Dov’è finito il mito dello streaming? Cos’è successo al primato assoluto della trasparenza? Considerati un tempo strumenti indispensabili per rendere conto ai cittadini delle scelte da prendere, sembra che siano andati a sbattere contro le invalicabili mura di Villa Pamphilj, dove si sono appena conclusi gli Stati generali dell’economia. Nati dall’ambizione di disegnare il futuro dell’Italia che dovrà rinascere dalle ceneri dell’emergenza sanitaria di questi mesi anche grazie agli ingenti fondi messi a disposizione dal governo e da quelli che ci si aspetta arriveranno dall’Europa, gli Stati generali sono stati dipinti come il luogo di ascolto delle diverse categorie economiche (e non solo) che dovrebbero contribuire a orientare in modo utile le risorse mobilitate per la ripartenza.
Di per sé, dare voce agli stakeholder, ascoltarne le richieste e le proposte, è un esercizio utile e necessario in una democrazia compiuta che voglia tenere conto della molteplicità degli interessi e dei valori in campo nella società. Farlo a porte chiuse, senza far accedere i giornalisti, senza spiegare su quali temi si è deciso di puntare (escludendone alcuni ritenuti evidentemente meno rilevanti), senza render conto di come siano stati scelti gli interlocutori, senza spiegare perché molti soggetti che avrebbero potuto portare punti di vista altrettanto utili e necessari per delineare il futuro del Paese siano stati tenuti fuori dal meeting di Villa Pamphilj, non è un buon esercizio democratico.
O, quantomeno, rileva tutti i limiti di una visione burocratica e cristallizzata dell’interazione tra policy maker e società civile, poco disponibile a esplorare percorsi e strumenti di partecipazione che garantiscano maggiore inclusività.
Stupisce ancor di più che nessuno nelle file dell’azionista di maggioranza del Governo Conte II, abbia avuto da eccepire sulle modalità in cui si sono svolti gli Stati generali proprio ora che alla Camera sono riprese in Commissione Affari costituzionali le audizioni dei disegni di legge sulla regolamentazione del lobbying, uno dei quali, il più completo e articolato, è a firma del deputato Cinque Stelle Francesco Silvestri. Cos’è il lobbying se non dare ascolto alle voci che abbiano qualcosa da dire sui provvedimenti che le istituzioni hanno intenzione di prendere? E cos’è la regolamentazione del lobbismo se non un tentativo di tracciare i confini delle relazioni tra gli stakeholder e i decisori pubblici?
Sappiamo bene che nelle società democratiche la complessità dei temi affrontati dai politici necessita un dialogo costante con i molteplici portatori di interessi (aziende, ma anche cittadini, associazioni, accademici, think tank) in grado di portare dati, informazioni, punti di vista indispensabili a compiere scelte coerenti ed equilibrate. Come potrebbero governo e Parlamento legiferare ad esempio sulla mobilità sostenibile se non si confrontassero con gli esperti, con le aziende produttrici di mezzi elettrici, con le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori, con tutti i soggetti in grado di introdurre elementi utili alla discussione pubblica e alle scelte politiche?
Non si tratta solo di una buona prassi democratica, bensì di una necessità per chi governa il processo decisionale: mediare tra i punti di vista non solo contribuisce a fare scelte più equilibrate, ma serve anche a legittimare maggiormente quelle stesse scelte mettendole al sicuro da possibili contestazioni a posteriori. Prima si consultano gli stakeholder, magari proprio a partire dalle prime bozze dei provvedimenti normativi, più il legislatore può avere un’accurata fotografia delle posizioni in campo, valutando così l’impatto che una scelta potrà avere sugli attori coinvolti.
È anche per questo che nei giorni scorsi The Good Lobby, assieme a Altroconsumo, Cittadinazatttiva, Slow Food, Equo Garantito e tutte le organizzazioni che, unite, chiedono che l’Italia approvi al più presto un’efficace regolamentazione del lobbying, ha scritto a Giuseppe Conte per chiedergli di portare nelle discussioni di Villa Pamphilj l’urgenza di una legge sulla rappresentanza di interessi. La mancata risposta da parte del presidente del Consiglio va di pari passo con il percorso tutt’altro che trasparente e inclusivo che ha contraddistinto i lavori degli Stati generali dell’economia.
Le proposte di legge in discussione alla Camera presentate dal Movimento 5 Stelle, da Italia Viva e dal Partito democratico intendono proprio porre fine all’opacità dei processi decisionali, come peraltro richiesto dagli stessi operatori del lobbying. Cattaneo&Zanetto, FB&Associati, Telos, Reti, Comin, e le altre società finora audite in Commissione Affari costituzionali hanno reclamato l’urgenza di una regolamentazione delle relazioni istituzionali, che contribuisca a professionalizzare un settore in crescita, spesso accusato di servire interessi oscuri e di alimentare la corruzione.
E che renda più aperte e trasparenti le decisioni pubbliche, in molti casi calate dall’alto, senza che venga intrapreso un reale confronto con tutte le categorie coinvolte (o, forse, con l’eccessivo coinvolgimento di alcuni interlocutori a scapito di altri), senza un’agenda chiara e coerente.
Se le tre forze di maggioranza hanno presentato altrettante proposte di legge sul lobbying, se gli esperti e gli attori coinvolti sono unanimemente favorevoli a definire finalmente un quadro normativo, se le istituzioni internazionali non perdono occasione per segnalare all’Italia la necessità di approvare una legge che vada ad arricchire il pacchetto di misure anticorruzione, da che parte sta il presidente del Consiglio?
Noi siamo convinti che questa sia finalmente la volta buona per affrontare il problema e introdurre anche in Italia un registro obbligatorio dei portatori di interessi, le agende trasparenti dei decisori pubblici, un efficace quadro sanzionatorio e percorsi più inclusivi di consultazione degli stakeholder, che incentivino questi ultimi a uscire allo scoperto evitando attività opache al di fuori delle regole. Il Parlamento sta facendo la sua parte ma – affinché una legge così importante e necessaria non naufraghi per l’ennesima volta – il governo dovrebbe dimostrare di tenere per davvero a processi decisionali sinceramente aperti e trasparenti. Accettando di riconoscere che le prassi messe in campo in occasione degli Stati generali dell’economia sono state solo una falsa partenza. E che non si può che migliorare.
Federico Anghelè