“Autonomia differenziata: pochissimi italiani sanno di che cosa si tratta effettivamente: anche perché se ne parla poco, e in modo volutamente molto vago. Questo breve saggio racconta le origini di questo processo, le richieste regionali e le loro possibili implicazioni. Mostra così che non si tratta di una piccola questione amministrativa, che riguarda solo i cittadini di quelle regioni, ma di una grande questione politica, che riguarda tutti gli italiani. Che può portare ad una vera e propria “secessione dei ricchi”; spezzettare la scuola pubblica italiana; creare cittadini con diritti di cittadinanza di serie A e di serie B a seconda della regione in cui vivono.
Gianfranco Viesti – introduzione al libro “Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale” – editore Laterza*
Nonostante gli sciagurati effetti dell’autonomia regionale sulla sanità toccati con mano dai cittadini durante l’emergenza Covid, con le pessime performances del sistema sanitario di molte regioni e il profliuvio di conflitti stato/regioni nella gestione della pandemia, la famigerata “autonomia differenziata” continua inesorabilmente la sua marcia. La richiesta, partita e fortemente sostenuta da alcuni Presidenti della Lega nel 2017 – Veneto, Piemonte, Lombardia ma, con qualche differenza, anche del centrosinistra dell’Emilia Romagna – trasferisce alle regioni richiedenti la competenza per molte materie – ad esempio la scuola – e contemporaneamente prevede di deviare nelle casse regionali una fetta consistente del prelievo fiscale, in proporzione al gettito del territorio. Un’iniziativa “tripartisan”: parte dal Governo Gentiloni, viene raccolta dal Governo pentaleghista, continua il suo cammino con il Governo giallorosa (è un punto dell’accordo M5S/PD) e atterra nel Governo Draghi. E in questi giorni il Presidente del Consiglio ha improvvisamente dato un’accelerazione al progetto – riferisce Il Fatto per le pressioni della Lega (1) – inserendo al primo punto del NADEF (Nota di aggiornamento al DEF -Documento di Economia e Finanza) (2)“DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.” Un manipolo di senatori, in testa Gregorio De Falco e Saverio De Bonis (Gruppo misto) ha diffuso un comunicato (3) in cui si chiede alla maggioranza di sottoscrivere un emendamento per stralciare il punto sull’autonomia differenziata dal collegato alla manovra di bilancio” “per informare pienamente gli italiani su ciò che sta avvenendo, dato che ne sono totalmente all’oscuro” e per “tutelare il funzionamento del processo democratico, dando ai parlamentari la possibilità di esercitare la loro funzione emendativa e preservando il diritto dei cittadini di ricorrere in futuro al referendum abrogativo. Tutte cose messe a repentaglio dalla scelta, già percorsa con il precedente governo, di collegare il Ddl a una legge di bilancio. Se si vuole discutere di autonomia lo si faccia nei tempi e nei modi corretti, soprattutto lo si faccia chiarendo una volta per tutte la questione fondamentale dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep)” (4). Purtroppo l’emendamento è stato bocciato e ben poche testate giornalistiche hanno portato agli onori delle cornache l’Autonomia Differenziata, soprattutto in questi ultimi giorni, con l’eccezione del Manifesto e del Fatto Quotidiano, con un articolo di Marco Palombi, che ricorda che “la Costituzione vigente prevede, prima di devolvere alcunché, proprio di definire i Lep su assistenza, trasporto pubblico e norme generali sull’istruzione (quelli in materia di salute, i Lea, esistono già): senza quelli, i diritti dei cittadini italiani cambieranno a seconda della loro zona di residenza ancor più di quanto non accada già oggi” (3) . Nei prossimi giorni il dsisegno di legge andrà alle Commissioni delle due Camere,
Vedi la puntata di Report, Raitre Divorzio all’ItalianaIn Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna vive il 30% della popolazione italiana. Ma si produce il 40% del Pil. Oggi le tre regioni chiedono una maggiore autonomia per gestire 16 miliardi di spesa pubblica in più. Per alcuni garantirà maggiore efficienza nella spesa pubblica. Per altri è una secessione dei ricchi, che produrrà un impoverimento del Mezzogiorno. Chi ci guadagna e chi ci perde dall’autonomia differenziata? Nell’inchiesta saranno presentati i dati raccolti nel dossier “Il calcolo disuguale. La distribuzione delle risorse ai comuni per i servizi”, elaborato da Openpolis in collaborazione con Report.https://www.raiplay.it/video/2019/11/divorzio-allitaliana—04112019-3e9e51ad-822b-40c8-b0a9-89f833e68e6f.html
8 ottobre 2021 ultima modifica 13 ottobre 2021
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteionregola@gmail.com
(Il Manifesto 9 ottobre 2021)Lo scambio politico resuscita il morto che camminaAutonomia differenziata. Le polemiche a partire dai pre-accordi tra Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e il governo Gentiloni, e poi la pandemia, hanno messo in luce un paese assai più frammentato e diviso di quanto molti fossero consapevoli – di Massimo Villone (LEGGI L’ARTICOLO)
(2) La NADEF Nota di aggiornamento al DEF (Documento di Economia e Finanza) viene presentata alle Camere entro il 27 settembre di ogni anno per aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica del DEF in relazione alla maggiore disponibilità di dati ed informazioni sull’andamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica. Il documento, inoltre, contiene l’aggiornamento degli obiettivi programmatici, che tiene conto anche delle eventuali osservazioni formulate delle istituzioni UE competenti nelle materia relative al coordinamento delle finanze pubbliche degli Stati membri.
(3) NADEF: DE BONIS-DE FALCO, ‘ALTRI SENATORI CON NOI PER CHIEDERE STRALCIO
AUTONOMIA DIFFERENZIATA’ = Roma, 6 ott. (Adnkronos) – “Siamo soddisfatti che anche altri senatori abbiano deciso con convinzione di sottoscrivere il nostro emendamento alla risoluzione di maggioranza per stralciare il Ddl sull’autonomia differenziata dal collegato alla manovra di bilancio”. Lo hanno dichiarato i senatori Saverio De Bonis e Gregorio De Falco, i quali hanno appena depositato in Aula un emendamento per stralciare il Ddl sull’Autonomia differenziata dai collegati alla manovra di bilancio.
“Qui si tratta – hanno proseguito – di informare pienamente gli italiani su ciò che sta avvenendo, dato che ne sono totalmente all’oscuro, e di tutelare il funzionamento del processo democratico, dando ai parlamentari la possibilità di esercitare la loro funzione emendativa e preservando il diritto dei cittadini di ricorrere in futuro al referendum abrogativo. Tutte cose messe a repentaglio dalla scelta, già percorsa con il precedente governo, di collegare il Ddl a una legge di bilancio. Se si vuole discutere di autonomia lo si faccia nei tempi e nei modi corretti, soprattutto lo si faccia chiarendo una volta per tutte la questione fondamentale dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Altrimenti, si è al di fuori del dettato costituzionale e ci si allontana dall’obiettivo della piena uguaglianza tra le diverse aree dell’Italia”.
Firmatari dell’emendamento, oltre a De Bonis e De Falco, sono i senatori: Rosa Silvana Abate, Luisa Angrisani, Margherita Corrado, Fabio Di Nicco, Elena Fattori, Silvana Giannuzzi, Mario Giarrusso, Bianca Laura Granato, Virginia La Mura, Elio Lannutti, Paola Nugnes e Urania Papatheu.
I livelli essenziali delle prestazioni (abbreviato in LEP), sono quelli che l’articolo 117 secondo comma, lettera m) della Costituzione della Repubblica Italiana vuole che vengano garantiti su tutto il territorio nazionale. Il compito della loro definizione spetta esclusivamente allo Stato ma la loro realizzazione compete oltre che allo stesso Stato ai diversi enti territoriali, ovvero alle regioni, alle province ed ai comuni.
Per essere correttamente compresi i LEP vanno necessariamente inquadrati nella vasta e complessa riforma che in Italia, con la legge costituzionale n° 3 del 2001, ha interessato il Titolo V della Costituzione, ovvero la riforma con cui, abbandonando la concezione sostanzialmente centralistica dell’amministrazione statale, si è passati ad un sistema in cui sono state fortemente potenziate le autonomie territoriali, ovvero le regioni, le province ed i comuni. Il tutto attuando il principio di sussidiarietà recepito dalla sempre più presente normativa europea.
La forte autonomia di cui godono ora le Regioni e gli altri enti prima ricordati ha tuttavia spinto il legislatore a prevedere una serie di strumenti volti a garantire non solo una sostanziale unità nazionale ma anche la presenza, su tutto il territorio, di servizi capaci di rispondere alle esigenze fondamentali del cittadino, salvaguardando cioè i livelli essenziali delle prestazioni soprattutto nel settore dei diritti civili e sociali.
Individuazione dei LEP
Una corretta determinazione dei LEP parte dall’individuazione dei diritti civili e sociali che si intendono garantire su tutto il territorio nazionale. Questi sembrano potersi ricondurre almeno a quattro ambiti:
diritti connessi all’istruzione ed alla formazione
diritti connessi alla salute
diritti connessi all’assistenza sociale
diritti connessi alla mobilità e al trasporto.
Non è tuttavia corretto il riferimento in astratto a tali diritti bensì, nel nostro caso, occorre individuare puntualmente le prestazioni che si ritiene li possono soddisfare. Quindi , e qui sta il compito del legislatore, bisogna precisare quali siano le prestazioni afferenti alla compiuta realizzazione di un determinato diritto civile e sociale, chi sia il soggetto (od i soggetti) tenuto ad organizzarla e a realizzarla, quale debba essere il livello ritenuto come minimo od essenziale di quella data prestazione e quale debba essere il suo costo standard. Allo Stato quindi compete la definizione dei criteri cui attenersi nel definire il livello minimo atteso: alla Regione ed agli altri soggetti autonomi (Province, Comuni, Istituzioni scolastiche etc.) competerà invece di fornire la prestazione specifica a favore dell’utenza. Nulla impedisce ovviamente a tali ultimi soggetti di ampliare il livello essenziale fornendo prestazioni qualitativamente o quantitativamente superiori. Ciò che è importante è che ,a livello nazionale, non vi siano Regioni nelle quali non si raggiunga il necessario livello minimo. A tal fine lo Stato potrebbe anche prevedere degli interventi finanziari perequativi.
Problematiche aperte
Una delle ragioni per cui i LEP tardano a trovare una puntuale definizione è di natura economica. La loro individuazione comporta infatti l’approntamento delle risorse finanziarie necessarie per attuarli e garantirli; tali coperture dovrebbero gravare tanto sui soggetti tenuti a fornire le relative prestazioni quanto sullo stesso Stato con finalità perequative. È quindi solo con la piena attuazione di quanto indicato nell’articolo 119 della Costituzione della Repubblica Italiana, attuativo del cosiddetto “federalismo fiscale”, che i LEP potranno avere integrale attuazione.