Perchè NOAlfabeto dell’autonomia differenziata:Alberto Zazzaroeconomista, Autonomia differenziata e casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale
Anna Maria Bianchi Questa sera parliamo di autonomia regionale differenziata e casse di risparmio casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Materie per i più molto ostiche, ma materie attualmente concorrenti Stato/Regioni che con l’autonomia differenziata potrebbero passare all’esclusiva competenza delle Regioni che ne faranno richiesta. Ne parliamo con Alberto Zazzaro, economista, e con Pietro Spirito, a cui passo la parola.
Pietro Spirito Buonasera professore. Grazie di aver accettato questo invito. Comincerei da un tema di carattere generale. Una delle questioni che hanno frenato lo sviluppo delle regioni meridionali è certamente stato un più faticoso accesso al credito, sia in termi di disponibilità ma poi anche di spread, di differenziale nei tassi di interesse. A suo avviso questa regionalizzazione del credito locale che tipo di impatto può determinare sulla struttura finanziaria del Mezzogiorno? Può essere un altro tema di ulteriore svantaggio competitivo?
Alberto Zazzaro La questione del differenziale dei tassi d’interesse di accesso al credito per le banche per le imprese del mezzogiorno, nei rapporti con le banche, è una questione m molto dibattuta e di vecchia data. Da studi recenti pubblicati anche dalla Banca d’Italia emerge che il differenziale è ancora abbastanza rilevante, quasi un 1% di differenbza fra quello che pagano le imprese in media le imprese del mezzogiorno rispetto alle imprese del centro nord, e la cosa per certi versi ancora più preoccupante è che se si fanno delle analisi distribuendo le imprese più solide dalle imprese meno solide, il differenziale appare particolarmente rilevante proprio per le imprese solide, cioè a parità di solidità le imprese del mezzogiorno pagano ancor di più di quanto pagano le imprese un po’ meno solide, in termini di differenziale ovviamente, non di livelli assoluti.
Questo si ripercuote sulla su anche sugli altri aspetti, cioè le garanzie richieste mediamente alle imprese meridionali per l’accesso al credito sono più alte con le ovvie difficoltà che questo implica per l’accesso al credito, e anche i rapporti in termini di improvvisa riduzione della liquidità per le imprese, come la revoca delle linee di credito, almeno da questo studio emerge che è molto più probabile per le imprese del mezzogiorno che per le imprese del sud.
Cosa può accadere con il paventato passaggio di alcuni interventi di tipo normativo in capo alle regioni, ovviamente non è chiaro, non è ovvio, è difficile immaginare, questo ci porta immediatamente alla discussione sull’opportunità di fare un intervento di questo tipo, cioè dare alle regioni competenze in materia e soprattutto darle in maniera differenziata ad alcune regioni piuttosto che altre.
Certamente il rischio che si faccia un ulteriore passaggio che potrebbe mettere in difficoltà le imprese del mezzogiorno, confrontate con quelle del nord, ovviamente questo è chiaramente una possibilità, laddove potrebbe accadere che il risparmio possa avere una mobilità minore nella misura in cui le regioni tendano a fare degli interventi di tipo amministrativo e normativo e come dire favoriscano il credito alle imprese alle imprese locali.
Pietro Spirito Vorrei passare al tema della gestione di questi istituti creditizi; è chiaro che ormai dopo la lunga stagione delle privatizzazioni la gestione del credito in Italia è affidata al mercato, salvo quella piccolissima parte residua che riguarda il credito sportivo, un aspetto marginale e che comunque entrerebbe nella disponibilità delle regioni, perché lo sport e il credito sportivo passano secondo la riforma Calderoli alle regioni Ma a questo punto perché, visto che il credito è affidato al mercato, si deve ipotizzare una devoluzione alle regioni di competenze in materia di gestione di una materia che ormai è affidata al mercato, e non più alle istituzioni pubbliche. Secondo lei qual è il razionale che potrebbe essere ipotizzato ?
Alberto Zazzaro Ora la questione va posta su due terreni diversi: da un lato proprio capire qual è la razionalità di aver previsto all’interno dell’articolo 117 della Costituzione un richiamo all’autonomia alla potestà legislativa concorrente delle regioni in una materia come quella del credito. Questa discussione è stata abbastanza dibattuta tra i giuristi, molto meno tra gli economisti. Ovviamente di per sé ormai l’attività creditizia è un’attività che si riconosce e non ha più un carattere pubblico, di servizio pubblico, ma, o meglio solo la tutela del risparmio ha un interesse pubblico, ma l’attività creditizia non ha di per sé un interesse pubblico, ma è un’attività di impresa vera e propria e anche di riferimento dell’articolo 117 ad alcune tipologie di banche per certi versi sembra anacronistico, perché non c’è più una specializzazione dell’attività bancaria per tipologia di banche, ormai già quando è stato scritto il nuovo articolo 17 del titolo quinto questa specializzazione era di fatto era di fatto scomparsa.
Perché dare autonomia a alle regioni? Ovviamente il rischio qual è? Il rischio è quello di limitare la mobilità dei flussi di risparmio, che ovviamente per le banche regionali potrebbero con interventi normativi verrebbe limitata l’attività di impiego di banche locali al di fuori del territorio.
Ovviamente stiamo parlando di banche locali, dove per banca locale anche qui la definizione non è chiarissima, però sia dalla letteratura economica sia da quello che dice il decreto legislativo del 2006 i il riferimento fondamentalmente è al numero di sportelli e alla sede legale della banca che deve essere localizzata nella regione, ma anche dell’attività sia di raccolta che di impiego che deve essere prevalentemente nella regione
Ovviamente l’attività normativa che viene attribuita alle regioni non riguarda l’attività bancaria, perché questa resta materia regolata solo e unicamente dalle leggi dello stato e dall’attività dal Testo Unico bancario e quindi dalle norme che sono state introdotte appunto con il testo unico bancario. Quello che sembrerebbe possa andare in competenza delle regioni è tutta l’attività normativa o parte dell’attività normativa riguardo i soggetti bancari, quindi riguardo gli statuti le modifiche di statuto e così via.
Ora ovviamente questa è un’attività certamente importante. Ora io non sono un giurista quindi non saprei dire esattamente cosa è possibile dal punto di vista giuridico poter fare per le regioni che non vada in contrasto con le altre norme della Costituzione, che impongono che per l’attività di tutela risparmio e sulla digestione della moneta siano attività di competenza esclusivamente della legge dello stato, quindi certamente c’è un problema di difficile dialogo tra queste norme.
Però è ovvio che all’interno dello statuto non è impossibile immaginare che si possa costituire dei vincoli o comunque degli incentivi alle banche a operare soprattutto all’interno del territorio. Questo ovviamente nella logica di avere le banche come agenti dello sviluppo per lo sviluppo locale. Di per sé questa può non essere una ipotesi, come dire, del tutto del tutto sbagliata, una esigenza del tutto sbagliata.
D’altra parte noi abbiamo anche in altri Ppaesi europei, come ad esempio in Germania, che abbiamo banche regionali che sono molto attive nei loro territori. Noi oramai non abbiamo più banche pubbliche, però è evidente che questo richiamo all’articolo 117 potrebbe anche far pensare alla possibilità di una reintroduzione di banche di natura pubblica a carattere regionale che operano nel territorio.
Se una cosa è positiva o negativa, è chiaro che l’esperienza italiana con le banche pubbliche non è stata negli ultimi anni, prima del passaggio, particolarmente felice. Però in linea di principio non c’è nulla che osti a un ritorno dell’idea di una banca che per certi versi, senza ovviamente minare la libertà del movimento dei capitali, possa essere una banca rivolta allo sviluppo locale. Diverso è confermarlo in maniera differenziata, cioè far partire alcune regioni prima di altre e soprattutto dare disponibilità maggiore di risorse per questo tipo di attività ad alcune regioni che paradossalmente ne avrebbero meno bisogno di altre, se la logica è quella.
Pietro Spirito Professore vorrei farla riflettere proprio su questo ultimo punto. Ci può essere un retropensiero in questa storia. In fondo, si può tornare a un segmento di banca pubblica locale che diventa strumento per lo sviluppo dei territori. È una tesi che si è affacciata molto spesso nella letteratura, ma anche nei fatti della storia economica del nostro Paese. Fra l’altro questo è complicato, o è facilitato, dal fatto che queste materie sono materie non LEP, cioè non soggette ai Livelli Essenziali delle Prestazioni. Quindi immediatamente bancabili: approvata la legge e passati due anni che sono stabiliti dalls riforma Calderoli, sul credito si può partire subito. Mentre negli altri settori vagamente bisogna aspettare, capire, quel che succede sui LEP, nel caso del credito si può procedere immediatamente. E questo io credo che possa essere uno dei rilievi politici più interessanti, perché in realtà c’è un legame che comincio a intravedere, soprattutto nelle regioni del nord-est, tra infrastrutture, finanza, settori delle costruzioni insomma una sorta di “combinat” nordista, per così dire, che potrebbe generare nuovi piccoli mostri perché poi l’esperienza delle partecipate locali, al di fuori del credito, è stata una catastrofe nel nostro Paese. Lei che ne pensa?
Alberto Zazzaro Certamente questo è un grande rischio. Lei paventa due tipologie di rischi diversi che dobbiamo entrambi prendere in considerazione. Da un lato, il fatto di dare un ulteriore vantaggio, per così dire competitivo, alle regioni del centro nord che possono partire in maniera differenziata e con maggiore risorse, con intese particolari, perché poi ovviamente questa materia individuata nell’articolo 117 è individuata per tutte le regioni, e c’è una partenza differenziata con intese specifiche che è da vedere poi nei contenuti di cosa si tratta, però certamente alcune regioni possono partire con più risorse e più presto su questa tematica, e questo può dare un vantaggio competitivo.
L’altro rischio evidente è se queste istituzioni poi diventano delle istituzioni, delle sacche di inefficienza e di spreco nell’ambito del settore finanziario. Ovviamente si porrebbe un problema poi di tutela di queste banche, e dei risparmiatori che operano con banche di carattere pubblico regionale, che potrebbe porre un problema poi a livello generale, perché evidentemente se poi occorre vigilare e intervenire a tutela sulla fiscalità generale, a tutela di banche gestite in maniera inefficiente dal settore pubblico locale, questo pone un problema di cCosti e di sprechi che graverebbero poi su tutta su tutta la comunità.
Quindi abbiamo a mio avviso due differenti problemi. Uno di attribuire un vantaggio competitivo ad alcune regioni piuttosto che ad altre, e l’altro è quello di rischiare di creare appunto come dice lei delle istituzioni che poi vengono mal gestite, delle sacche di inefficienza che, come sappiamo essendo nel settore del credito, essendo il settore del credito strettamente legato a tutta l’attività di impresa, poi spesso richiede un intervento del settore pubblico, sulla fiscalità generale per cercare di tutelare eventuali cattive gestioni delle banche.
Quindi abbiamo due rischi possibili in questa previsione. Ovviamente è stato previsto all’articolo 117, che è stata un’estensione, perché di fatto l’autonomia regionale in tema di normativa sui soggetti di banche locali, non sull’attività, ma riguardo agli statuti alle possibili fusioni e ad altre norme di funzionamento dei singoli soggetti, era già attribuita alle regioni a statuto speciale, quindi l’articolo 117 prevede un’estensione di questo a tutte le regioni, per cui già in Italia già prima dell’articolo 117 questo era vero. Va detto che non è mai stato utilizzato in maniera particolarmente forte, la reputazione e l’impegno della Banca d’Italia in questo settore è sempre stato predominante, per cui l’autonomia normativa delle regioni a statuto speciale in questo campo non ha generato grandi differenze.
Ovviamente questo passaggio con l’autonomia differenziata potrebbe in linea di principio dare un’accelerazione e creare, come dice lei , immaginare che la banca pubblica possa in qualche forma rientrare in gioco, e rientrare in gioco con questo duplice rischio. Da un lato di dare un ulteriore leva competitiva, se viene gestito bene, se viene gestito male, con il rischio di gravare poi sulla fiscalità complessiva del Paese e quindi far ricadere i costi di questo sull’intera sull’intera comunità.
Pietro Spirito Se non erro sulla regolazione le regioni comunque non potranno mettere becco, perché la BCE controlla le banche di interesse europeo e nazionale e quelle di interesse più locale sono sotto la vigilanza della Banca d’Italia. Ma la Banca d’Italia dovrà in un qualche modo modificare la sua organizzazione per governare questa trasformazione oppure semplicemente gli strumenti attuali di Banchitalia sono già adeguati per fronteggiare questo scenario?
Alberto Zazzaro Ora la vigilanza resta assolutamente in mano alla legge dello Stato quindi ai trattati comunitari e all’attività della Banca d’Italia. Quindi questo su tutte le banche, comprese le banche regionali, quindi l’attività bancaria non è sottoposta a diverse normative. Quello che è sottoposto diverse normative, per questa categoria di banche, sembra fondamentalmente semplicemente l’attività dei soggetti, quindi l’adozione dello statuto, le modifiche statutarie.
Questo si legge nel decreto legislativo del 2006, in cui si fa un elenco grossomodo delle competenze che potrebbero essere devolute a livello regionale, e si parla appunto di trasformazioni statutarie, di fusioni di scissioni, di requisiti per gli amministratori in termini di esperienza e onorabilità. Ovviamente non sono questioni queste di carattere secondario, perché avere una chiara scissione tra la normativa che incide sui soggetti e la normativa che incide sull’attività, forse dal punto di vista giuridico in qualche modo è possibile immaginarlo, ma è chiaro che dal punto di vista economico anche tutto ciò che incide sull’attività sui soggetti avrà poi dei riflessi sull’attività di questi soggetti, non sull’attività bancaria su cosa possono fare cosa non possono fare, ma sulla attività dei soggetti.
Ad esempio, noi già abbiamo avuto, quando c’è stata la chiusura delle casse, la nascita delle fondazioni e quindi il passaggio della proprietà delle banche, delle casse di risparmio in mano alle fondazioni, le fondazioni poi avevano dei vincoli di impiego dei loro proventi in un ambito territoriale dato, e questo ovviamente è stato un elemento che ha creato non poche difficoltà alle regioni del mezzogiorno, perché ovviamente le fondazioni bancarie ricche erano le fondazioni del centro nord e lì venivano poi finanziati per tutta l’attività, tipo interventi culturali sociali svolti dalle fondazioni, fondamentalmente nel loro territorio.
Ora non è impensabile, ripeto io non sono un giurista, quindi non saprei dire quanto questo sia possibile o meno, però non è impensabile che un intervento normativo delle regioni possa imporre dei vincoli relativi alla tipologia di impieghi da un punto di vista territoriale. Ovviamente è chiaro che la tutela del risparmio e la vigilanza resta comunque, completamente in capo alla Banca d’Italia. Va detto che la Banca d’Italia si è anche riservata su tutte queste materie l’obbligo di richiedere alla Banca d’Italia parere vincolante. Quindi le regioni potranno normare , almeno questo sia per le regioni assoluto speciali ma sembra anche nel decreto legislativo del 2006, possono normare ma richiedendo il parere della Banca Italia ed è un parere vincolante, la Banca d’Italia comunque ha un ruolo anche nella materia delle banche locali, quindi non c’è una separazione e il controllo delle banche locali va completamente in capo alle regioni naturalmente.
Pietro Spirito Vorrei farla riflettere su un’ultima ipotesi che non credo sia di scuola, e che indica ancora una volta che questa è una normativa asimmetrica. Nel caso in cui una Regione acquisisse la titolarità di questi istituti di credito e uno di questi istituti di credito andasse in default, a pagare non sarebbe la Regione. Sarebbe lo Stato.
Alberto Zazzaro Esattamente questo è l’altro problema. Quello che le dicevo, abbiamo questa differenziazione, questa ipotesi , che è tutta da verificare, perché per adesso è chiaro che l’autonomia differenziata potrebbe costituire un cambio di passo, questo potere normativo delle Regioni come ho detto prima era già in capo alle Regioni a statuto speciale e non ha determinato nulla di particolare, anzi tutti credevano, prima dell’introduzione dell’articolo 117, che fosse una tematica oramai che andava spegnendosi, perché con il nuovo testo unico bancario che individua un’unica tipologia di banche, con l’eliminazione dell’idea che l’attività di erogazione del credito sia un’attività di interesse sociale, ovviamente l’idea era che questo ruolo delle Regioni sarebbe andato riducendosi. Invece l’articolo 117 l’ha reintrodotto, e ovviamente se c’è questo cambiamento di passo e se ovviamente le regioni che partiranno per prime con intese particolari potranno e decideranno di costituire delle banche con un intervento pubblico delle banche di natura regionale, quindi non solo regolare le attuali banche private che hanno questa caratteristica di concentrare la loro attività nel territorio, ma di costituire una banca di sviluppo di tipo regionale, quindi una nuova istituzione, ovviamente questo rischio che lei indicava di cattiva gestione di queste banche legata alla cattiva gestione della cosa pubblica che poi ricade sulla fiscalità generale ,laddove queste banche dovessero entrare in crisi, ovviamente è un rischio possibile, così come per molte altre materie per le quali è prevista il vantaggio differenziato dalle norme sull’autonomia.
Anna Maria Bianchi Io ringrazio il professor Alberto Zazzaro e Pietro Spirito.
Per osservazioni e precisazioni:laboratoriocarteinregola@gmail.com