Pubblichiamo un lungo articolo di Maria Pia Guermandi che ricostruisce la storia del Progetto Fori, l’idea di destinare l’area archeologica centrale di Roma, liberandola dalla cesura littoria di via dei Fori Imperiali a parco archeologico urbano a disposizione di tutti i cittadini e i visitatori della capitale, il sogno di Benevolo, La Regina, Cederna e Petroselli, purtroppo rimasto nel cassetto da più di quarant’anni.
da Emergenza Cultura (Articolo pubblicato su “MicroMega+, speciale Antonio Cederna a cento anni dalla nascita”, 22 ottobre 2021)
di Maria Pia Guermandi
Qualche settimana fa, durante un’iniziativa elettorale in vista del primo turno delle elezioni del Sindaco di Roma, il Ministro della Cultura Franceschini ha testualmente affermato: “L’integrazione tra Foro Romano e Fori Imperiali? Grida vendetta che tutto si sia fermato. Bisogna rimettere in moto sinergie e forme di integrazione. Poi c’è un lavoro da fare sull’area che va da piazza Venezia, che non può essere aiuola spartitraffico e dove arriverà la nuova stazione della metro C in stile Louvre, a Palatino, Palazzo Rivaldi e Colle Oppio”. Siamo a fine settembre 2021 e dopo oltre 40 anni “l’elefante nella stanza” dell’archeologia e, assieme, dell’urbanistica romana, rimane il famoso Progetto Fori. L’idea di destinare l’area archeologica centrale di Roma, liberandola dalla cesura littoria di via dei Fori Imperiali (l’ex via dell’Impero), a parco archeologico urbano a disposizione di tutti i cittadini e i visitatori della capitale che vide Antonio Cederna fra i principali sostenitori.
È il 21 dicembre 1978 quando Adriano La Regina, Soprintendente archeologo di Roma, denuncia il drammatico stato dei monumenti archeologici dell’area centrale a Roma, corrosi dal cancro dei marmi a causa dell’inquinamento provocato dal traffico. Dalle pagine del Corriere, Antonio Cederna riprende l’appello del Soprintendente e lo inserisce da subito in un progetto più vasto di risistemazione dell’area centrale, riprendendo una precedente idea di Leonardo Benevolo del 1971.
Nel 1979 esce Mussolini urbanista, l’unica monografia di Cederna che costituisce la premessa, sotto il profilo dell’analisi storiografica, al progetto Fori: con la consueta prosa sarcastica, da sempre sua cifra stilistica, Cederna ricostruisce, nel volume, le iniziative urbanistiche – per lo più sventramenti – realizzate dal fascismo a Roma, negli anni ‘30, fra le quali, appunto, la costruzione di via dell’Impero, definita dall’autore “un’operazione antistorica, antiurbanistica, antisociale, antiarcheologica per eccellenza”. Anzi, nella ricostruzione di Cederna, via dell’Impero diventa il vero e proprio emblema del “rifiuto di ogni cultura urbana” e del “disprezzo per la storia e le esigenze degli uomini” che avevano contraddistinto il ventennio fascista. Come noto, la via fu voluta da Mussolini stesso per collegare direttamente Piazza Venezia al Colosseo: dall’autunno 1931, in pieno delirio romanistico e in un solo anno, fu costruita la strada “diritta come la spada di un legionario”, distruggendo per sempre, oltre che il colle della Velia con lo splendido giardino di Palazzo Rivaldi, interi isolati medioevali e rinascimentali, decine di migliaia di metri cubi di materiali archeologici e deportando migliaia di abitanti delle case distrutte nelle squallide borgate periferiche.
Lungo via dell’Impero si svolgeranno le parate del regime, fra le quali quella famosissima del maggio 1938, svoltasi alla presenza di Hitler, ma anche nel dopoguerra, per lunghi decenni, la ferita di via dei Fori Imperiali riuscirà a degradare le vestigia dell’impero romano, come scriverà Cederna, “a quinta e fondale decorativo del traffico motorizzato” e a trasformare il Colosseo in una sorta di spartitraffico fuori scala. Nel Mussolini urbanista, lucidissima – e in anticipo su molte delle più conosciute ricostruzioni storiografiche successive – è l’analisi del carattere posticcio e velleitario del revival di Roma antica da parte del fascismo: la pretesa continuità dell’impero littorio rispetto a quello romano assume infatti, nella definizione cederniana, una valenza di “rito medianico, barbaro, vitalistico e macabro”.
Nel maggio 1980, con un decreto che diventerà la legge Biasini (n. 92/1981) il governo assegna un finanziamento straordinario di 180 miliardi di lire per provvedimenti urgenti per la protezione del patrimonio archeologico della città. Nel frattempo, la consapevolezza che le sole operazioni di restauro non avrebbero potuto mettere in sicurezza l’area archeologica centrale contribuì a far decollare il Progetto Fori e quindi l’ipotesi di eliminare lo “stradone” fascista, come lo chiamerà sempre Cederna, procedendo agli scavi stratigrafici e creando uno spazio pubblico che potesse ricongiungersi con quello dell’Appia Antica, un cuneo verde che da Piazza Venezia si sarebbe spinto fino alle pendici dei Castelli Romani.
Nonostante i vasti consensi anche da parte del mondo intellettuale internazionale, si accesero le polemiche, talora violente: il progetto fu accusato, in particolare sulla stampa di destra, di “gigantismo” e soprattutto di essere ispirato ad una “vendetta ideologica” nei confronti della sistemazione voluta da Mussolini. E assieme si lamentarono i rischi per la circolazione, in una città prigioniera di un traffico caotico e priva di un decoroso sistema di trasporti pubblici. Sul fronte politico, però, il progetto trovò un decisivo sostenitore in Luigi Petroselli, divenuto sindaco nel 1979 dopo le dimissioni di Argan, e da subito straordinario interprete della filosofia del progetto stesso. Dalle pagine del Corriere, Cederna spronò e sostenne l’azione di Petroselli passo passo, accompagnando i primi lavori (lo smantellamento della strada che tagliava in due il Foro Romano, la risistemazione e pedonalizzazione dell’area a valle del Colosseo) con articoli entusiastici. Talora la sequenza delle sue cronache si intreccia a tal punto con l’agenda dei lavori da far intravedere un vero e proprio gioco di squadra fra il giornalista e il sindaco.
Assieme a Petroselli, Cederna comprende, fra i primi, che sul progetto Fori si gioca non solo la tutela dei monumenti del più importante spazio archeologico urbano al mondo, ma una nuova idea di città che riesca ad unificare, attraverso la sua storia, centro e periferie, quelle periferie che fino a quel momento ne erano state escluse. Progetto urbanistico e sociale, quindi, ancor prima che archeologico e assieme occasione strategica per riportare Roma al livello delle grandi capitali europee. Attraverso quel parco urbano si vuole regalare alla città quel “sublime spazio pubblico” (la definizione è di Benevolo) in grado di imporre una svolta urbanistica ad una città massacrata dalla crescita “a macchia d’olio” imposta, dal dopoguerra in poi, dalla speculazione edilizia. Quel parco, dai Fori all’Appia, è poi connesso, topograficamente e ideologicamente, alla creazione del Parco dell’Appia antica, una delle più longeve – e per molti versi vittoriose – battaglie di Cederna che alla tutela della regina viarum dedicherà oltre 140 articoli a partire dal 1953. Dal 1° febbraio 1981 Petroselli, sostenuto dagli editoriali di Cederna, accompagna l’avvio del progetto con la chiusura domenicale al traffico di via dei Fori, lungo la quale il Comune organizza visite guidate cui prendono parte migliaia di persone. Le domeniche pedonali sono un elemento decisivo per conferire a un progetto urbanistico e archeologico anche uno straordinario valore di natura sociale e democratica. Ma l’improvvisa scomparsa di Petroselli nell’ottobre 1981 è un colpo mortale per il progetto Fori che entra in una sorta di limbo: Cederna celebrerà il sindaco scrivendo su Rinascita dello “scandalo” Petroselli, un oscuro funzionario comunista che aveva capito, prima di tanti intellettuali, urbanisti e archeologi, l’importanza del passato nella costruzione del futuro di Roma.
Quanto al progetto, Cederna, man mano sempre più isolato, non si arrende e continua a sostenere, anche dalle pagine di Repubblica, dove arriva nel 1982, tutte le operazioni propedeutiche alla sua realizzazione, a partire dagli scavi del Foro Traiano. In quegli editoriali, in anticipo di decenni sull’archeologia italiana, Cederna sottolinea la necessità che quegli scavi siano “a cuore aperto: non un buco gelosamente sottratto agli sguardi della gente, ma un cantiere dotato degli adeguati sussidi informativi e didattici, con percorsi pedonali per consentire al pubblico di seguire i lavori”.
Instancabile, il giornalista fustiga nei suoi articoli le lentezze della burocrazia ministeriale e ribatte a tutte le critiche che si fanno sempre più numerose: il tema del traffico, in particolare, e dell’importanza dell’arteria fascista nella rete veicolare urbana viene sbandierato come un ostacolo decisivo alla rimozione dello stradone. Cederna cerca di rassicurare, delineando tempistiche dilatate nel tempo, consapevole che una cortina di prudenze e opportunismi sta via via invischiando il progetto. Nel 1988, la Soprintendenza archeologica di Roma cerca di riattivare i lavori commissionando uno studio di fattibilità, coordinato da Benevolo e al quale contribuì anche lo stesso Cederna.
Per quest’ultimo, la battaglia continua anche nelle aule parlamentari che lo vedono relatore, quale deputato indipendente del PCI eletto nel 1987, di alcuni progetti di legge, fra i quali soprattutto quello su Roma Capitale, presentato nell’aprile 1989. Uno dei perni del disegno di legge, mirato alla riqualificazione urbanistica della capitale, è proprio la realizzazione del Parco storico-archeologico dell’area centrale, dei Fori e dell’Appia Antica, strumento per garantire a Roma e ai romani “un incomparabile spazio per la cultura, la contemplazione, il riposo”. Fedele alla sua concezione progressista e sistemica dell’urbanistica, nel progetto di legge Cederna collega strettamente il parco dei Fori alla riqualificazione delle zone periferiche e alla mobilità pubblica, principalmente su ferro: elementi interdipendenti e indisgiungibili di un sistema complesso. La proposta di legge su Roma Capitale diventa legge dello Stato nel 1990 (l. 396/1990), anche se modificata, ma nessuno dei suoi obiettivi è mai stato perseguito.
Dopo la morte di Cederna, nel 1996, il progetto Fori entra in un cono d’ombra, ma la realtà di un’area, quella centrale, la cui sistemazione rimane sospesa, gravata da problemi di degrado e sottoposta, negli anni, ad una pressione turistica crescente, richiama periodicamente il tema nelle agende politiche delle successive amministrazioni capitoline, oltre che del Ministero per i Beni culturali.
Nel 2001, un incredibile vincolo di tutela, posto dall’allora Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali del Lazio, viene posto a via dei Fori Imperiali, a suggello del carattere ormai “storicizzato” di quel nastro d’asfalto, divenuto in questo modo monumento storico. Ciò nonostante, l’assetto dell’area, con i fori imperiali a cui gli scavi degli anni ‘80 non hanno restituito una piena leggibilità lasciando una sequenza desolata di recinti maldestramente ritagliati, continua a rappresentare un problema cui le innumerevoli Commissioni Stato-Comune istituite a partire dagli anni ‘90 non hanno recato alcuna soluzione degna dell’importanza culturale e urbanistica dei luoghi. Nell’ennesimo, inutile e, al momento, ultimo in ordine di tempo, rapporto elaborato in tal senso da una commissione Stato – Comune nel 2014, continua ad essere ribadita l’interpretazione che si è cercato di consolidare in questi anni e cioè che la rimozione di via dei Fori Imperiali sarebbe un’operazione nostalgica, un’impossibile ritorno al passato, mentre al contrario, così come aveva sempre sostenuto Cederna, rappresenterebbe un passo in avanti verso soluzioni che altre capitali europee, a partire da Atene, con la risistemazione dell’Acropoli dei primi anni 2000 – sito per molti versi paragonabile all’area dei fori romani – hanno perseguito con straordinario successo in termini di qualità urbana.
Gli infiniti lavori per il tratto Piazza Venezia – Colosseo della linea C della metropolitana, iniziati nel 2007 e ben lontani dalla conclusione, hanno poi aggravato la congestione dell’area e i problemi di degrado, mentre la pedonalizzazione di via dei Fori Imperiali voluta dal sindaco Ignazio Marino a partire dall’agosto 2013 è stata poi stravolta dalla decisione della successiva giunta Raggi di utilizzare via dei Fori Imperiali per il passaggio del tram e di smantellare, nel maggio 2017, via Alessandrina, l’unica strada storica rimasta dell’area.
Nel loro insieme le azioni intraprese nell’ultimo ventennio attorno all’area centrale, a causa della loro contraddittorietà ed estemporaneità, non hanno risolto alcuno dei problemi che la affliggono, ma in compenso, nel tempo, è apparsa sempre più chiaramente l’inutilità di via dei Fori Imperiali ai fini della mobilità urbana. In tutte queste vicende, ricorrente è stato il riferimento a Cederna, evocato talora a sostegno di soluzioni contrarie all’idea originaria del progetto Fori.
Nel frattempo Roma sembra essersi rassegnata a un ruolo di puro sfruttamento turistico per quanto riguarda il suo centro storico, trasformato ormai 24 ore al giorno in una quinta scenografica, sporca e mal attrezzata, per lo spettacolo del consumo: di merci, di beni culturali, di eventi di varia natura. Attraversato – pandemia permettendo – da masse di turisti, lo stradone d’asfalto continua a rappresentare il disturbo più evidente per una lettura spaziale corretta dell’intera area dei Fori: vera e propria cesura posta a frammentare un’area continua.
Perduta è ormai, per debolezza culturale e sudditanza politica alle ragioni della speculazione, è la visione urbanistica complessiva che ispirava il progetto Fori, l’idea della storia collocata al centro della città, pensata non come Disneyland archeologica per turisti di tutto il mondo, ma come perno di riqualificazione di una struttura urbana sviluppatasi, nell’ultimo secolo, senza forma e senza qualità.
La situazione al limite del collasso cui la capitale è stata ridotta da decenni di malgoverno politicamente trasversale, attende risposte urgenti. A partire dal buco nero rappresentato dall’area centrale. La città “stravaccata”, l’espressione con la quale Cederna traduceva magistralmente il termine di sprawl urbano, potrebbe ripartire proprio da qui, da quel Progetto Fori che continua ad interrogare la nostra inettitudine culturale. In un articolo del 1989, quando è ormai chiaro che il progetto Fori si sta allontanando in una prospettiva indefinita, Cederna scrive che il progetto “lo impone la forza stessa delle cose”. Come su tantissime altre vicende relative al paesaggio e al patrimonio culturale, dalla salvaguardia delle coste alla tutela dei centri storici, dalla creazione dei parchi nazionali alla protezione idrogeologica, Cederna aveva ragione: alla forza delle cose e dei luoghi rimane quindi affidato quel progetto che Vezio De Lucia ha definito come “la più straordinaria invenzione urbanistica nella storia della capitale, dopo l’Unità”.
Così come sulla tutela dell’Appia antica e delle ville romane, sul destino della collezione Torlonia e sulla necessità di una urbanistica governata dalla mano pubblica, prima o poi, le ragioni di Cederna riaffioreranno nella loro evidenza anche per quanto riguarda il progetto Fori. Speriamo prima.
Maria Pia Guermandi
Articolo pubblicato su “MicroMega+, speciale Antonio Cederna a cento anni dalla nascita”, 22 ottobre 2021
1 novembre 2021
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
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