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Buone pratiche. Fabra-i-coats: la fabbrica che produce città

Fabra i coats dal sito

Fabra i coats dal sito

Un articolo  di Mauro Baioni  su una straordinaria iniziativa del Comune di Barcellona che si propone di trasformare nove siti industriali dismessi in altrettanti centri per l’arte, la formazione e la socialità, dislocati in diversi quartieri cittadini.

Vista da Roma, spinge a   un’amara riflessione sui tanti edifici pubblici dismessi abbandonati al degrado e anche ai  progetti avviati dalla precedente amministrazione (seppure con destinazioni in parte private) che languono da anni, senza che se ne sappia più nulla, a partire dal Progetto Flaminio negli ex Stabilimenti militari di Via Guido Reni e quello del Forte Trionfale  (AMBM)

Fabra-i-coats: la fabbrica che produce città di Mauro Baioni   

(da Eddyburg 11 dicembre 2018)Una fabbrica dismessa, acquisita dal comune di Barcellona e trasformata in uno spazio civico riservato alla cultura e alla socialità. Una nuova storia che comincia ora: quella di una fabbrica che produce città. (m.b.)


Questa storia comincia dalla fine. Una fine come tante, quella della fabbrica tessile Fabra-i-coats di Sant’Andreu, sobborgo di Barcellona. Prolungata agonia, stillicidio di pre-pensionamenti, uscite e scivoli, poi la chiusura definitiva e il trasferimento di proprietà a una società immobiliare. Non ne avremmo saputo niente, se – nel 2005 – il comune non avesse deciso di acquistare i 3 ettari del sito, comprensivi di sei edifici di archeologia industriale, per destinarli ad attrezzature pubbliche e spazi aperti.

Inizia così una seconda storia. L’intervento di ristrutturazione viene incluso nel programma Art Factories, promosso dall’amministrazione comunale di Barcellona, che si propone di trasformare nove siti industriali dismessi in altrettanti centri per l’arte, la formazione e la socialità, dislocati in diversi quartieri cittadini. Fabra-i-coats, il sito principale, è interamente gestito dal comune e ospita un laboratorio, uno spazio di coworking per attività legate alla creatività, spazi per attività teatrali e musicali con annesse le residenze per ospitare gli artisti. Attorno al centro culturale, negli altri edifici del recinto sono in corso di realizzazione le scuole di quartiere (dalla materna alle superiori), spazi per le associazioni e per le feste, un centro per malati di Alzheimer e 46 alloggi pubblici. Anche gli altri siti interessati da Art Factories ospitano attività artistiche, educative, sociali, variamente combinati fra loro e con e attività economiche legate alla creatività. La loro gestione è affidata, tramite convenzioni specifiche, ad associazioni e cooperative, cui è lasciata discrezionalità e responsabilità, ma sempre con la collaborazione attiva del comune.
L’investimento iniziale del programma Art Factories è di 40 milioni di € (fonte: Culture for Cities). La gestione corrente non consente il pareggio di bilancio: il comune spende 3 Mln di € ogni anno (equivalenti a 2€/abitante), che coprono circa 2/3 dell’occorrente. Il resto è ricavato dai proventi delle attività economiche e da altri finanziamenti. A fronte di queste spese, è richiesto un rendiconto delle attività svolte e del loro impatto sul territorio, che si misura in eventi artistici, in giornate di utilizzo delle strutture, in persone occupate, in numero di frequentatori.

Fabra-i-coats

A mio giudizio, tre aspetti meritano una sottolineatura. Innanzitutto, siamo di fronte alla pubblicizzazione di un bene privato, acquistato e ristrutturato dal comune per offrire servizi di interesse collettivo. Un’iniziativa diametralmente opposta alla privatizzazione dei beni demaniali e alla loro valorizzazione in chiave economica. Questa inversione cambia il senso complessivo della rigenerazione: il fattore cruciale dell’operazione non è più il ritorno economico, ma il valore per la collettività incorporato in quel luogo specifico e nelle attività che vi si possono svolgere.

Il rapporto con la città è la seconda questione che voglio rimarcare. Il successo dell’operazione deve molto al quartiere e ai suoi abitanti, così come agli amministratori e al tessuto sociale di Barcellona. Ora che il recinto è aperto, attraversato e fruito quotidianamente da centinaia di persone, restituisce benefici al quartiere e alla città. Costituisce un connettore e un condensatore di servizi, attività, e persone ed è un preciso riferimento dell’identità del quartiere, della sua memoria e del suo presente. Possiamo definire questa relazione in termini di restituzione e di reciprocità – ed è questo, ai miei occhi, l’aspetto che meglio qualifica la rigenerazione urbana.

Il terzo accenno riguarda la cultura come driver di coesione sociale. Ne abbiamo parlato molto, alla scuola di eddyburg: i luoghi come Fabra-i-coats facilitano la reciproca conoscenza, consentono di ingaggiare le persone in base alla curiosità, al talento e alla disponibilità, responsabilizzano i gestori e spingono il settore pubblico a rinnovare il proprio ruolo, in chiave collaborativa e pro-attiva. Per questo andrebbero riconosciuti come uno standard urbanistico da garantire ovunque e andrebbe promossa la loro diffusione in ogni città e in ogni quartiere.Una sottolineatura, per concludere. Nel 2005, gli operai della fabbrica si sono costituiti in associazione per salvare dalla distruzione documenti, macchinari, fotografie e impedire la cancellazione di ogni memoria del lavoro e delle persone. Il comune ha riservato uno spazio come museo e centro visite dell’antica manifattura e ha affidato all’associazione degli amici della fabbrica e agli operai oggi in pensione il compito di accompagnare i visitatori, raccontando la propria storia e quella della fabbrica. Niente che possa risarcire la fine di un’importante attività industriale in cui hanno lavorato – nel tempo – 70.000 persone. Ma un gesto di attenzione e di inclusione, questo sì, nella nuova storia che sta cominciando ora, quella di una fabbrica che produce città.
Nota. Sono stato a Fabra-i-coats il 29 novembre scorso, per un incontro del progetto Open Heritage che si propone di favorire l’affidamento alla cittadinanza attiva della gestione di siti culturali non inseriti in circuiti di valorizzazione e fruizione. 
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