Centro storico di Roma, è necessaria l’autorizzazione paesaggistica (lo dice il TAR)
Autore : Redazione
(contrariamente all’interpretazione adottata da Ministero, Regione, Comune che da 15 anni a questa parte, escludono il centro di Roma dalle tutele riconosciute agli altri centri storici non vincolati del Lazio)
10. La questione … attiene all’esistenza o meno di un vincolo di tutela paesaggistica interessante il Centro Storico di Roma, ai sensi della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel cui perimetro ricade il “Palazzo Bracci”, con la conseguente obbligatorietà (o meno) di subordinare gli interventi edilizi da realizzarsi alla preventiva autorizzazione paesaggistica giusta il disposto dell’art. 146 del Codice[1].
10.1 Ebbene, tale vincolo deve ritenersi esistente.
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, 30 novembre 2023
Dovrebbero essere messe in cornice, queste speriamo definitive* parole, ed esposte un po’ più sotto al ritratto del Presidente della Repubblica in tutti gli uffici pubblici che si occupano di interventi edilizi nel centro storico di Roma, dalla Soprintendenza statale, alla Regione, a Comune e Municipio, data la rilevanza che la Costituzione italiana conferisce alla tutela del Paesaggio.
Una recentissima sentenza del TAR del Lazio ha accolto un ricorso promosso dall’allora responsabile di Roma dell’associazione Vas Verdi Ambiente Società, Arch. Rodolfo Bosi [2], per la parte che riguarda la tutela paesaggistica nella cosiddetta “Area UNESCO” del centro storico di Roma[3], e ha clamorosamente ribaltato quanto finora applicato a tutti i livelli amministrativi, a partire dalla Soprintendenza Speciale Archeologica Bella Arti e Paesaggio di Roma, la cui tesi, portata anche nel contenzioso, è stata bocciata.
La vicenda parte da alcuni interventi eseguiti nel 2016-2017 nel cortile interno dello stabile denominato “Palazzo Bracci”, in una zona all’interno del perimetro UNESCO del centro della Capitale, qualificati di “Restauro e Risanamento conservativo”, che erano stati oggetto di una serie di SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), senza la preventiva autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza Speciale di Roma[4].
Quello che rende la sentenza davvero “storica” è l’aver sancito una volta per tutte l’esistenza del vincolo paesaggistico sul centro storico di Roma, negata invece dalla Soprintendenza Speciale, che, alla sollecitazione dell’Associazione affinchè verificasse gli eventuali vizi di legittimità dei citati interventi a Palazzo Bracci e esercitasse, in caso affermativo, “il potere di autotutela adottando i dovuti provvedimenti del caso”, aveva risposto di non dover esercitare tale potere , in quanto non essendo l’edificio oggetto di vincolo puntuale, l’organo ministeriale di tutela era chiamato a rilasciare solo un “parere consultivo”, come previsto dalle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, e come applicato dal 2007 a oggi.
La vicenda è lunga e complessa, e da tempo seguita da Carteinregola, a cominciare dal presidio organizzato insieme ad altre associazioni nel luglio-agosto 2019 al Consiglio regionale del Lazio, in occasione della (prima) approvazione del Piano Territoriale Paesistico regionale (PTPR). Da allora abbiamo dedicato al tema numerose lettere e appelli, nonché decine di articoli, tra i quali uno, dal titolo significativo “Tutela del Paesaggio: il Gioco dell’Oca di MIBACT, Regione Lazio, Roma Capitale sul centro storico”.
Ora il Tribunale Amministrativo del Lazio fa finalmente chiarezza, e richiama, indirettamente, le istituzioni alle loro responsabilità, con argomentazioni che, prima ancora che giuridiche, sono di buon senso: è possibile che il centro storico della Capitale, dichiarato area UNESCO, cioè “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, non abbia le stesse tutele paesaggistiche riservate agli altri centri storici del Lazio? Cioè, è possibile che un intervento edilizio nel centro storico di Latina o Mentana richieda l’autorizzazione della Soprintendenza, e nel centro di Roma invece no?
Pubblichiamo qui una sintesi della sentenza, rimandando alla lettura integrale con i relativi riferimenti per i necessari approfondimenti [6], e al controverso percorso dell’approvazione del PTPR in parallelo all’incredibile vicenda della (mancata) tutela paesaggistica dell’area UNESCO che permane tutt’ora, che abbiamo ricostruito nella nostra scheda cronologica[7].
Perché fino a oggi – ma ci sono i precedenti di altre sentenze amministrative, citate, di cui daremo conto – la Soprintendenza statale, per gli interventi edilizi nel centro storico che non riguardavano immobili e spazi puntualmente vincolati, ha espresso pareri non vincolanti anziché rilasciare autorizzazioni paesaggistiche, sulla base di una lunga sequenza di eccezioni introdotte dalla Regione Lazio per il centro storico Area Unesco della Capitale nelle varie versioni delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Territoriale Paesistico Regionale.
Infatti dalla sua adozione nel 2007, alla prima approvazione poi annullata dalla Consulta nel 2019, al’approvazione definitiva dell’aprile 2021, le NTA escludevano il centro di Roma – Area Unesco dalle tutele introdotte dal PTPR per gli altri centri storici del Lazio[8].
“Non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo all’insediamento urbano storico sito Unesco – centro storico di Roma”: nel 2007[9] l’eccezione nell’articolo sugli “insediamenti urbani storici e territori contermini” riguardava le “parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella liste del Patrimonio UNESCO (Roma – centro storico …) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione (….)”. Poiché tale Piano di gestione era stato poi approvato nel 2016 e si era rivelato – come dichiarato dallo stesso Piano – uno strumento di tutela inappropriato[10], nelle successive versioni del PTPR approdate in Consiglio regionale, sia in quella del luglio/agosto 2019, sia in quella – tuttora vigente – dell’aprile 2021, il testo del comma era stato poi così modificato[11]: “Non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo all’insediamento urbano storico sito Unesco – centro storico di Roma. L’applicazione di specifiche prescrizioni di tutela da definirsi, in relazione alla particolarità del sito, congiuntamente da Regione e Ministero, decorre dalla loro individuazione con le relative forme di pubblicità. Nelle more della definizione di tali specifiche prescrizioni, il controllo degli interventi è comunque garantito dalla Soprintendenza competente nel rispetto di quanto stabilito dal Protocollo d’Intesa tra Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Comune di Roma”. Tale Protocollo, stilato nel 2009 ai fini dell’applicazione del PRG[12], prevedeva solo pareri della Soprintendenza non vincolanti, visto che fin dalla copertina annunciava un parere solo “consultivo”.
Proprio rifacendosi alle NTA del PRG e al Protocollo del 2009 la Soprintendenza ha ritenuto di non essere chiamata a rilasciare autorizzazioni paesaggistiche per gli interventi nel cortile di Palazzo Braschi, e per chissà quanti altri interventi in tutti questi anni.
Tuttavia, condividendo le osservazioni dei ricorrenti riguardanti gli aspetti paesaggistici della vicenda, i giudici amministrativi hanno ricostruito tutti i passaggi normativi che smentiscono l’interpretazione finora data da tutti gli enti preposti, arrivando alla conclusione che il centro storico non solo deve essere soggetto alle stesse tutele di tutti gli altri centri storici, ma che anzi, l’eccezione inserita nelle NTA del PTPR è da intendersi come necessità di aumentare le tutele, proprio in virtù dell’appartenenza a un’area UNESCO.
La sentenza muove dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio[13] – ma ancor prima dal suo presupposto, l’art. 9 della Costituzione Italiana[14] – un decreto legislativo del 2004 che in numerosi articoli, riportati dettagliatamente[15], pone prescrizioni stringenti per i beni paesaggistici che devono essere tutelati attraverso i Piani paesaggistici [16], tra i quali sono compresi “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”, in ragione del “loro notevole interesse pubblico”[11]. Spetta ai Piani paesaggistici l’“individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico… la loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso…”. Ed è proprio il PTPR del Lazio, a partire della sua adozione, che ha inserito l’area cosiddetta “Unesco” all’interno delle tavole del PTPR [17], in particolare con “La graficizzazione … segnatamente nella “Tavola 24_374_B”, così che il P.T.P.R. adottato, nell’individuare i beni del “patrimonio identitario regionale”, tra cui gli “Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto” vi ha incluso anche il Centro Storico della Capitale[18].
(Particolare della tavola 24_374_B del PTPR adottato il 10 11 2007)
Ma la sentenza del TAR va oltre, entrando anche nel merito dell’esclusione dell’area UNESCO della Capitale nell’art. 44 delle NTA dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica che vale per gli altri centri storici del Lazio[19], esclusione di cui da anni Carteinregola e altre associazioni denunciano l’aspetto paradossale.
I giudici amministrativi considerano tale esclusione “illogica, abnorme e irragionevole, nella misura in cui esclude dall’operatività del vincolo beni che necessitano di una protezione addirittura rafforzata, quali sono i siti storici inclusi nella Lista UNESCO: trattasi, infatti, di realtà dotate di un pregio culturale, storico e paesaggistico rilevantissimo, tale da travalicare la dimensione “nazionale” per assurgere addirittura a Patrimonio Mondiale, e dunque valore condiviso dall’intera umanità”. E individuano “la ratio dell’esclusione…nell’esigenza di approntare specifiche prescrizioni di tutela, diversificate rispetto a quelle “generalizzate” valevoli per la restante parte dei centri storici della Regione, proprio al fine di tener conto della rilevante peculiarità (meglio sarebbe a dire “unicità”) dei siti UNESCO”, concludendo che “Emerge in maniera inequivocabile la volontà, da parte del legislatore, di tutelare al massimo grado proprio i beni inclusi nella Lista UNESCO, demandando ai piani territoriali regionali il compito di dettare specifiche prescrizioni d’uso, semmai ancora più stringenti di quelle adottate con riferimento agli ulteriori beni paesaggistici”. Ricordando da un lato che “la disciplina di fonte primaria contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio” prevede che“… i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni … con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO”[20], dall’altro che “Tali previsioni derivano da un preciso obbligo internazionale” che obbliga “lo Stato di appartenenza ad assicurarne la salvaguardia avvalendosi anche dei contributi economici e tecnici messi a disposizione dall’Unesco”[21]. Obbligo tanto più cogente dato che il centro di Roma è stato inserito nella «lista del patrimonio mondiale» su richiesta dello Stato, in considerazione del suo valore «assolutamente eccezionale per l’Umanità intera”. Quindi il piano paesaggistico territoriale non “potrebbe comunque derogare ad una ben precisa scelta legislativa (che si è visto essere peraltro attuativa di obblighi internazionali), quale è quella di salvaguardare i siti rientranti nel Patrimonio Mondiale con imposizione di un vincolo paesaggistico”.
(perimetro AREA UNESCO di Roma)
Non può fondatamente ritenersi, dunque, che il Centro Storico di Roma, iscritto nella Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, non sia qualificabile quale “bene paesaggistico” ai sensi e per gli effetti della parte III del Codice del 2004, a meno di non voler “sposare” interpretazioni assolutamente devianti rispetto alle coordinate chiaramente tracciate a livello sovranazionale, costituzionale e legislativo. Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, 30 novembre 2023
Concludono quindi i giudici che “gli interventi edilizi che si intendano intraprendere su immobili ricompresi in luoghi o siti iscritti nella menzionata Lista UNESCO, tra cui quelli oggetto dell’istanza inoltrata dalla VAS (interessanti l’area cortilizia interna di Palazzo Bracci), devono necessariamente essere subordinati alla preventiva autorizzazione paesaggistica”e che i provvedimenti devono essere resi dall’autorità competente [il Comune o il Municipio] dopo avere acquisito il “parere vincolante” della Soprintendenza, “subordinando chiaramente” “il titolo autorizzatorio all’espressione di un parere preventivo, da rendersi nel termine di legge di 45 giorni, non limitato ad una verifica di mera legittimità ma contenente anche una valutazione di merito in ordine alla compatibilità paesaggistica delle opere progettate, frutto di una “cogestione” del vincolo paesaggistico da parte dell’organo ministeriale e dotato di portata cogente e insuperabile”. Un ruolo, quello del Ministero dei Beni Culturali “ decisivo non solo nella fase di «imposizione del vincolo…ma anche nella fase successiva di «gestione del vincolo», (…) in sede di rilascio dell’autorizzazione”.
E puntualizzano che “non può in alcun modo equipararsi a detto parere vincolante quello, meramente “consultivo”, previsto dall’art. 24, co. 19 delle N.T.A. del P.R.G. di Roma Capitale” [richiamato nel Protocollo nel citato art. 44 delle NTA del PTPR 2019 e 2021 NDR]: quest’ultimo, seppure obbligatorio … è sguarnito di forza cogente, potendo essere “disatteso” dall’amministrazione capitolina”.
Non appare quindi che la sentenza lasci ombra di dubbio: il problema è che purtroppo le sentenze non sono fonte normativa, cioè riguardano solo il caso oggetto del ricorso. Se non intervengono il Ministero della Cultura, la Regione Lazio e, per quanto di competenza, il Comune e il Municipio, gli interventi edilizi nel centro storico potranno continuare a procedere senza autorizzazione paesaggistica, a meno che qualche cittadino o qualche associazione non decidano di avanzare un ricorso al TAR, come in questo caso.
E’ quindi urgente che tutte le amministrazioni preposte, a partire dalla Soprintendenza Speciale di Roma, nonché gli uffici comunali e municipali, prendano atto e mettano in pratica quanto emerge dalla sentenza, e che Ministero, Regione e Comune di Roma adeguino strumenti e procedure con un chiaro riconoscimento normativo per tutti gli interventi in corso e futuri nell’area più preziosa ma anche più delicata della Capitale.
Del resto, fin dal 2019 era stato messo nero su bianco, nel Piano Paesistico Regionale che “Regione e Ministero” avrebbero dovuto definire “congiuntamente” “specifiche prescrizioni di tutela” “in relazione alla particolarità del sito”. Prescrizioni che da 4 anni apettano di essere definite, e applicate.
Anna Maria Bianchi Missaglia
Post scriptum: è doveroso dare il giusto riconoscimento alla determinazione di Rodolfo Bosi, che per anni ha sostenuto ciò che oggi finalmente è stato riconosciuto anche dai magistrati amministrativi.
(*) La sentenza del TAR potrebbe essere oggetto di ricorso al Consiglio di Stato
1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.
2. I soggetti di cui al comma 1 hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione.
3. La documentazione a corredo del progetto è preordinata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato. Essa è individuata, su proposta del Ministro, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, e può essere aggiornata o integrata con il medesimo procedimento. (si veda il d.p.c.m. 12 dicembre 2005)
4. L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. L’autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell’autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l’anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo. Il termine di efficacia dell’autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all’interessato. (comma modificato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011, poi dall’art. 39, comma 1, lettera b), legge n. 98 del 2013, poi dall’art. 12, comma 1, lettera a), della legge n. 106 del 2014)
5. Sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all’articolo 143, commi 4 e 5. Il parere del Soprintendente, all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero su richiesta della regione interessata, dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante ed è reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione. (comma modificato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011, poi così modificato dall’art. 39, comma 1, lettera b), legge n. 98 del 2013)
6. La regione esercita la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l’esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, agli enti parco, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia. (comma modificato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011)
7. L’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ricevuta l’istanza dell’interessato, verifica se ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 149, comma 1, alla stregua dei criteri fissati ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1 lettere b), c) e d). Qualora detti presupposti non ricorrano, l’amministrazione verifica se l’istanza stessa sia corredata della documentazione di cui al comma 3, provvedendo, ove necessario, a richiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso. Entro quaranta giorni dalla ricezione dell’istanza, l’amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al soprintendente la documentazione presentata dall’interessato, accompagnandola con una relazione tecnica illustrativa nonché con una proposta di provvedimento, e dà comunicazione all’interessato dell’inizio del procedimento e dell’avvenuta trasmissione degli atti al soprintendente, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo. (comma modificato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011)
8. Il soprintendente rende il parere di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di cui all’articolo 140, comma 2, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti. Il soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Entro venti giorni dalla ricezione del parere, l’amministrazione provvede in conformità. (comma modificato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011)
9. Decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione. Con regolamento (il regolamento è stato emanato con d.P.R. n. 139 del 2010 – n.d.r) da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d’intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell’autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. (comma così modificato dall’art. 25, comma 3, legge n. 164 del 2014)
10. Decorso inutilmente il termine indicato all’ultimo periodo del comma 8 senza che l’amministrazione si sia pronunciata, l’interessato può richiedere l’autorizzazione in via sostitutiva alla regione, che vi provvede, anche mediante un commissario ad acta, entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora la regione non abbia delegato gli enti indicati al comma 6 al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e sia essa stessa inadempiente, la richiesta del rilascio in via sostitutiva è presentata al soprintendente.
11. L’autorizzazione paesaggistica è trasmessa, senza indugio, alla soprintendenza che ha reso il parere nel corso del procedimento, nonché, unitamente allo stesso parere, alla regione ovvero agli altri enti pubblici territoriali interessati e, ove esistente, all’ente parco nel cui territorio si trova l’immobile o l’area sottoposti al vincolo. (comma modificato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011)
12. L’autorizzazione paesaggistica è impugnabile, con ricorso al tribunale amministrativo regionale o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di ambiente e danno ambientale, e da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse. Le sentenze e le ordinanze del Tribunale amministrativo regionale possono essere appellate dai medesimi soggetti, anche se non abbiano proposto ricorso di primo grado.
13. Presso ogni amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica è istituito un elenco delle autorizzazioni rilasciate, aggiornato almeno ogni trenta giorni e liberamente consultabile, anche per via telematica, in cui è indicata la data di rilascio di ciascuna autorizzazione, con la annotazione sintetica del relativo oggetto. Copia dell’elenco è trasmessa trimestralmente alla regione e alla soprintendenza, ai fini dell’esercizio delle funzioni di vigilanza.
14. Le disposizioni dei commi da 1 a 13 si applicano anche alle istanze concernenti le attività di coltivazione di cave e torbiere nonché per le attività minerarie di ricerca ed estrazione incidenti sui beni di cui all’articolo 134. (comma così sostituito dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011)
15. (comma abrogato dall’art. 4, comma 16, legge n. 106 del 2011)
16. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il confine del Sito ricalca il perimetro delle mura costruite dall’Imperatore Aureliano nel III secolo, con l’estensione rappresentata dalle mura Gianicolensi edificate da papa Urbano VIII nel 1643 a difesa delle pendici del Monte Gianicolo.
Dal 1990 sono ricompresi nel territorio del Sito alcune proprietà della Santa Sede all’interno delle mura cittadine e la Basilica di San Paolo fuori le Mura, nel quartiere Ostiense.
L’estensione del sito UNESCO di Roma (Site n°91ter) è di 1.469,17 ettari, dei quali 1.430,8 relativi alla parte italiana (Centro storico di Roma) e 38,9 di competenza della Santa Sede.
Roma è dunque un sito transfrontaliero, ossia ricade sotto il diritto di diversi Stati, in questo caso lo Stato Italiano per quanto riguarda l’area centrale cittadina e la Santa Sede per le proprietà ecclesiastiche localizzate nella città e per la Basilica di San Paolo fuori le mura.
La Città del Vaticano è a sua volta un distinto Sito Patrimonio dell’Umanità (Site n° 286), la cui estensione è di 44 ettari e i cui confini ricalcano quelli dello Stato della Città del Vaticano (per il perimetro del Sito Unesco Città del Vaticano si veda Mappa interattiva).
[4] La sentenza si esprime su due aspetti: il primo motivo di ricorso, che “interseca” un altro ricorso, già definito in precedenza dal TAR , riguarda l’accertamento della tipologia di intervento e del conseguente titolo che avrebbe dovuto essere rilasciato per i lavori da effettuarsi, se “restauro/risanamento conservativo”, assentibile con una semplice SCIAose “nuova costruzione” ovvero “ristrutturazione edilizia cd pesante” che avrebbe richiesto il Permesso di Costruire. Tale aspetto del ricorso, che i giudici amministrativi dichiarano in parte inammissibile e in parte irricevibile, non è utile ai fini della nostra analisi.
[5] Vedremo gli ulteriori sviluppi se ci sarà un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato
[9] Nel PTPR adottato, NTA art. 45 (disciplinante gli “insediamenti urbani storici e territori contermini”) il comma 13 prevedeva che: “le disposizioni del presente articolo non si applicano agli insediamenti urbani storici ricadenti fra i beni paesaggistici di cui all’art. 134 comma 1 lett. a)del Codice, per i quali valgono le modalità di tutela dei “Paesaggi” e alle parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella liste del Patrimonio UNESCO (Roma – centro storico …) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione (….)”.
[10] IlPiano Generale di gestione è stato approvato dal commissario Tronca nel 2016[10], senza tuttavia introdurre alcuna effettiva tutela, come viene esplicitato nel testo dello stesso Piano: “Nella fase di adozione il Piano Territoriale Paesaggistico Regionale ha rinviato al Piano di Gestione la formulazione delle indicazioni relative all’‟insediamento urbano storico corrispondente al sito UNESCO di Roma, attribuendo impropriamente al PdG un ruolo di sorgente normativa. Compito del Piano di Gestione è svolgere un coordinamento tra i diversi livelli di pianificazione per mantenere nel tempo l’‟integrità dei valori che hanno consentito l’‟iscrizione sulla Lista del Patrimonio Mondiale. Risulta pertanto necessario eliminare tale rinvio, integrando il PTPR con le specifiche disposizioni di tutela previste per l’‟insediamento urbano storico e le relative procedure come viene detto esplicitamente nello stesso piano di gestione”.
[11] Le versioni del comma 19 della NTA del Ptpr sono in parte differenti:, anche se entrambe escludono l’area UNESCO e rimandano al Protocollo del 2009 ( barrato il testo eliminato del PTPR del 5 agosto 2019 in grassetto quello del 21 aprile 2021, vigente):
comma 19. Non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo all’insediamento urbano storico sito Unesco – centro storico di Roma. All’interno di tale perimetro, le valutazioni in ordine alla conformità e compatibilità paesaggistica degli interventi sono esercitate dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma,secondo quanto stabilito dal Protocollo d’Intesa tra Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Comune di Roma (QI/57701 dell’8 settembre 2009) L’applicazione di specifiche prescrizioni di tutela da definirsi, in relazione alla particolarità del sito, congiuntamente da Regione e Ministero, decorre dalla loro individuazione con le relative forme di pubblicità. Nelle more della definizione di tali specifiche prescrizioni, il controllo degli interventi è comunque garantito dalla Soprintendenza competente nel rispetto quanto stabilito dal Protocollo d’Intesa tra Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Comune di Roma (QI/57701 dell’8 settembre 2009)
[12] vedi Art. 24, co. 19 delle N.T.A. del P.R.G. di Roma Capitale: “…Nella parte di Città storica interna alle Mura Aureliane – dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità -, le competenze consultive assegnate al “Comitato per la qualità urbana e edilizia”, ai sensi dei commi 9, lett. c), e 12, e dell’art. 25, comma 8, sono esercitate dalla Soprintendenza statale per i beni architettonici e per il paesaggio per il Comune di Roma, organo periferico del Ministero per i beni e le attività culturali; in tal caso, il parere consultivo di cui al comma 12 è esteso agli interventi di categoria MS e RC, nonché agli interventi da abilitare tramite DIA, ai sensi del comma 21”
[14] Ricorda la sentenza del TAR: “la “tutela del paesaggio” rappresenta un valore presidiato a livello costituzionale (cfr. art. 9 Cost.*), quale interesse pubblico dotato di primario rilievo, e trova la propria regolamentazione, a livello legislativo, nella parte III del d. lsg. n. 42/2004 (cd “Codice dei beni culturali e del paesaggio). *Cost. Italiana Art 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34].
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
[15] Dalla sentenza del TAR: “L’art. 134, co. 1, lett. c) del citato d. lgs. n. 42/2004, nella formulazione in vigore a seguito delle modifiche introdotte per effetto del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63*, stabilisce che “Sono beni paesaggistici (…) c) gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell’articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156”. Il prefato art. 136 a sua volta prevede, al co. 1, lett. c), che sono sottoposti alle disposizioni del Titolo I della Parte III del Codice (rubricato “Tutela e valorizzazione”, artt. da 131 a 159) “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”, in ragione del “loro notevole interesse pubblico”. Si precisa che la locuzione “inclusi i centri ed i nuclei storici” è stata introdotta ad opera del menzionato d. lgs. n. 63 del 2008, con cui il legislatore ha recepito la prassi di porre il vincolo di tutela su interi centri storici, quali “complessi monumentali che vengono tutelati in quanto in essi si fondono mirabilmente l’espressione della natura e quella del lavoro umano, frutto della creatività artistica”, basata su un’ipotesi peculiare “che ha fatto parlare di «beni ambientali urbanistici» come categoria a sé stante, e che, nel tempo , ha portato all’imposizione di centinaia di vincoli aventi ad oggetto interi centri storici” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3733, che cita in tal senso la Relazione al Codice dei beni culturali e del paesaggio sub art. 136).
[16] Dalla sentenza del TAR: Ai sensi dell’art. 143, co. 1, lett. d) d. lgs. n. 42/2004, è demandata al piano paesaggistico territoriale (P.T.P.R.) la “individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell’articolo 134, comma 1, lettera c), loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso, a termini dell’articolo 138, comma 1”.
[17] Dalla sentenza del TAR : in base al P.T.P.R. adottato dalla Giunta Regionale del Lazio con deliberazioni n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 settembre 2007, il Palazzo Bracci [come tutti gli immobili ricadenti nell’area perimetrata NDR] ricade: nelle tav. A, sistema “Paesaggio Insediativo”, all’interno dei “Paesaggi dei Centri e Nuclei Storici con relativa fascia di rispetto di 150 metri”; in base alle Tav. B, individuazione di immobili e aree tipizzati, negli “insediamenti urbani storici e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 150 metri”, art. 43 delle N.T.A.; in base alle Tav. C, nei “beni del patrimonio naturale e culturale: beni della Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO: siti culturali”.
TAVOLE A (N. 1- 42) – SISTEMI ED AMBITI DI PAESAGGIO Rappresentano la classificazione tipologica degli ambiti di paesaggio ordinati per rilevanza e integrita’ dei valori paesaggistici. Contengono l’individuazione territoriale degli ambiti di paesaggio, denominati Paesaggi, e le fasce di rispetto dei Beni paesaggistici, i percorsi panoramici ed i punti di vista. I Paesaggi sono classificati secondo specifiche categorie tipologiche denominate Sistemi
TAVOLA 24_374_B
TAVOLE B (N. 1- 42) – BENI PAESAGGISTICI Rappresentano le aree e gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico.
Contengono la delimitazione e rappresentazione di quei beni del patrimonio naturale, culturale e del paesaggio del Lazio che sono sottoposti a vincolo paesaggistico per i quali le norme del Piano hanno un carattere prescrittivo.
Alle tavole B sono allegati i corrispondenti repertori dei Beni paesaggistici.
Tale rappresentazione costituisce la parte fondamentale del Quadro conoscitivo dei beni del patrimonio naturale, culturale e del paesaggio del Lazio.
TAVOLA C
T A VOLE C (N.1- 42) – BENI DEL P A TRIMONIO NA TURALE E CUL TURALE Rappresentano le aree e gli immobili non interessati dal vincolo paesaggistico.
(PTPR Lazio particolare tavola C beni del patrimonio naturale e culturale centro storico area unesco tavola_c_24_374)
Contengono l’individuazione territoriale dei beni del patrimonio naturale e culturale del Lazio che costituisce l’organica e sostanziale integrazione a quelli paesaggistici.
Alle tavole C sono allegati i repertori corrispondenti ai beni del patrimonio naturale e culturale.
Tale individuazione costituisce la parte complementare del Quadro conoscitivo dei beni del patrimonio naturale, culturale e del paesaggio del Lazio.
[18] Dalla sentenza del TAR : La graficizzazione all’interno delle Tavole del P.T.P.R., e segnatamente nella “Tavola 24_374_B”, emerge anche dalla relazione acclusa all’istanza presentata dalla VAS alla Soprintendenza, dove l’area del Centro Storico di Roma appare campita in rosso.
In altri termini, il P.T.P.R. adottato, nel dare attuazione alla disposizione di cui al citato l’art. 143, co. 1, lettera d), ha individuato i beni del “patrimonio identitario regionale”, tra cui gli “Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto”, includendovi anche il Centro Storico della Capitale.
[19] In altro passaggio della sentenza, i giudici rilevano che: Peraltro, il gravato provvedimento nemmeno considera il disposto dell’art. 10, comma 2 N.T.A. del P.T.P.R. adottato, che pure era stato espressamente citato nella corposa relazione acclusa all’istanza della VAS, secondo cui “l’autorizzazione paesistica è obbligatoria per i progetti delle trasformazioni dei luoghi ricadenti nei beni paesaggistici tipizzati e individuati dal PTPR e nelle relative fasce di rispetto a decorrere dalla data di pubblicazione sul BURL del PTPR adottato”.
[20] Dalla sentenza del TAR : A tal proposito soccorre, ancora una volta, la disciplina di fonte primaria contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, come novellata per effetto del sopra citato d. lgs. n. 63/20087: con tale decreto è stato, tra l’altro, modificato l’art. 135 in materia di “Pianificazione paesaggistica”, con l’espressa previsione secondo cui Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: (…) d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO”.
[21] Dalla sentenza del TAR: Tali previsioni derivano da un preciso obbligo internazionale, cogente ai sensi dell’art. 117 Cost., atteso che la “Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale”, firmata a Parigi il 10 novembre 1972 e ratificata dall’Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184, obbliga lo Stato di appartenenza ad assicurarne la salvaguardia avvalendosi anche dei contributi economici e tecnici messi a disposizione dall’Unesco (oltretutto, sul piano internazionale è meritevole di menzione anche la Convenzione europea del Paesaggio firmata a Firenze il 20 Ottobre 2000, ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14, che fa del paesaggio il prodotto della interrelazione tra fattori naturali e umani, qualificandolo come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, quale “elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”).
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