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Gli standard urbanistici compiono cinquant’anni

 foto ambm

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di Mauro Baioni   

(daEddyburg 2 aprile 2018)  Il 2 aprile 1968 è stato approvato il decreto interministeriale sugli standard urbanistici che sancisce l’obbligo di riservare, nei piani urbanistici, almeno 18 mq di suolo destinato a spazi pubblici e attività collettive per ogni abitante. Un obbligo posto a garanzia di un diritto sociale.

Come ci ricorda Edoardo Salzano, si può dire che la città nasce con gli spazi pubblici. Si può dire che l’uomo, nel suo sforzo di costruire il proprio luogo nell’ambiente, genera quella sua meravigliosa invenzione che è la città a un certo momento della sua vicenda: precisamente quando, dal modificarsi del rapporto tra uomo, lavoro e natura, nasce l’esigenza di organizzarsi (come urbs, come civitas e come polis) attorno a determinate funzioni e determinati luoghi che possano servire l’insieme della comunità.

Attraverso la pianificazione urbanistica possiamo considerare la città a partire dal pubblico e dal pedonale, anziché dall’individuale e dall’automobilistico. Ogni città contiene un potenziale “sistema” formato dall’insieme delle aree qualificanti in termini naturalistici, storici, sociali, culturali, che possono essere collegate fra loro sia attraverso la contiguità fisica sia attraverso una ridefinizione del sistema della mobilità che privilegi gli spostamenti a piedi e in bicicletta lungo itinerari interessanti e piacevoli. Un potenziale, unico e non riproducibile, che può offrire agli abitanti, alle organizzazioni sociali e alle istituzioni pubbliche gli spazi necessari per fornire, collettivamente, risposte alle esigenze e alle aspirazioni delle singole persone.

Gestire il patrimonio ereditato dall’applicazione degli standard urbanistici aprendolo alle iniziative civiche, considerare gli spazi pubblici come il fulcro della  rigenerazione urbana, recuperare all’uso pubblico luoghi degradati e sottoutilizzati, guardare alla fruizione dei beni culturali come a un elemento peculiare della dimensione pubblica attraverso il quale rafforzare l’idea stessa di cittadinanza, ricomporre e riorganizzare il magma di costruzioni della città dello sprawl facendo leva sul tessuto diffuso di attrezzature e servizi di prossimità ancora riconoscibili, coniugare le esigenze di sicurezza e salubrità ambientale attraverso il palinsesto di aree verdi presenti all’interno delle aree urbane. Questi sono solo alcuni dei compiti che possono essere svolti dalla pianificazione urbanistica attraverso un impiego appropriato degli standard urbanistici.

La legge ponte e il decreto sugli standard urbanistici hanno rappresentato uno dei punti più alti della storia urbanistica italiana. Così come cinquant’anni fa, anche oggi possiamo considerare il rapporto fra metri quadri di suolo pubblico e abitanti non come una mera questione funzionale, ma come l’espressione della sostanza politica dei piani e delle politiche urbane. Anche oggi, come allora, le garanzie fornite attraverso gli standard urbanistici sono, al contempo, uno stendardo da rivendicare e una piattaforma sulla cui base andare avanti.

Nel sito della scuola di eddyburg sono consultabili i documenti raccolti in occasione delle edizioni del 2009 e del 2017 dedicate agli spazi pubblici. Qui il link alla lectio magistralis di Edoardo Salzano sugli spazi pubblici, tenuta a Pistoia nell’aprile 2015, e all’intervista sugli standard urbanistici curata da Andrea Pantaleo.

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