Quando il detentore di una importante carica istituzionale decide di gettare una pietra, non solo un sasso, nello stagno, ragionevolmente si aspetta di suscitare una reazione significativa. Non sempre però accade. Non è capitato all’ex Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, quando il 10 ottobre 2023, nell’ultimo mese del suo incarico, ha inviato una lunga lettera al comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, presieduto da Sabino Cassese (1).
Innanzitutto, nella valutazione di Ignazio Visco, la selezione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) ha implicazioni rilevanti ai fini della attivazione dell’autonomia differenziata, e per questo vanno approfondite le analisi anche per le specifiche funzioni che verranno trasferite, in diversi casi più ampie rispetto alla attuale struttura delle competenze regionali, come nel caso della sanità. Poi nella maggior parte dei casi, secondo Visco, la formulazione è determinata in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere dichiarazioni di principio.
Il problema non è soltanto definire i Lep, percorso comunque lastricato di molte trappole e semplificazioni, come ha messo in evidenza, senza alcun riscontro o controdeduzione, l’ex Governatore della Banca d’Italia, non un distratto passante politicamente orientato.
La questione cruciale è piuttosto applicarli, questione che la legge Calderoli nemmeno sfiora. Al comma 4 dell’articolo 3 della legge 86/2024 (2) si legge gli atti normativi “definiscono le procedure e le modalità operative per monitorare l’effettiva garanzia in ciascuna Regione dell’erogazione dei Lep in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonchè la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione”. Insomma il legislatore resta sulla superficie delle procedure, ed accuratamente evita di entrare nella materialità dei diritti sociali effettivamente garantiti, o meno.
Cosa accade se una Regione non rispetta i Lep definiti? In assenza di incentivi e di sanzioni, la norma rischia di restare completamente vuota di significato. Servirà a compilare classifiche, a redigere dotte dissertazioni sui crescenti divari tra territori, ad elevare geremiadi continue prive di alcuna ricaduta pratica per i cittadini che resteranno in una condizione di persistente diseguaglianza.
Molto appropriatamente Francesco Pallante, eminente costituzionalista, mette i piedi nel piatto nel suo recente libro “Spezzare l’Italia” (3). Nelle sue argomentazioni l’aspetto della sostanza entra decisamente: “Che qualcuno possa seriamente pensare di risolvere lo scarto che da sempre esiste tra la proclamazione dei diritti e la loro attuazione tramite una serie di addizioni lascia increduli”.
La forbice tra formulazione giuridica di un diritto ed effettiva esigibilità passa solo attraverso un sistema di incentivi e di sanzioni che concretamente determino comportamenti convergenti da parte degli amministratori pubblici. Insomma, non basta solo l’armamentario della giuridico per risolvere una questione che riguarda i diritti sociali, occorre ricorrere anche agli strumenti della analisi economica.
Del resto, anche l’esperienza storica testimonia che definire astrattamente diritti non garantisce affatto che siano poi esigibili. E’ già accaduto è così per i livelli essenziali di assistenza in sanità. Cosa è successo in caso di mancato rispetto degli indicatori? Nulla. E allora di che stiamo parlando? Siamo in presenza di una coperta di Linus per pulirsi la coscienza.
Anche la recente posizione di Forza Italia (4), che si è attestata sulla idea che nulla possa essere deciso nella attuazione della legge sulla autonomia differenziata senza che prima siano sati individuati i Lep, consente di salvare temporaneamente la coscienza di chi ha dubbi sulle effettive ricadute del provvedimento, ma non la sostanza del percorso.
Nell’impianto del federalismo fiscale, la determinazione dei Lep dovrebbe avvenire sulla base dei costi standard, cosa che non è mai accaduta per i Livelli Essenziali di Aassistenza (Lea) applicati in sanità e basati ancora sulla spesa storica; questo passaggio non è neanche stata previsto dalla legge Calderoli, che rimanda tutto alla commissione paritetica. In ogni caso, pensare che si possa affrontare le diseguaglianze regionali semplicemente articolando indicatori è una pia illusione, Servono politiche ed azioni. Questo percorso avviene per ora ad invarianza di impatto per la finanza pubblica. Sarebbe come decidere di scalare una montagna senza l’idonea attrezzatura per evitare prevedibili ruzzoloni.
L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nella sua audizione alla commissione parlamentare per le questioni regionali, tenutasi il primo febbraio 2024 (5), ha affermato che “per garantire la tutela dei diritti sociali e civili è necessario che la definizione e il finanziamento dei Lep siano accompagnati da procedure di monitoraggio e di correzione che ne assicurino l’effettiva erogazione”.
Ma se Roberto Calderoli non ha pensato alla sanzione necessaria per correggere i comportamenti divergenti rispetto alla effettività per i cittadini dei Lep, fortunatamente ha provveduto la Costituzione, e la Corte Suprema ne ha recentemente ribadito la saldezza di principio, che costituirà il saldo asse per introdurre i meccanismi correttivi che le legge sulla autonomia differenziata non ha messo in campo.
Per quanto riguarda gli interventi correttivi, la Sentenza 71/2023 della Corte costituzionale (6) ha chiarito che non possono prendere la forma della mera restituzione delle risorse destinate ai Lep nel caso di mancato impiego delle stesse per tale finalità, come originariamente previsto per gli interventi a favore dei Comuni, ma, più coerentemente, lo strumento di sanzione deve essere quello del commissariamento degli Enti inadempienti, come previsto dall’articolo 120, secondo comma della Costituzione. “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni … quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
Per la Corte la garanzia dei livelli essenziali deve essere uniforme su tutto il territorio, e deve essere finanziata con fondi speciali ad hoc, dotati di vincoli di destinazione e assistiti da poteri sostitutivi dello Stato, che permettano di realizzare una piena eguaglianza tra cittadini dei diversi territori.
Chissà se i Presidenti delle Regioni del Nord sono avvertiti sulla spada di Damocle del commissariamento che incomberà sulle loro teste quando, per mancanza di risorse da parte di quel che resta dello Stato centrale, non potranno assicurare ai loro cittadini i livelli essenziali delle prestazioni nella sanità o nella scuola.
Tralascio la inevitabile condizione di commissariamento perpetuo per le Regioni del Mezzogiorno che non potranno nemmeno tentare di giocare questa partita e decideranno, appena dopo ogni elezione, di chiamare il commissariamento nazionale per mancanza persistente di risorse.
Insomma, lungo il crinale di un frettoloso federalismo, si realizzerà per questa via il peggior centralismo, quello dei commissariamenti a vita, che la nostra Repubblica conosce già da decenni per diverse tematiche, a cominciare dalla sanità nel Mezzogiorno, oppure dalle ricostruzioni dopo le calamità naturali. Purtroppo, quando si gioca con il fuoco con l’abilità del piromane, nel segno della legge Calderoli, gli effetti controdeduttivi sono sempre dietro l’angolo. Le antiche maschere della commedia italiana se la ridono da lassù.
Comunicato del 14 aprile 2023 FONDO DI SOLIDARIETÀ COMUNALE: È URGENTE L’INTERVENTO DEL LEGISLATORE All’interno del Fondo di solidarietà comunale, «in aggiunta alla tradizionale perequazione ordinaria – strutturata, fin dalla sua istituzione, secondo i canoni del terzo comma dell’art. 119 Cost. e quindi senza alcun vincolo di destinazione –», è stata progressivamente introdotta dal legislatore statale, in forma non coerente con il disegno costituzionale, «una componente perequativa speciale, non più diretta a colmare le differenze di capacità fiscale, ma puntualmente vincolata a raggiungere determinati livelli essenziali e obiettivi di servizio» in vista del diverso obiettivo di «rimuovere gli squilibri territoriali» nell’erogazione di servizi sociali. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza n.71, depositata oggi (redattore Luca Antonini), con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso proposto dalla Regione Liguria nei confronti dell’art. 1, commi 172, 174, 563 e 564, della legge n. 234 del 2021 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), in riferimento agli artt. 5 e 119, primo, terzo, quarto e quinto comma, Cost. Le suddette norme incrementano, attraverso risorse statali, in modo consistente e progressivo la dotazione del Fondo di solidarietà comunale. Nel contempo, tuttavia, stabiliscono specifici vincoli di destinazione sulla relativa spesa, in funzione del raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni o di obiettivi di servizio, in relazione ad asili nido, trasporto degli studenti disabili, assistenza sociale, destinati solo a determinati Comuni. La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni in considerazione del «ventaglio di soluzioni» idonee a rimediare al vulnus alla Costituzione prodotto dalle norme impugnate e dell’impossibilità di individuarne una costituzionalmente adeguata o obbligata. La Corte ha, però, ritenuto opportuno rivolgere un deciso monito al legislatore per un urgente intervento di riforma, perché «una soluzione perequativa ibrida» non è coerente con l’art. 119 Cost. Infatti, «componenti perequative riconducibili al quinto comma» dell’art. 119 Cost. devono «trovare distinta, apposita e trasparente collocazione in altri fondi a ciò dedicati, con tutte le conseguenti implicazioni». Peraltro, si è osservato nella sentenza, «risulta palesemente contraddittorio che, a fronte di un vincolo di destinazione funzionale a garantire precisi LEP, la “sanzione” a carico dei comuni inadempienti possa poi consistere nella mera restituzione delle somme non impegnate»: questa soluzione, infatti, «non è in grado di condurre al potenziamento dell’offerta dei servizi sociali e lascia, paradossalmente, a dispetto del LEP definito, del tutto sguarnite le persone che avrebbero dovuto, grazie alle risorse vincolate, beneficiare delle relative prestazioni». La Corte ha quindi concluso che il compito di adeguare il diritto vigente alla tutela costituzionale riconosciuta all’autonomia finanziaria comunale, al contempo bilanciandola con la necessità di non regredire rispetto all’imprescindibile processo di definizione e finanziamento dei LEP – la cui esigenza è stata più volte rimarcata dalla Corte –, non può che spettare al legislatore, chiamato però a intervenire «tempestivamente». Roma, 14 aprile 2023