigare tali rischi, poiché assicurano un esame più accurato e per singola materia delle richieste di differenziazione (in particolare quando gli ambiti da decentrare coinvolgono i LEP o possono influenzare, a giudizio del Presidente del Consiglio, l’unitarietà di indirizzo di alcune politiche pubbliche). Tali disposizioni potrebbero essere ulteriormente rafforzate. Ad esempio, fra gli elementi di cui tenere conto ai fini dell’attivazione della procedura potrebbe essere inclusa una valutazione del quadro finanziario della Regione richiedente non solo riferita al momento iniziale (come previsto nella versione attuale del DDL) ma anche a un orizzonte temporale più esteso, per far emergere le eventuali divergenze tra gettito delle compartecipazioni e spese per competenze devolute. Sarebbe utile anche un’istruttoria accurata e metodologicamente solida dei vantaggi della differenziazione di ciascuna specifica funzione, sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese. Questi meccanismi potrebbero essere utili a salvaguardare l’efficienza e l’efficacia dell’assetto complessivo delle politiche pubbliche; sarebbe opportuno che fossero applicati anche alle Regioni che hanno già siglato intese preliminari nelle precedenti legislature (per le quali l’attuale versione dell’art. 11 del DDL sembra invece prefigurare una prosecuzione automatica della procedura).
3. Il coordinamento della finanza pubblica
Il trasferimento delle nuove funzioni alle RAD comporta la devoluzione di una quota di gettito erariale significativa e, contestualmente, la perdita di controllo da parte dell’amministrazione centrale di voci rilevanti del bilancio.
Tra i principi enunciati nel DDL vi è quello dell’iniziale neutralità del riassetto delle competenze sui saldi di finanza pubblica, ma non si può escludere che già nell’immediato la spesa complessiva possa risentire della maggiore frammentazione nell’offerta dei servizi pubblici e dei costi dovuti a diseconomie di scala. Inoltre, con l’andare del tempo, la dinamica del gettito delle compartecipazioni potrebbe risultare disallineata rispetto a quella della spesa per le funzioni devolute: le RAD con redditi pro capite più elevati e una crescita più pronunciata delle basi imponibili acquisirebbero in tal modo un extra-gettito da spendere liberamente, mentre – per preservare l’equilibrio di bilancio – il governo centrale potrebbe dover ricorrere a tagli alle prestazioni negli ambiti di spesa non trasferiti alle RAD o a inasprimenti del prelievo sui tributi erariali.
Il DDL rimanda alle singole intese per l’individuazione dei criteri per la quantificazione della spesa e l’individuazione delle aliquote di compartecipazione. In base alla versione emendata del DDL gli aspetti finanziari sarebbero poi compiutamente definiti con decreti ministeriali, su proposta delle rispettive Commissioni paritetiche; le Commissioni avrebbero anche il compito di verificare annualmente la coerenza fra il gettito delle compartecipazioni e il fabbisogno finanziario per le funzioni trasferite, con la possibilità di proporre eventuali rimodulazioni delle aliquote.
Anche l’attuale sistema di finanziamento dei servizi sanitari regionali fa leva in misura consistente su una compartecipazione al gettito dell’IVA. Tuttavia in questo ambito la compatibilità della dinamica della spesa locale con il quadro complessivo di finanza pubblica è assicurata ex ante dalla rideterminazione annuale dell’aliquota di compartecipazione (che è coerente con le risorse complessive riconosciute in sede di manovra di bilancio) ed ex post dall’applicazione di Piani di rientro alle Regioni con disavanzi sanitari elevati.
La rimodulazione annuale delle aliquote di compartecipazione va nella direzione di garantire, anche dinamicamente, il controllo del bilancio pubblico. Tuttavia le verifiche annuali di coerenza fra l’andamento del gettito e quello della spesa andrebbero condotte applicando criteri uniformi e oggettivi, procedendo tempestivamente ad eventuali rimodulazioni delle aliquote; sarebbe pertanto opportuno che tali prerogative siano attribuite ad un organismo tecnico unico, piuttosto che a una molteplicità di Commissioni paritetiche bilaterali.
Le RAD avrebbero comunque la possibilità di trattenere le risorse derivanti da una spesa effettiva inferiore ai fabbisogni standard riconosciuti per le funzioni LEP (ovvero quelle risorse che riflettano uno sforzo nel migliorare l’efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici); tali risorse potrebbero essere utilizzate per incrementare il livello delle prestazioni o per ridurre il prelievo locale. Una spesa eventualmente superiore ai fabbisogni LEP dovrebbe essere finanziata autonomamente, attraverso un inasprimento dei tributi locali o dirottando le risorse destinate al funzionamento delle funzioni non assistite dai LEP.
Su un piano più generale va osservato che l’impianto finanziario delle RAD andrebbe raccordato con il sistema ordinario di finanziamento relativamente alle funzioni che già tutte le Regioni svolgono nell’assetto attuale, quali la sanità, una parte dell’assistenza sociale, l’istruzione professionale e il trasporto pubblico locale (cd federalismo fiscale simmetrico). Tale sistema, delineato dall’art. 119 Cost. e da alcuni provvedimenti attuativi (4), non è ancora stato messo a punto: renderlo operativo sembrerebbe logicamente prioritario rispetto all’attribuzione di margini ulteriori di autonomia ad alcuni enti, in modo da assicurarsi che la dimensione delle compartecipazioni necessarie a finanziare l’autonomia differenziata non interferisca con l’implementazione del sistema ordinario di finanziamento delle Regioni.
In base alle disposizioni attuative dell’art. 119 Cost. i LEP riguarderebbero le funzioni regionali relative all’assistenza sociale, all’istruzione e al trasporto pubblico locale (la sanità è soggetta a regole di finanziamento ad hoc). Per tali funzioni il fondo perequativo dovrebbe compensare integralmente la differenza fra il fabbisogno finanziario standard associato all’erogazione dei LEP e la capacità fiscale di ciascun ente, definita sulla base di parametri oggettivi; per le funzioni non presidiate da LEP il fondo dovrebbe attenuare solo parzialmente le differenze di capacità fiscale. È anche prevista una perequazione di tipo infrastrutturale, realizzata attraverso interventi speciali volti a riequilibrare le dotazioni di infrastrutture dei vari territori sulla base dei rispettivi fabbisogni.
Nessuno degli elementi fondanti del federalismo regionale simmetrico è stato, ad oggi, definito. Il completamento del quadro normativo e l’attuazione del federalismo regionale simmetrico sono tra le riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con un unico obiettivo (milestone) da realizzare entro il 2026.
4. L’uniformità territoriale nel grado di tutela dei diritti civili e sociali
La progressività del nostro sistema fiscale è riconducibile in massima parte all’Irpef. L’attribuzione alle RAD di quote rilevanti del gettito dei tributi erariali potrebbe avere un impatto sulla redistribuzione tra individui, in una misura che dipende dall’entità della spesa che passerebbe alle RAD.
Per evitare un’ulteriore divaricazione nell’offerta di servizi pubblici sul territorio il DDL indica opportunamente nell’individuazione dei LEP un prerequisito necessario per l’attivazione dell’autonomia differenziata.
La governance del processo di determinazione dei LEP fa capo a una Cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composta dai ministri competenti per materia, nonché dai rappresentanti degli enti territoriali. La Cabina di regia si avvale del supporto di un Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP; i risultati del lavoro di ricognizione svolto dal Comitato, sulla base della legislazione vigente, è contenuto in un rapporto reso noto alla fine dello scorso mese di ottobre.
La definizione dei LEP non implica tuttavia che le prestazioni individuate come essenziali siano adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate su tutto il territorio nazionale. Data la clausola di invarianza della spesa, la convergenza a un livello uniforme di servizi può avvenire solo attraverso una rimodulazione della spesa statale a favore delle Regioni in cui l’offerta di prestazioni è inferiore ai LEP. Se, in alternativa, si assumesse che la spesa storica sinora sostenuta dallo Stato in ciascuna regione sia quella implicitamente necessaria a finanziare i LEP, si determinerebbe la “cristallizzazione” degli attuali divari nell’offerta di prestazioni pubbliche sul territorio.
Occorre evidenziare come le scelte di metodo sulla selezione e sulla definizione del contenuto dei LEP non abbiano una valenza meramente tecnica: esse delimitano il perimetro entro il quale la differenziazione delle politiche pubbliche sul territorio è ammissibile e dettano i tempi per l’attivazione delle procedure.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto l’eventuale negoziato fra Stato e Regione richiedente può difatti essere avviato: subito dopo l’approvazione della legge quadro, per le funzioni non presidiate da LEP; successivamente alla determinazione dei LEP, per le funzioni per le quali l’erogazione di livelli territorialmente uniformi di servizio non richiede maggiori risorse rispetto alla spesa storica; dopo l’individuazione di idonea copertura finanziaria, per le funzioni i cui LEP richiedono maggiori oneri per la finanza pubblica.
È di conseguenza cruciale che i LEP siano individuati in maniera precisa ed esaustiva ed abbiano una specifica declinazione operativa. È inoltre necessaria una riflessione su quali dimensioni, tra quelle non oggetto di LEP ma strumentali ed intrinsecamente legate ad essi, si debbano preservare come uniformi sul territorio.
La rilevanza di tale questione emerge se si esaminano le funzioni richieste dalle Regioni che hanno già sottoscritto accordi preliminari. In ambito sanitario, ad esempio, le richieste riguardano il riconoscimento di maggiore autonomia in materia di gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione (compresa la stipula di specifiche tipologie contrattuali), politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. Il rapporto conclusivo del Comitato tecnico scientifico identifica i LEP relativi alla sanità con i livelli essenziali di assistenza (LEA) già di competenza regionale, lasciando aperta la possibilità di differenziare lungo le dimensioni appena citate. Ciò rischierebbe di accentuare i divari territoriali, rendendo più arduo rendere disponibili i LEP nelle Regioni con redditi meno elevati e più facile nelle altre.
Gli emendamenti introdotti rispetto alla versione originaria del provvedimento prevedono infine che le modalità di verifica dei LEP siano espressamente stabilite nei decreti che definiranno i LEP stessi e che vi sia una valutazione condivisa, a cadenza regolare, sugli esiti di tale monitoraggio. Per garantire trasparenza e uniformità di rendicontazione il monitoraggio dovrebbe coinvolgere organismi tecnici unici per tutte le Regioni, in modo simile a quanto avviene per la sanità (il DDL prevede invece che il monitoraggio per le RAD sia svolto dalle Commissioni paritetiche).
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Gli emendamenti introdotti al Senato hanno apportato miglioramenti al DDL sull’autonomia differenziata. In un contesto caratterizzato dalla riattivazione delle regole di bilancio europee (che peraltro assegneranno un ruolo cruciale alla capacità di prevedere e controllare con precisione le dinamiche di medio periodo della spesa) e dal persistere di ampi ritardi in alcune regioni del Paese, le implicazioni dell’attuazione dell’autonomia differenziata non possono che essere valutate con la massima prudenza ed attenzione, considerando in modo esauriente rischi e opportunità.
Grafica a cura della Divisione Editoria e stampa della Banca d’Italia
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
NOTE
(1) Cfr. Disegno di legge AS 615 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” Memoria della Banca d’Italia, Senato della Repubblica 1a Commissione permanente (Affari costituzionali) e Disegno di legge AS 615 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” Memoria della Banca d’Italia, Commissione parlamentare per le questioni regionali. Si rimanda a quest’ultimo intervento per una disamina della distinzione tra federalismo simmetrico e asimmetrico.
(2) Si tratta di: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali (art. 3)
(3) I beni pubblici locali si caratterizzano per la non rivalità e l’escludibilità del consumo: essi possono essere utilizzati congiuntamente da più individui, ma il loro beneficio si esaurisce in un perimetro geografico ben delimitato (i residenti in altre aree sono esclusi dalla possibilità di usufruire del bene). Tipici esempi di beni pubblici locali sono il servizio di raccolta dei rifiuti, la viabilità locale, l’illuminazione pubblica comunale
(4) Legge 5 maggio 2009, n. 42 e decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68.