Dove ci porta l’autonomia differenziata
Autore : Redazione
di Pietro Spirito*
Dal sito Terramia l’intervento di Pietro Spirito all’Assemblea di forze politiche, sindacali e di movimento contro l’Autonomia differenziata al Maschio Angioino di Napoli il 17 febbraio 2023
Nel 2001, a venti anni dalla effettiva istituzione delle Regioni, il centrosinistra, spinto dall’obiettivo tattico di ridurre il consenso popolare verso la Lega, decise di riformare il Titolo V della Costituzione, spostando radicalmente l’asse delle responsabilità istituzionali dallo Stato centrale agli Regioni. E’ mai stato misurato quello che è accaduto nel corso di questo periodo?
Nel caso della autonomia differenziata non dobbiamo dare nulla per scontato. Quello che è accaduto nel corso degli ultimi decenni va messo in fila per ricostruire una galleria degli orrori che spesso rimuoviamo dalla nostra memoria. Nel 1996, mentre da poche settimane si era formato il governo Prodi, due carri armati occuparono Piazza San Marco a Venezia: dopo qualche ora si scoprì che erano goffe ricostruzioni carnevalesche organizzate da una banda di mattacchioni secessionisti. Eravamo capitati in un film di John Belushi. Non ne siamo praticamente più usciti, sino al disegno di legge Calderoli approvato dal Governo Meloni qualche settimana fa.
La vicenda delle autonomie locali è punteggiata costantemente, nella storia della Repubblica, da gravi ritardi e crescenti equivoci.
Le Regioni erano previste dalla Costituzione del 1948, ma per ventidue anni non è accaduto nulla, per la resistenza della Democrazia Cristiana di condividere poteri con il Partito Comunista, verso il quale era stata orchestrata una conventio ad excludendum.
In base al dettato costituzione le Regioni dovevano essere enti di programmazione, mentre le attività di gestione dovevano restare nelle mani delle amministrazioni comunali. Progressivamente, invece, l’orizzonte della programmazione è scomparso da tutti i livelli istituzionali del nostro Paese. Pur essendo stato alla base del miracolo economico, il clima culturale che progressivamente è virato verso il neoliberismo ha sostanzialmente cancellato dalla pratica politica italiana gli sforzi per indirizzare i comportamento degli attori economici verso obiettivi condivisi di sviluppo economico e di interesse generale.
Le Regioni sono progressivamente diventate centro di potere per l’amministrazione delle risorse finanziarie ed ente di gestione della sanità e dei trasporti, che sono tra i servizi a più elevato impatto dal punto di vista della qualità della vita per i cittadini e della competitività per le imprese.
E qui accade un altro elemento davvero singolare per la storia delle nostre istituzioni. Non viene mai misurata l’efficacia delle Regioni nella architettura istituzionale del nostro Paese. Eppure, in un settore delicato e strategico come la sanità, esistono tutti i numeri e tutte le evidenze per poterlo fare. In questo caso sono stati approvati i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) da più di venti anni, ed esiste quindi una serie storica sulla efficacia delle pratiche sanitarie che sono state delegate alle Regioni.
Uno studio della Fondazione Gimbe, pubblicato qualche settimana fa (1) fornisce tutte le evidenze necessarie, per chi vuole leggere come sono andate le cose. Il divario tra i territori è stato aggravato dal governo sanitario affidato alle regioni. Oggi il Mezzogiorno è in una condizione di gran lunga peggiore rispetto a quella che si registrava nell’ambito del servizio sanitario nazionale, ed il turismo sanitario è aumentano a dismisura, proprio perché sui territori non sono disponibili adeguati servizi per la cura.
Sarà dunque oziosa la discussione sui Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che pure impegna oggi la discussione politica di molti osservatori. Non è tanto importante definire gli standard minimi che devono essere assicurati ai cittadini, fatto che può essere oggetto di una dotta discussione accademica. Piuttosto, è decisivo sapere metterli in pratica, evitando che peggiorino le distanze tra cittadini, territori ed imprese. Cosa accadrebbe se non fossero assicurati i LEP, in base al disegno di legge Calderoli? Nulla, assolutamente nulla.
Nel 2001, a venti anni dalla effettiva istituzione delle Regioni, il centrosinistra, spinto dall’obiettivo tattico di ridurre il consenso popolare verso la Lega, decise di riformare il Titolo V della Costituzione, spostando radicalmente l’asse delle responsabilità istituzionali dallo Stato centrale agli Regioni. E’ mai stato misurato quello che è accaduto nel corso di questo periodo?
Ovviamente no. Eppure basta un indicatore a mettere in evidenza il disastro che si è determinato. I conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, sollevati presso la Corte Costituzionale, sono stati pari in questi ventidue anni oltre 2.200, praticamente più di cento all’anno, poco meno di tre al giorno. Invece di governare, le istituzioni sono state impegnate in una lite continua, infinita, su chi doveva legiferare. Con l’effetto che è aumentata l’incertezza ed è stata cancellata l’autorevolezza.
Insomma, prima di generare nuovi ed irreversibili danni, varrebbe la pena di misura gli effetti dello spostamento del pendolo delle responsabilità dallo Stato alle Regioni. Anche perché, come è noto, esistono già in Italia, per effetto della Costituzione repubblicana, le regioni a statuto speciali, che fin dall’origine hanno gestito tutte le aree più rilevanti di autonomia. Onestamente non sembra che la Regione siciliana o quella sarda abbiamo fatto la differenza. Anzi.
Per completare il paradosso, il disegno di legge Calderoli sulla autonomia differenziata aggiunge materie che segnano la campana a morte per la nazione; parliamo di grandi infrastrutture, porti, commercio estero, comunicazioni. Insomma, nell’enfasi retorica di un federalismo parolaio, ci stiamo spingendo anche verso territori istituzionali che non appartengono certo alla competenza dei territori. Non vorremmo proprio che Giorgia Meloni, nel riproporre il suo ormai famoso comizio in Spagna, sia costretta a urlare: “Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono laziale”. Onestamente, suona abbastanza male.
(*) Professore straordinario di Management delle infrastrutture presso Universitas Mercatorum Roma
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
vai a Autonomia Regionale Differenziata, cronologia e materiali
Vedi anche: DDL Calderoli su Autonomia differenziata, perchè no. 7 febbraio 2023
28 febbraio 2023
NOTE
(1) VEDI Il Report Osservatorio GIMBE 2023, il regionalismo differenziato in sanità